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venerdì, gennaio 08, 2016

Dell'insegnamento del canto

Credo non ci sia più quasi nessun insegnante di canto o cantante che riesca a parlare o a immaginare il canto senza legare a questo una serie di procedure o collegamenti con la muscolatura, l'anatomia, la fisiologia e le strutture muscolo-cartilagineo scheletriche. Di conseguenza credo non saprebbero che dire o che fare nel momento in cui devono segnalare errori, difficoltà, carenze e a suggerire cosa fare per rimediare, ovvero cosa fare per educare correttamente una voce, senza metter di mezzo quanto dicevo, cioè azioni meccaniche, movimenti muscolari, cartilaginei, anatomici. Allora suggerisco di partire da un punto di vista molto più radicale e opposto: la voce, il canto, non è NULLA! (peggio della frase attribuita a Celibidache, "la musique n'est rien"). La voce a ben pensarci è proprio poca cosa; un po' d'aria trasformata in suono e poi in vocale; un procedimento invisibile. Se io penso a un "tubo" in cui scorre dell'aria, poi una piccola "valvola" che commuta il flusso d'aria stabile in una serie di impulsi che determinano un suono, secondo procedimenti connaturati a tutte le specie animali, grossomodo, non vedo proprio come in questo possano entrarci positivamente movimenti muscolari e azioni varie di tipo meccanico volontario che non disturbino e non arrechino danni all'emissione naturale. Subentra a questo punto la natura UMANA, nel bene e nel male. Nel bene perché l'uomo è dotato di una virtù in più, cioè rendere questo suono una voce, cioè il suono si evolve, come evoluto è l'uomo, a fonemi dotati di significato. Questo avviene ancora secondo una procedura che possiamo definire naturale, non facendo però rientrare in questo termine la Natura intesa come ambiente, perché l'uomo in questo è un'eccezione. L'ulteriore virtù è la possibilità di fare MUSICA con la voce. Ma questo non rientra più neanche nella Natura umana corrente, ma rientra nel quadro delle POTENZIALITA' che definiamo ARTE, cioè qualcosa che l'uomo ha in sé ma che si sviluppa solo a patto di praticare una disciplina che lo proietti verso la spiritualità e il divino. In tutto ciò che può averci a che fare il meccanicismo e la materialità? Proprio niente! E qui viene il "male": proprio la frustrazione di non poter accedere con facilità a quell'area paradisiaca, lo porta a sperimentare ogni genere di manovra per riuscirvi. Sono mistificazioni, inganni, parodie... e sono strade chiuse! L'errore grossolano, in questo come in ogni campo dell'insegnamento, sta nel far credere che la soluzione sia esterna, cioè che qualcuno ti dica e ti trasmetta il modo di fare. La soluzione invece è interna, e il qualcuno che insegna deve far leva sulle caratteristiche e le abilità di ciascuno per attivare, rendere consapevole e padrone delle proprie potenzialità che si manifesteranno non appena inizierà la fiducia. Fiducia in sé stessi, intendo.
1^ situazione: l'allievo è incosciente. Che canti naturalmente bene o male, egli sa solo in base a cosa gli altri dicono. A seconda del carattere, può sviluppare un ego enorme, può avere l'illusione di saper cantare magnificamente e quindi dar retta solo a chi lo esalta e plaude alle sue esibizioni, e scartare ogni critica. Pertanto rimane in uno stato di incoscienza, non svilupperà alcuna capacità di miglioramento e di autocritica. Nel campo della musica colta, non avrà facilmente lunga vita, perché l'ambiente non è facile e perché l'impegno richiesto si mangerà prima o poi la sua esuberanza, la forza fisica, l'entusiasmo e quindi pure la voce. A quel punto sarà difficile che possa correre ai ripari.
2^ situazione: l'allievo è incosciente ma l'ambiente familiare o amicale lo guida verso lo studio, la disciplina e l'umiltà. A questo punto entra in azione la scuola, l'insegnante, che può annientare il bene fatto precedentemente e far nuovamente sviluppare ego, autocompiacimento, sete di successo e potere, oppure propendere al bello, ai valori musicali più autentici e profondi. Questa è la prima dote di un vero e bravo insegnante; al di là se poi saprà educare esemplarmente la sua voce, è fondamentale l'educazione morale e artistica. Ma spesso questi insegnanti vengono abbandonati, e pure malamente, o snobbati in favore di ciarlatani che parlano della voce e del canto come fosse uno sport cruento.

Il maestro saggia la voce dell'allievo facendo eseguire un semplicissimo esercizio; un piccolo vocalizzo su due o tre note, un solfeggino, sempre di poche note. In base a quanto uscirà, deciderà se proseguire o correggere. Ma in cosa consisterà la correzione? Nel dire: fai questo, fai così o cosà? No. Nel far comprendere all'allievo cosa non andava. "Non si è capito", "non hai detto bene"; oppure: "guardati allo specchio, hai fatto una smorfia", "hai il viso contratto", ecc ecc. Cioè non si tratta di dire cosa fare, ma nell'innescare nell'allievo delle risorse di autocorrezione. L'autocorrezione scatta nel momento che anche l'allievo si rende conto che sta facendo una cosa che non va bene.
Passare un'ora a dire in cosa consista lo studio del canto facendo credere che bisogna imparare trucchi, tecniche esorbitanti, meccanismi segreti che solo gli insegnanti e i grandi cantanti sanno, è un inganno! Devono invece dire che l'apprendimento del canto consiste "solo" nello sviluppare ciò che egli già sa fare, per portarlo a un livello più alto, più evoluto. Non c'è nessuna "tecnica" respiratoria strana e segreta, nessun movimento nè della pancia nè della schiena; non c'è da portare il suono in giro per la testa, ma emetterlo dove normalmente già sa: dalla bocca! Che però il canto e la vocalità artistica è impegnativa e il traguardo artistico necessita di uno studio molto approfondito, che la concentrazione e l'applicazione dovranno essere estenuanti, se è interessato a raggiungerlo. Questo è il valore e l'ostacolo grande. Non ci possono essere sconti o mediazioni. Però il maestro si impegnerà come e più di lui per fargli raggiungere quel beato premio.

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