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martedì, febbraio 03, 2015

I filtri

Se partiamo dall'ipotesi che il pensiero creativo, intuitivo, sia libero e la più alta espressione possibile in assoluto, c'è da chiedersi come mai la conoscenza umana si manifesta, in genere, in modo così limitato, modesto. La risposta, molto semplicemente, è che il esso non può esprimersi direttamente ma è costretto a servirsi di mezzi fisici, materiali, cioè componenti del corpo umano, e questo è già un grosso ostacolo, ma non solo, esso deve attraversare una sorta di enorme "filtro" che è il nostro cervello. La piena e fulminea velocità del pensiero è costretta a rallentare avendo la necessità di interagire con qualcosa di molto più lento e meccanico. E' lo stesso che avviene nel computer, dove la notevole velocità dell'elaboratore, che lavora in codice macchina, praticamente tutti 0 e 1 (o meglio un acceso-spento elettrico), deve fare i conti con un'interfaccia che consenta alle persone "normali" di utilizzarlo senza doversi esprimere in codici senz'anima; pertanto i sistemi operativi, dovendo "tradurre" continuamente parole, icone e quant'altro in codice numerico, risultano spesso lenti o rallentano quando si caricano programmi o parecchi dati. La nostra mente a dire il vero offre una doppia resistenza; una è offerta dalla sua struttura fisica, l'altra è data dagli aspetti già contenuti per il nostro funzionamento generale; tra la totale libertà del pensiero e le regole ferree dell'istinto si genera un conflitto; il primo però non ha alcuna arma a sua disposizione, quindi sarebbe soccombente; ciò che viene in suo aiuto è l'elaboratore recente, la neocorteccia, che prende in esame anche aspetti dell'esistenza che vanno oltre la vita di sopravvivenza e di relazione. E' possibile quindi aprire un varco e permettere al pensiero di manifestarsi in modo sempre più fluido e rapido, ma è utopistico immaginare che lo si possa fare in molti campi, però è altrettanto erroneo ritenere che sia la specializzazione la soluzione. Specializzarsi può consentire di acquisire una padronanza di tipo intellettualistico, nozionistico, scientifico e tecnico-meccanico, ma non sarà la vittoria della conoscenza (pensiero=conoscenza) e il perché è presto detto: la specializzazione divide, non unisce, e la conoscenza è sempre e solo improntata al raggiungimento o riappropriazione dell'unità (o di varie unità). In un certo senso nel Medioevo i saggi erano più saggi di oggi, perché la cultura del tempo e le informazioni  erano alquanto limitate, per cui gli studiosi riuscivano ad avere rudimenti un po' su tutto, quindi avevano un tipo di conoscenza (informativa) che abbracciava tutti i campi, dalla geografia alla filosofia alla medicina, alla fisica, alla storia, alla letteratura, ecc. Nel Rinascimento le cose erano già più complicate ma sappiamo che alcuni geni riuscivano ancora a eccellere in quasi tutto. In seguito il grande fiume ha cominciato a dividersi in torrenti e rivoli e oggi l'unità del sapere non è che una chimera. Nei campi di cui ci occupiamo qui si assiste a un triste declino, dove non solo non c'è più una vera unità nel campo musicale, dove i presunti professionisti non applicano che fredde regole, senza alcuna cognizione di dove stanno andando e perché, ma all'interno della produzione musicale, e parlo di quella più "seria", dove si studia a lungo e approfonditamente, non c'è alcun tipo di convergenza e tentativo di unificazione tra aspetti musicali e pratica esecutiva e addirittura nella solo pratica. Lasciando per il momento il canto, pensiamo alle lusinghe e ai godimenti dei fans di fronte al "bel suono", al "bel timbro" di tanti pianisti o violinisti (e anche cantanti), che poi sinceramente non dicono niente di musicale. Non solo si è narcisisti, ma si rincorrono i narcisi, forse nella delirante ipotesi di potercisi identificare in loro.
Come s'è già detto in post precedenti, il pensiero si manifesta in primo luogo con linguaggi, e il linguaggio verbale in particolare, quindi col canto che unisce pensiero e sentimento, pertanto più elevato sul piano conoscitivo appunto perché unisce più campi. Ciò che vorrei raccomandare a chi studia canto è di cercare di non dividere, oppure riunire ciò che momentaneamente può essere utile o indispensabile spezzare. Non si impara una lingua cominciando dall'alfabeto; come minimo si inizia con parole, ma oggigiorno è provato che è più utile partire da frasi complete e comprendere le parti interne in un secondo momento. Allora iniziare lo studio del canto subito con vocali non è molto saggio, perché ci allontanano dalla nostra comprensione del reale; iniziare intonando parole e frasi è già di per sé un esercizio che richiede un tempo infinito, specie se, come è giusto che sia, si bada a che i parametri musicali siano rispettati, quindi comprensione assoluta del testo qualunque sia l'articolazione testuale e melodica nonché ritmica, ma anche dinamica e temporale, senza dimenticare il senso, il contenuto!. Uno sviluppo sano e cosciente di un'arte non è altro che aggiungere elementi e unirli a quanto già appreso facendone nuove unità finché, alla fine, tutto non sarà che un'immensa unità, ma non limitarsi al mondo del canto e della musica, cercare di coinvolgere tutto quanto possibile della nostra vita, culturale, sì, ma anche sentimentale, psicologica, ecc. Qualcuno dirà che questo avviene per forza, e io dico che questo è vero, ma non è "unire", perché avviene in modo incosciente, passivo e subìto, mentre la crescita, umana ed artistica, può solo avvenire in un percorso di luce consapevole.

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