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mercoledì, luglio 14, 2021

Di Stefano e l'arte del canto

 Non so quanto sia noto che Di Stefano ha scritto un libro: l'arte del canto. Non sono a conoscenza di altre pubblicazioni di sua mano, se qualcuno lo sa per cortesia me lo segnali. La cosa più interessante di questo libro è contenuta nella seconda parte, dove il tenore racconta la sua vita dall'inizio fino ai debutti più importanti. La prima parte, invece, è decisamente discutibile, pur contenendo spunti interessanti. Di Stefano sembra narrare la carriera di qualcun altro. Scrive convintamente di aver fatto una lunghissima carriera, pressoché priva di particolari problemi. Io ricordo, però, in diverse interviste, che non negò di aver avuto notevoli problemi, pur avendoli scaricati una volta sul riscaldamento della sua casa e un'altra al fumo. Sul fumo sicuramente non c'è da negare che possa aver influito negativamente sulle sue prestazioni, forse marginalmente anche il riscaldamento di casa sua, ma certo il problema più grosso è stata la carenza di preparazione. Il punto che trovo più negativo di questo libro riguarda però il suo atteggiamento nei confronti dell'apprendimento del canto, che secondo lui può essere solo uno: l'istinto. Come quasi tutti, confonde e sbaglia di grosso identificando l'istinto come possibile stimolo al canto. Basta domandarsi cos'è l'istinto. E' quel programma contenuto in ciascuno di noi che ci aiuta a vivere, sopravvivere, difenderci. Cosa può avere a che fare l'istinto con il canto, che non ha alcuna relazione con i nostri apparati di vita, sopravvivenza e difesa? Quindi si definisce impropriamente e sbrigativamente istinto qualcosa che non conosciamo e che viene dal nostro interno. In realtà ciò che viene così chiamato, sono in realtà due cose: una predisposizione fisica, a sua volta suddividibile in forza, energia, e in appropriate, robuste ed equilibrate forme anatomiche, l'altra consiste in una forte spinta spirituale. Tutto ciò avrebbe poco a che fare con l'arte, come lui intitola il libro. L'arte consiste in un dominio cosciente delle forme e degli apparati. Stupisce abbastanza che Di Stefano arrivi a scrivere di aver avuto una respirazione irreprensibile. Come al solito, e come tanti, si riferirà agli atteggiamenti respiratori, cioè a "come si vede" respirare. Ma l'autentica respirazione artistica vocale, non si vede. Però sarebbe interessante cogliere il criterio che gli fa dire di aver avuto una perfetta respirazione. Eppure è proprio quella che l'ha fregato! Di Stefano si sentiva molto vicino a Schipa, a Mariano Stabile, a Tagliabue, cioè immensi cantanti che anche noi consideriamo modelli. E il motivo sta in un obiettivo giustissimo, cioè mettere in primo piano la parola, la pronuncia. Ma proprio la pronuncia richiede, per essere assunta ed elevata a canto perfetto, di una respirazione adeguata, che si conquista in anni di studio, proprio quelli che a lui mancavano. Il suo insegnante, Montesanto, pensò prima di tutto a sfruttare quella voce divina, che tutti compresero che valeva oro. Ma proprio oro metallico! E per quell'oro il mondo dell'opera si è giocato una delle voci e delle personalità più gigantesche della storia. Nel libro spiega che lui comprese da sé (!!) che il suo passaggio era sul la bemolle, e non sul fa, come tutti. Non si è mai accorto che lui il passaggio non l'ha mai avuto. Prima, da giovanissimo, passava senza accorgersene, poi, dopo pochissimo, cominciò a non passare più, a sbracare e sguaiare ogni vocale, che reggeva grazie a un fisico e a forze e forme invidiabili. Ancor prima dei trent'anni 

Sono interessanti alcune sue esperienze e osservazioni. Ogniqualvolta cercava di assumere un certo tipo di impostazione, il suo canto peggiorava, e tornava piacevole e libero appena abbandonava quell'atteggiamento. E' la differenza che c'è tra "naturale" e "naturalezza". Mi sono diffuso a lungo su questo discorso in passato, in ogni modo, sinteticamente, ripeterò. La Natura ci dota di uno strumento, di forme e di risorse. Il canto però non rientra nella natura animale, però rientra tra le potenzialità della Natura umana, dotata di un potente spirito che cerca un mezzo per collegarsi e unificare altri spiriti. Questa energia spirituale può condurre le persone a dedicarsi con grande passione ad un'arte, come il canto, e a investire tempo ed energia per conquistarla. Però si scontra con due forze altrettanto potenti: l'istinto e l'ego. Ci vogliono condizioni straordinarie per superarle, quasi soprannaturali. Per raggiungere l'arte bisogna arrivare a conquistare un dominio cosciente di queste forze e forme. Da soli è pressoché del tutto impossibile; trovare un maestro che possa portare a questa meta, è altrettanto difficile, quindi è comprensibile che ci siano periodi in cui domini la mediocrità. Peraltro un tempo c'era una media di insegnamento più elevata di oggi, e questo perché si adoperava più empirismo, orecchio, sensibilità e meno mentalismi e scientificismi. Altra osservazione del tenore siciliano: oggi si canta con più tecnica e quindi è tutto più "piatto" e meno interessante. Intanto diciamo che il libro è della fine degli anni 80, e forse si riferiva a una generazione di cantanti ancora in buona forma; in ogni modo ciò che lui definisce "tecnica" è effettivamente tecnica, cioè la capacità, musicale, di affrontare pagine virtuosistiche e complesse con adeguata capacità. Parliamo quindi delle "renaissance" del repertorio rossiniano, belliniano e donizettiano, in primis, ai recuperi verdiani e quindi a tutto quello barocco. Non si può non constatare che fino a quel periodo, effettivamente, tutto un genere operistico che necessitava di un ampio bagaglio di nozioni tecnico-musicali, era ben poco presente e anche quando lo è stato, piuttosto approssimativo e impreciso. Ma sbaglia il nostro Pippo se con tecnica si riferisce all'emissione vocale, pur avendo individuato un errore diffuso, cioè la mancanza di parola. E' proprio la mancanza della parola sincera e vera a creare quell'appiattimento che, unitamente a una esibizione virtuosistica piuttosto fine a sé stessa, crea quel clima di freddezza e appiattimento che sta contraddistinguendo il nostro periodo, dove la voce di Di Stefano, anche sgraziata negli acuti, porta un calore e una profondità d'animo che incanta. 

1 commento:

  1. Il nostro grande Di Stefano sì, aveva una voce meravigliosa, ma purtroppo è rimasto ingabbiato dal suo ego, che peccato!

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