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domenica, dicembre 18, 2016

"Alfin... respiro"

Non tutte le metodologie (col termine "scuole" mi pare di fare una concessione eccessiva) di canto hanno come elemento chiave il fiato, la respirazione. Quando approdai alla scuola di Mario Antonietti sentii e vidi, dagli appunti, che il m° puntava pressoché tutto sulla respirazione, ma d'altro canto non ne parlava e non ne scriveva molto. Le prime superficiali letture degli appunti mi fecero l'impressione che più o meno dicesse le stesse cose degli altri. In quel periodo lavoravo nel coro del Regio di Torino e viaggiavo due, se non quattro, volte al giorno in treno, mediamente quaranta minuti ogni volta; avevo sempre con me gli appunti, e li leggevo ossessivamente. Fu grazie a quelle "ripetizioni", che proprio leggendo e riflettendo, un bel giorno mi si accese una luce. Avevo compreso, almeno a parole e nel pensiero, che in questa scuola il ruolo del fiato e tutto quanto vi ruota attorno ha una considerazione diversa dalle altre, o perlomeno dalla maggior parte delle altre. Il m°, ogni volta che leggeva o sentiva ciò che accadeva in altre scuole in relazione al fiato e alla respirazione, scuoteva la testa, più deluso che critico. Una frase fondamentale era "continuano a parlare di fiato e di respirazione, ma non si rendono conto che parlano di quella fisiologica". Detta così può indurre a convenire oppure no! Infatti uno dei punti di scontro con i critici di questa scuola è: se non è quella fisiologica, a quale altra ci possiamo riferire? Cercherò di spiegarlo con qualche esempio.
Quando il nostro sistema istintivo e di difesa avverte che abbiamo bisogno di più ossigeno nel sangue, provoca una accelerazione respiratoria. Se aumentiamo il passo camminando o ci mettiamo addirittura a correre, se facciamo una scala piuttosto lunga o irta, se dalla pianura passiamo a camminare in salita, se solleviamo pesi, lanciamo oggetti o facciamo comunque sforzi... in tutti questi casi, e forse anche altri che ora non mi vengono in mente, il nostro ritmo respiratorio accelera (e pure il battito cardiaco). Non è un fatto volontario, succede e basta, ci viene il "fiatone". Possiamo poi disquisire a lungo sulle differenze tra soggetti, differenze nel tempo, ecc., ma il fatto è evidente e incontestabile. Ora, tutti coloro che cantano dicono che per cantare ci vuole più fiato, e dunque la maggior parte di coloro che insegnano canto avendo come presupposto che ci vuole molto fiato, iniziano la propedeutica al canto, e molte lezioni, con esercizi di respirazione. "Gonfia la pancia", "butta il fiato in fondo alla schiena", "premi in fuori", "allarga la base delle costole" oppure "gonfia il torace", "premi con gli addominali - se non dall'inguine -", "stringi i glutei", "esercitati mettendo dei volumi sulla pancia e non farli scendere", e via dicendo. Tutte cose che possono avere qualche utilità, ma talvolta possono anche portare a difetti vari, quindi che sarebbe bene svolgere solo nel momento in cui si ha davvero coscienza di ciò che stiamo facendo e con quale scopo. Cosa c'è che non va, cioè perché non approviamo, per lo meno generalmente, questo modo di agire? Torniamo a quanto detto poco fa: il corpo chiede volontariamente il fiato di cui ha bisogno per le sue esigenze... allora qui i casi sono due: 1) o nel canto questo non succede, e dunque non ce n'è davvero necessità, e quindi è inutile fare esercizi che ci riempiono d'aria che poi non sappiamo come impiegare, oppure 2) ce n'è necessità, ma il nostro corpo non avverte questa esigenza e dunque noi continuiamo a respirare normalmente (e quindi ecco che gli insegnanti ci inducono a prendere quell'aria in più che spontaneamente non assumiamo). C'è però anche un altro punto da non sottovalutare. Quando abbiamo "fame" d'aria, il ritmo respiratorio aumenta. Qui è il contrario, cioè il ritmo respiratorio deve diminuire, in quanto le "prese di fiato" si distanziano e anche di parecchio, rispetto la normalità (e non aumenta il battito cardiaco), perché, se succedesse, soprattutto per l'emotività, sarebbe un po' un guaio!. Domanda: è vero che nel canto, perlomeno quello artistico-classico, c'è bisogno di più fiato? Di solito la risposta è sì, ce n'è bisogno perché le frasi sono lunghe. Il che può essere vero, non sempre, ma questa è la risposta meno pertinente, perché riguarda