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venerdì, gennaio 10, 2020

Il fiato: cantanti vs strumentisti - 2

Proseguo.
Nel canto abbiamo la possibilità di adottare una DISCIPLINA artistica indirizzata a provocare un'evoluzione respiratoria atta a conseguire un elevamento della parola a canto; la promozione di una nostra capacità spontanea a un livello superiore. Nella produzione di suoni strumentali questo non è possibile, perché lo strumento meccanico esterno non può essere contemplato nella nostra evoluzione. Però possiamo raggiungere comunque risultati ottimali, anche considerando che gli aspetti fisiologici sono meno oppositivi rispetto al canto. In esso noi arriviamo a una vera commutazione del respiro dai fini prettamente fisiologici a quelli artistici. Nel caso dello strumento noi possiamo ottimizzare il fiato fisiologico, senza obiettivi di modifica sostanziale. Infatti il fiato continua a uscire regolarmente, senza estremismi, senza interferenze laringo-valvolari (se non le creiamo noi). Il problema di fondo, sostanzialmente l'unico, è come "colloquiare" con la pressione che si crea con l'imboccatura. Occorre prendere coscienza che tra il bocchino e il diaframma c'è (ovvero deve esserci) un'unica colonna d'aria, non spezzata dalla laringe, e che questa colonna deve avere la minore pressione possibile. Affinché la colonna d'aria sia unitaria, non devono crearsi apnee, cioè non si deve creare quella pressione sottoglottica che spingendo sotto la laringe provoca la sua (tendenziale) chiusura, cioè richiama la funzione valvolare.Quindi il ruolo delle labbra è fondamentale, almeno per un certo tempo, perché creano un "polo" tensivo togliendolo alla gola. Più che nella continuità del suono, il problema può porsi nello staccato. Ogni volta che si vuol generare un suono staccato, istintivamente, anche per lo strumentista, c'è la tentazione di consonantizzarlo, cioè di dare un impulso dalla/con la glottide. Niente di più sbagliato. Bisogna agire con le labbra e dalle labbra verso lo strumento. Anche nel canto tutto il dominio sull'aria deve essere compiuto dall'esterno, facendo fluire il suono come fosse un alito, partendo già da fuori. Ascoltarsi, quindi comprendere che nel momento in cui si attacca un suono con il proprio strumento, si sta solo soffiando e non premendo, specie dal basso, o spingendo né verso l'esterno né verso il basso. Far nascere il suono esternamente a noi è un dato fondamentale. Peraltro lo strumentista ha un vantaggio: il suono è prodotto da aria espirata, e lo sa. Nel canto il fiato è tradotto in suono e questo crea grosse complicazioni mentali. Il fatto di gestire fiato fisiologico è molto meno impegnativo e più "tollerato" dall'istinto. L'importante è non creare condizioni reattive, quindi cercare di diminuire la pressione, pensando sempre di consumare, di far fluire l'aria, non risparmiando o trattenendo (che è un errore grave quanto spingere), ma considerando appunto questo flusso come lieve, scorrevole, placido, non violento, non denso e soprattutto evitando le contrapposizioni. Anche il bocchino non deve essere considerato un "tappo", un freno e un oppositore alla nostra emissione, ma pensare di trovare la relazione ottimale affinché le vibrazioni delle ance (o delle labbra nel caso degli ottoni) siano in rapporto perfetto con il fiato che emetto. In genere si tende sempre a dare di più del necessario (questo tantissimo nel canto), quindi il consiglio è sempre di andare a TOGLIERE, cioè provare a dare il minimo, come è il sussurro nel canto. E gettare lontano, ma non violentemente e con forza, ma far volare, volteggiare, utilizzare l'aria come per gli oggetti volanti, cioè considerarla un mezzo su cui il suono può correre lontano. E prendere fiato con dolcezza, rilassatezza, silenziosamente.
Il flauto. Per il flauto c'è qualche differenza rispetto agli altri strumenti a fiato, in quanto il flautista non imbocca lo strumento, ma ci soffia dentro. Quindi non si andrebbe a creare una particolare pressione, essendoci solo una "strettoia" formata dalle labbra. In teoria c'è meno opposizione rispetto alla pressione che si crea con gli altri strumenti, però i casi di problemi laringei nei flautisti sono molto numerosi. Introduciamo qui un altro fattore, il fiato "freddo", o soffio, e il fiato "caldo", o "alito". Il soffio è freddo perché esce ad alta velocità e percorre un tubo stretto. L'alito scorre più lentamente e in un tubo più largo, avendo quindi il tempo e l'occasione di riscaldarsi. La questione è che per la legge di Bernoulli, la velocità dell'aria determina o può determinare la necessità di un restringimento del tubo, che avviene a cura della glottide. Questo restringimento determina una forte frizione dell'aria sulle pareti, che tenderanno col tempo a infiammarsi e in casi estremi a dar luogo a sistemi di protezione, che poi si trasformano in noduli e patologie analoghe. Qui la possibile soluzione, oltre comunque a quanto già detto a proposito degli altri strumenti, che ha comunque valore (per cui non premere, non spingere né in giù né in avanti, considerare un'unica colonna da labbra a diaframma, ecc.), consiste nel cercare di non soffiare con troppa energia, e anzi cercare di pensare maggiormente a "alitare" (questo può essere particolarmente utile nel flauto dolce).
Altro consiglio per tutti: non fissarsi sull'aria polmonare, cioè considerare che l'aria giunga da sotto, ma utilizzare l'aria che si trova nel cavo orale. Ovviamente ogni soluzione può anche originare problemi, quindi se la gola non è libera, anche questo suggerimento può essere negativo. Ci vuole sempre un insegnante che abbia piena coscienza di ciò che fa e ciò che insegna e che sappia prontamente individuare i problemi e risolverli.

2 commenti:

  1. Insegnante??? Gli insegnanti di flauto che ho avuto non avevano nessuna idea. Di canto? Oltre te...lasciamo perdere: la cosa che più mi entusiasma da quando ti conosco è che finalmente ho una direzione, so quello che devo raggiungere, dove sto andando e questo mi permette di studiare anche da solo

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