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mercoledì, giugno 24, 2020
Non metterti in mezzo!
Perché Beethoven scrisse, cancellò e riscrisse diversamente una frase musicale all'interno della quinta sinfonia fino a oltre venti volte? Sembra un'esagerazione, un paradosso... eppure è accaduto. Cosa non andava nella terza, nella decima, nella quattordicesima...? Chi suggeriva a Beethoven che quella soluzione non era ancora quella giusta? Tempo fa stavo esaminando una partitura autografa (facsimile) di un concerto di Telemann; ebbene ci sono molte battute consecutive del tutto cancellate, e non sostituite, semplicemente cassate. E chi glielo ha detto a Telemann di buttar via del lavoro? Beh, la risposta è abbastanza semplice: la coscienza. Già averla è un dono impagabile, ma non è un dono gratuito, ha un costo elevato. Il m° Celibidache rispondeva a un giornalista che gli aveva chiesto cosa rappresentassero le prove, che esse si sostanziavano in una serie infinita di "No" con l'obiettivo di far emergere l'unico "Sì" possibile. E chi suggeriva a Celibidache quali erano i no, e quale il sì? La sua coscienza, conquistata in anni di studi, di intuizioni, di "furti" compiuti a colleghi, a insegnanti, a studiosi, ecc. Ma la coscienza tutti l'abbiamo, però non ha la limpidezza, la trasparenza, la purezza che necessita per poter svelare la sua ricchezza, e chi o cosa la inquina? L'ego. E l'ego, in gran parte, siamo noi. Ho scritto tante volte che l'arte è libertà. Libertà non di scrivere o di compiere una determinata opera d'arte "come vogliamo", ma "come dobbiamo", e il dovere ce lo impone la coscienza, ma solo se libera. Liberarsi dall'ego non è per niente una cosa facile; solo la vera e sincera umiltà nei confronti dell'arte che stiamo frequentando ci può aiutare, sotto l'assistenza di un insegnante che ci guidi e non solo ci metta di fronte agli errori e ai progressi, ma ci scrolli ogniqualvolta ci stiamo lasciando trascinare dall'ego. Sono le "docce di chiodi", cioè quelle situazioni in cui noi sguazziamo beatamente nella soddisfazione, e arriva il maestro a distruggere i nostri sogni. Può essere una ferita, può essere deprimente e frustrante. Ma se noi consideriamo il valore di quella scrollata, l'intenzione che la anima, capiremo che non ferisce noi, ma il nostro ego, cerca di allontanarlo da noi per aiutare a purificarci. Ma non è l'unica situazione in cui dobbiamo "toglierci di mezzo". Arte è anche liberazione dello spirito dal nostro corpo. Il canto, penso più di ogni altra arte, richiede un lavoro certosino e straordinario per liberare l'energia respiratorio-vocale dal nostro corpo-trappola. Perché la maggior parte dei cantanti spinge dannatamente? Perché vuole liberare la propria voce e fa l'unica cosa che conosce, premere, cercare di buttar fuori. E non intende che la strada è quella opposta, abbandonare ogni tentativo di pressione e lasciarla fluire. Naturalmente anche questo è un problema di ego. Ma su questo punto c'è anche un coinvolgimento fisico, muscolare. Togliere tutto (cioè, parafrasando Celibidache, una serie infinita di "No", cioè non spingere, non emettere voce-rumore, per far emergere l'unico "Sì", ovvero lasciar fluire, scorrere, scivolare, il puro fiato-vocale). E' un lavoro che appare massacrante, una vera tortura, ma che alla fine dà la gioia della vera libertà, della conquista, del raggiungimento di un traguardo inusitato, ma meritato. L'amore per il canto, per la musica, non si manifesta con il virtuosismo, con la spettacolarità, impressionando per il "tanto", ma con la coscienza di aver veramente capito cosa ho fatto suonando quella manciata di note. Da dove son partito, dove sono arrivato, con quali mezzi, con la consapevolezza che... è così! non per presunzione, per arroganza, ma perché ho messo in campo tutti gli strumenti, ho chiari i fondamenti che possono impedire alla musica di nascere, e ho i mezzi, i criteri, per rimuoverli. Ovvero mi sono tolto di mezzo e ho lasciato che la verità fluisse liberamente.
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