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domenica, dicembre 11, 2016
Del "piano"
Un altro interessante gioco di parole. Quando diciamo "piano", in musica, intendiamo pressoché sempre limitare il volume, l'intensità. Spesso io intendo un'altra cosa: mantenere "il piano", cioè non pensare a una serie di note che si muovono verso l'alto o verso il basso, come fosse un piano inclinato, cioè che sale, come andare in montagna, o in discesa. Il "piano vocale" è da considerarsi, per l'appunto, pianeggiante, cioè orizzontale. Le varie vocali che si susseguono su varie note, sono da considerarsi complanari, come un sasso che rimbalza in uno stagno. L'idea di "alzare" il suono quando si alza il tono non solo è sbagliato, ma molto controproducente, perché di fatto si alza la base del respiro e, in sostanza, si "spoggia". I due termini, cioè il piano dinamico e il piano fisico, non sono del tutto disgiunti. Se si eseguono una serie di note mantenendo il piano o pianissimo, mezzavoce, falsetto, ecc., si noterà che è assai più facile e naturale mantenere questo piano orizzontale. Se li si esegue con maggiore intensità si comincerà ad alzare la base, e questo perché si è portati a mantenere il forte durante tutta l'emissione, cioè spingendo dal basso o dal dietro (come fosse un pistone) senza mai rilassarsi. Dunque può essere un buon consiglio quello di rilassare e diminuire l'intensità subito dopo aver pronunciato la vocale, cioè dopo l'impulso iniziale, ed evitare di tornare a spingere prima (oltreché dopo) di aver pronunciato le successive (anche se fosse la stessa) e/o le diverse note, e continuando a rilassare-diminuire l'intensità ogni volta. Questo semplice modo di eseguire l'esercizio (ma naturalmente è lo stesso se parliamo di un brano cantato) produrrà quella emissione esterna e orizzontale che auspichiamo. Qualcuno può porsi giustamente la domanda: ma se togliamo suono, non rimarrà un "vuoto"? La questione è difficile da spiegare, per chi non l'ha provato; questo è il preludio al vero canto sul fiato. Quando si elimina la spinta, cioè che rimane è puro fiato. Arrivare a gestire il canto come fosse (come E') puro fiato, è una esperienza straordinaria, ma non è facile da raggiungere e da mantenere. Le prime volte ci apparirà come un tubo "vuoto", inconsistente, privo di quei caratteri materiali che in genere non ci dispiacciono, perché ci danno la sensazione di poter padroneggiare la voce. Ciò, invece, è profondamente sbagliato, perché la voce non si controlla fisicamente ma unicamente col pensiero. E' ciò che facciamo ogni istante, parlando, ed è ciò che dobbiamo raggiungere cantando. Per qualcuno questo può voler dire: trovare un "automatismo", ma è anch'esso sbagliato. L'automatismo comporta l'assunzione di un MECCANISMO. Noi dobbiamo rifuggire ogni automatismo e raggiungere la consapevolezza e la naturalezza: lasciare scorrere il fiato-suono e verificare solo di pronunciare con assoluta perfezione, eliminando ogni sforzo, ogni movimento artificioso o esasperato. Sono cose che sono già in noi, che dobbiamo solo attivare.
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Mi ritrovo in ogni parola.
RispondiEliminaE' tutto qui il nocciolo della questione. Lamperti nel suo trattato lo scrive: cantare è un "parlar lungo". La difficoltà sta proprio nel mantenere la leggerezza, la fluidità, la scorrevolezza, l'unità del parlato, mentre la durata delle vocali viene allungata, l'escursione tonale dilatata, la dinamica espansa (ma questo terzo aspetto è in parte già insito nel secondo).
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