Il punto fondamentale è la mancanza di intenzionalità. Si può arrivare al limite di non gioire per una buona riuscita e non adombrarsi per esecuzioni errate. La voce deve liberarsi quando è il momento opportuno, cioè quando le condizioni sono mature. In quel momento saprà lui come uscire. Si comprenderà quindi l'uso del "si" impersonale. Non siamo più noi, ("l'io") che gestiamo la voce, ma è come se venisse controllata da un ente indipendente. Sono frasi e incitazioni che ho usato tantissime volte: "è come se tu lanciassi un comando radio con la mente, non mettere in moto il fisico, lui si muoverà in base a ciò che già sai", oppure: "la voce è già lì che ti aspetta, devi solo lasciarla andare. Però anche questo "lasciare andare" necessita di una precisazione. Non è un lasciar andare intenzionale, perché produrrebbe uno scatto, una molla, un "clic", che nella voce solitamente è un colpo di glottide, una miniapnea. Come dice un maestro Zen: "pensa a un neonato, che ti afferra il dito, e poi lo lascia perché la sua attenzione è rivolta ad altro; quel lasciare non è intenzionale". Lasciamo andare, "molliamo" come se ci rivolgessimo ad altra causa.
Ogni intervento volontario manderà all'aria la nostra predisposizione magistrale. Tu sai fare, devi prenderne coscienza, ma lo impedisci tu stesso con la tua paura e con l'intenzione di fare, e peggio ancora col fare attivamente. Se ho detto infinite volte che il peccato della maggior parte degli insegnanti è quello di esortare gli allievi a muovere volontariamente parti interne agli apparati, gola, lingua, faringe, velopendulo, ecc., aggiungiamo che dopo una fase propedeutica, anche vistosi movimenti di varie parti del corpo (mandibola, muscoli facciali, pancia, fronte, e persino mani e gambe) sono da considerare molto deleteri e nemici di un risultato sufficientemente valido. La voce deve "venire" cantata non da noi, non dalla nostra volontà, ma da una presenza terza, che sa cosa fare e quando.
Lo Zen e il tiro con l'arco.
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