aspetti esecutivi riferiti a un periodo maturo del cantante. Quindi perché appena si entra in una scuola di canto si dovrebbero fare esercizi che riguardano aspetti che troveranno applicazione dopo molti mesi, se non anni? Allora il fiato serve ad altro? certo che sì; riguardano aspetti essenziali della voce cantata artistica, cioè la capacità e le possibilità di imprimere al suono vocale caratteristiche di velocità, ricchezza sonora, espansione, che normalmente non utilizziamo. Qualcuno potrebbe definire questo "potenza", ma è sbagliato, almeno psicologicamente, perché induce a spingere, a dare pressione al fiato (quindi una condizione esterna al fiato), mentre è tutto il contrario. Indurre pressione, quindi spingere, significa mettere il nostro organismo in una condizione istintiva che possiamo definire di "sforzo", quindi o reagisce perché non accetta il carico eccessivo, o pensa di aiutarci creando quella condizione di apnea che si verifica ogni volta che facciamo uno sforzo. Ecco perché riteniamo fortemente negativa quella caratteristica, particolarmente tipica delle metodologia affondista, che invita a replicare lo sforzo "da bagno". Lo sforzo, anche minimo, tende subito a creare una chiusura glottica, il che è evidentissimamente antivocale. Allora, il nostro obiettivo qual è, e quale dovrebbe sempre essere? quello di indurre il nostro organismo a richiedere un fiato adeguato alla necessità nel momento in cui cantiamo, non per durare di più (o perlomeno non solo o tanto per quello) ma per consentire una produzione vocale di miglior qualità ed efficacia sonora (che è scorretto definire pressione o spinta). Questa esigenza vocale non si può ottenere facendo esercizi di respirazione fisiologica, cioè basata su inspirazioni e movimenti muscolari qualunque essi siano. Noi dobbiamo educare, o meglio ancora "disciplinare" il nostro fiato e raggiungere un'arte respiratoria relazionata al canto, o meglio ancora all'emissione purissima della voce, atta al canto artistico. Qui torniamo a quanto abbiamo scritto almeno qualche decina di volta in questo blog, cioè iniziare a sviluppare un'esigenza partendo dal parlato, che se fosse quello comune non richiederebbe nulla di più! E' quindi evidente (salvo a chi proprio non l'intende) che dovrà essere un parlato più curato in OGNI carattere, cioè perfetta pronuncia delle vocali (con i giusti accenti), senza dimenticare le consonanti, perfetta pronuncia sincera, vera, delle parole, fraseggio ben articolato e con individuazione degli accenti tonici, fraseologici; ritmi, caratteri, registri (non in senso vocale, ma psicologico-emotivo, registro discorsivo, drammatico, allegro, malinconico, ecc.). Alternare il parlato semplice, già in fase di sviluppo, con quello intonato su una o più note. Si renderà il processo sempre più ampio e complesso (ma SEMPRE partendo dal semplicissimo, minimo, che deve essere perfetto, se si vuole proseguire) fin quando (e la cosa potrebbe richiedere moltissimo tempo) il nostro organismo avrà compreso che questa condizione è una nostra esigenza che richiede QUELLA respirazione (indescrivibile, inimmaginabile), che noi non possiamo e non dobbiamo controllare fisicamente e neanche mentalmente, ma che è potenzialmente in noi e di cui possiamo diventare COSCIENTI, non tanto in senso polmonare, diaframmatico posturale (che acquisiscono però un ruolo nel tempo), ma vocale, cioè noi controlliamo la respirazione artistica tramite l'emissione stessa. Cioè è come dire che il ginnasta non controlla direttamente la respirazione, ma tramite il modo di condurre gli esercizi stessi, ribadendo, però, che per loro si tratta sempre di una respirazione fisiologica, quindi il paragone può starci, ma considerando la differenza. Il fiato per il cantore ha una caratteristica INTERNA al fiato, implicita, differente da quella fisiologica che viene gestita esternamente, cioè dalla muscolatura e ossatura. Ecco perché le mie sollecitazioni sono maniacalmente volte a far diminuire fino a sparire tutte le azioni pressorie. Finché sussistono condizioni fisiologiche, sarà difficile commutarle con quelle artistiche, occorre proprio una transizione "epocale" di una parte vitale di noi stessi, che deve anche rendersi conto che non cessa il suo ruolo ossigenante, conditio sine qua non per poter dar adito a cambiamenti.

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