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giovedì, gennaio 23, 2020

Coscienza e consapevolezza

Questo post è destinato a correggere un errore o imprecisione che ho commesso spesso, cioè quello di confondere coscienza con consapevolezza. Talvolta ho detto a lezione: "io sono la tua coscienza che, mediante la comunicazione, la correzione degli errori e lo sviluppo che ti induco, riporto a te. Non è espresso bene. La coscienza l'abbiamo tutti, quindi non è che un allievo ne sia privo e io sì; ciò che manca all'allievo è la consapevolezza, relativa ovviamente al campo specifico d'interesse, che può essere la musica e il canto. La mancanza di consapevolezza è dovuta a diversi fattori, ma principalmente dobbiamo prendere atto che la coscienza si proietta all'esterno alla ricerca di quella parte di sé incompleta. Quando il m° Napoli disse: "il maestro proiezione di sé", pronunciò una verità incredibile! Altra frase formidabile è "quando l'allievo è pronto il maestro arriva". Tra coscienza e consapevolezza si crea una dualità, che nel tempo dovrebbero unificarsi. Perché ciò accada occorre riconoscere quella parte di noi che invece ci è oscura. La disciplina è la strada che ci conduce a quel risultato. Cosa si oppone, invece? Beh, piuttosto incredibilmente il più ostinato ostacolo ce lo crea la mente, o per lo meno quella mente che possiamo definire "concettuale". Poi, come è noto a chi frequenta le lezioni o questo blog, c'è l'istinto e c'è l'ego. La mente concettuale è quella parte dell'intelletto che non concepisce l'astratto e l'infinito, deve rifarsi a formule, a definizioni, a valori materiali, fisici, visibili, verificabili. Il canto artistico non risponde del tutto a questi concetti. L'istinto è quella parte che vuole preservare una singola specie dall'estinzione, ed è in possesso di un "programma" che agisce ogniqualvolta qualcosa di esterno cerca di attaccarci, e ogniqualvolta commettiamo o abbiamo intenzione di commettere azioni che potrebbe avere ripercussioni negative. Nel canto commettiamo azioni che lo allarmano e quindi provochiamo reazioni. L'ego riguarda il nostro desiderio di supremazia. Anch'esso è legato in qualche modo all'istinto. L'universo in tutte le sue manifestazioni, richiede diversificazione. Le cose identiche si annichiliscono, quindi devono differenziarsi. In questa diversificazione ci sarà qualcuno o qualcosa con un valore più alto e altre con valore più basso. L'ego è quella forza che ci spinge verso la cima della piramide, indipendentemente dalla consapevolezza, anzi, spesso contro di essa. Queste forze oscurano il cammino e rendono difficile il raggiungimento della meta. I motivi non sto a illustrarli qui, perché è una questione molto complessa che riguarda la conoscenza e non è il caso di percorrerla in questo ambito. Per cercare di riassumere: noi abbiamo una coscienza; essa si proietta all'esterno per cercare di riunificarsi con la parte di sé inconsapevole, e la cerca in campi verso cui si sente più attratta. Questo campo però può anche rivelarsi quello dove esplicare il proprio ego, che quindi diventa un terreno per esercitare manifestazioni di esteriorità con pochi o nessun contenuto, e soprattutto con poca o nessuna consapevolezza. Se si riesce ad abbattere il proprio ego, ci si spiana la strada verso la meta; la disciplina è invece destinata a dialogare con la mente, che di per sé non è votata allo stesso risultato, e può crearci (e ci crea!) degli ostacoli, ma può essere "domata" laddove le facciamo comprendere le nostre esigenze spirituali che non sono in contrapposizione con le nostre esigenze vitali.
In questa ottica c'è anche da riflettere sul giudizio. Noi, purtroppo, tendiamo a giudicare (sempre questione di ego). Siccome, però, esternamente c'è anche una proiezione di noi, che è quella più debole, tendiamo anche a giudicarci, e siccome quella esterna è la parte più inconsapevole, sarà fatale giudicarla negativamente. L'ego, in questo, ci protegge, perché non avendo consapevolezza delle nostre carenze, tendiamo anche a non giudicarci. Abbattendo l'ego noi assumiamo una forte responsabilità verso noi stessi che potrebbe farci male, ed ecco quindi che è molto importante, fondamentale, abbattere anche il giudizio. Allo stesso modo dobbiamo considerare l'insicurezza. Più è elevata l'inconsapevolezza, più insicuri ci sentiremo, a meno che il nostro ego non ci dia una falsa immagine di noi; togliendo questo velo noi ci accorgiamo di quanto abbiamo da crescere e questa cosa può darci sconforto e insicurezza. Come si combatte questa situazione? Con l'unificazione dei progressi. Ho spesso notato che alle prime lezioni gli allievi fanno grandi progressi e sono colmi di gioia e entusiasmo. Questo perché partendo da un'inconsapevolezza pressoché totale, aver dato spunti e informazioni ben fondate e aver fatto provare un approccio efficace, ho dato la possibilità di riunire alcuni dati della coscienza che erano oscuri, cioè divisi. Questo dovrebbe proseguire linearmente, ma così non è perché più si avanza più i "buchi" sono piccoli e riconoscerli è sempre più difficile.I motivi possono sembrare contorti e incoerenti, ma non è così. Per semplificare possiamo dire che la coscienza, ovvero la verità, da un lato ha bisogno di riconoscersi, e quindi crea le condizioni perché ciò avvenga, dall'altro però crea anche le condizioni per allontanare il momento di un riconoscimento importante, cioè non vuole essere completamente disvelata, e ciò avviene rarissimamente e sempre in condizioni per cui tale scoperta non è creduta, o da pochi, e mai in modo incontrovertibile, cioè oggettivo.
A questo punto noi dobbiamo arrivare a comprendere che ciò che noi cerchiamo, mettiamo il canto artistico, è già dentro di noi, noi già lo conosciamo e siamo in grado di esperirlo, ma questo comporta un dispendio di forze e di tempo enorme, anzi forse non c'è nemmeno sufficiente tempo. Dunque noi abbiamo bisogno di delegare a qualcuno la capacità di farci acquisire consapevolezza. La malattia potremmo considerarla una incosapevolezza, che però invece di risolvere personalmente, deleghiamo (come la maggior parte delle cose) a un dottore. Questo ci toglie un peso, ma non ci porta all'unificazione, perché restiamo inconsapevoli. Nell'arte questo non si dovrebbe mai fare, cioè delegare il maestro a risolvere un nostro problema. Noi dobbiamo puntare a diventare maestri di noi stessi assumendo consapevolezza, il che vuol dire, sempre più col passare del tempo, quali sono i punti oscuri, cioè porci domande: "come mai non riesco a far questo," "come mai questa cosa non viene?", "come posso risolvere questa difficoltà?", e sfruttando quanto già si è appreso, cercare delle soluzioni, o comunque proporle all'insegnante, e poi fare tante domande su tutto ciò che non ci è chiaro. Di questo parlo nel prossimo post

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