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martedì, marzo 31, 2015

Zona 30

Anni fa vidi una puntata del cartone animato dei Simpson in cui il crudele e vecchissimo sig. Burns, proprietario della centrale nucleare, si sottopose a un check-in medico. Il dottore, dopo numerosi accertamenti, espone la sua tesi: il paziente ha tutte le malattie possibili, ma queste non si manifestano. Come mai? Lo spiega con un esempio. Prende il modellino di una porta e una serie di pupazzetti; premendoli tutti contemporaneamente nello spazio dell'apertura, contrastano tra di loro e non riescono ad uscire. Così virus e batteri rimangono ingorgati nell'organismo del sig. Burns e non producono alcun sintomo e alcuna patologia. Ancora anni fa vidi un interessante documentario dove si spiegava, con modellini e simulazioni, perché è stata introdotta nei centri cittadini la zona 30, cioè strade dove non si può superare la velocità di 30 km all'ora. Se gli automobilisti seguissero questa regola ci sarebbero pochi intasamenti. La spiegazione è la stessa del medico dei Simpson! Una serie di automobili che si muovono lentamente (ma non troppo) riescono comunque a sfilare e procedere, mentre aumentando la velocità si accumulano nei pressi degli incroci, contrastano tra loro e di fatto bloccando il traffico. Questa è anche la spiegazione a un interrogativo che è stato posto nei commenti e che numerosi insegnanti di canto sostengono in senso opposto, cioè che la pressione sottoglottica sarebbe una "qualità" relativa al canto lirico. Appare evidente che se la pressione sottoglottica aumenta, l'aria si "ingorga", ovvero una parte metterà in vibrazione le corde vocali mentre un'altra parte provocherà una spinta sull'intera laringe che quindi tenderà a sollevarsi. Insegnanti e allievi conoscono questo segnale, che considerano negativo e cosa fanno per contrastarlo? Spingono giù. Quindi da un lato si dice che la pressione sottoglottica ci vuole, ma poi la contrastano in modo assurdo, cioè schiacciandola. Non è più logico e sensato evitare di crearla? In questo modo la laringe non si solleverà. Ma, ancor meglio, non si creerà l'ingorgo "all'incrocio"; l'aria sarà quella giusta e sufficiente per la vibrazione cordale e avrà anche la massima velocità possibile, perché se di aria ce n'è troppa, il "traffico" si bloccherà (e alla fin fine questo è l'effetto valvolare di cui ho sempre parlato). C'è altro! Quando la pressione sottoglottica aumenta, tra laringe e diaframma si crea un sodalizio istintivo, che è quello che scaturisce ogniqualvolta compiamo un sforzo fisico, uno sforzo fisiologico (da qualche insegnante richiesto per cantare!!!!) o ci pieghiamo in avanti e tentiamo di rialzarci e di sollevare un peso. L'apparato respiratorio si trasforma in una sorta di pneumatico che collabora con la muscolatura esterna per vincere lo sforzo e riprendere la posizione eretta. In questa fase la laringe è sottoposta a una notevole pressione (tanto che è difficile e financo impossibile emettere suoni) e il diaframma compie un sensibile sollevamento per comprimere l'aria. Quindi, molto semplicemente, possiamo affermare che l'aumento di pressione sottoglottica comporta anche un sollevamento del diaframma, quindi un sensibile spoggio della voce e una difficoltà di emissione. Per contrastare questa situazione, in molti casi voluta, cercata e approvata, si compie un notevole sforzo opposto, cioè premere verso il basso, per evitare che la laringe si chiuda e si sollevi unitamente al diaframma. E' chiara la situazione? Siamo su una porta dove il soggetto da un lato spinge, pensando che questa spinta sia necessaria per avere il suono "lirico", ma preme anche dall'altro lato della porta, con ancor maggior forza, se possibile, perché solo così riesce ad avere la potenza del canto lirico... sì, avete capito bene; è un gioco di contraddizioni senza capo nè coda, ma siccome alcuni soggetti particolarmente robusti sono riusciti a ottenere risultati fonici rilevanti (non certo di qualità canora e soprattutto espressiva), questo sistema delirante viene ancora diffuso e ricercato. Se semplicemente si applicasse il buon senso si avrebbero risultati molto più piacevoli e interessanti, ma c'è una risposta anche a questo dubbio: perché la gente spesso preferisce un canto stentoreo ma privo di qualità espressive? Perché poco "contrastato"! Noi sappiamo che l'energia è il frutto di un contrasto o di una trasformazione o entrambe le cose. La voce si forma per una trasformazione di aria in suono; questa trasformazione può essere "incruenta", cioè semplicemente il passaggio da uno stato all'altro con un minimo dispendio di energia muscolare con la bilancia in pareggio o addirittura in attivo, cioè l'energia (vocale) che ottieniamo uguale o superiore all'energia utilizzata. Se aumenta la pressione sottoglottica, noi abbiamo una bilancia negativa, cioè lo sforzo impiegato (o energia) è superiore a quella risultante (il canto), ma non solo! Il suono prodotto non sarà più puro ma si sommerà ad altri "rumori" prodotti da laringe e faringe non più in stato di quiete (gola "morta"). In questo secondo caso, quindi, lo sforzo produce un contrasto, un'azione muscolare anche molto evidente, che a molte persone piace appunto perché dà l'idea di una vittoria dell'uomo "forte" che doma la natura a prezzo di fatica. Il cantante che si esprime con facilità e sicurezza, piacerà anche, ma con un vago senso di insoddisfazione perché non è il maciste che riduce il nemico cattivo a più miti consigli. In questo senso, proprio al contrario di quanto mi viene imputato da alcuni, è chi cerca di modellare il proprio strumento con la volontà, che oppone un presunto "bene" a un istinto "malvagio", a una natura "matrigna". Infatti io ho sempre detto che la natura e l'instinto non vanno contrastati, ma aggirati. Ma questa è un'altra storia.

domenica, marzo 29, 2015

Il doppio apparato

Il titolo "il doppio apparato" è fuorviante, lo so, è una specie di licenza che mi prendo non sapendo come diversamente focalizzare l'argomento che vado ad esporre.
Il pensiero che sta dietro questo argomento è: ma la voce è fisica, viene prodotta da una vibrazione muscolare, quindi i discorsi relativi a spirito e varie idealità su cui scrivo a fiumi in questo blog, sono pura fantascienza e alla fin fine potrebbero definirsi "fuffa". In parte può essere vero, ma è doveroso da parte mia cercare di focalizzare meglio la questione per arrivare a una illustrazione coerente e fondata, benché questo genere di spiegazioni si basino su una libertà di pensiero che deve esserci anche da parte di chi legge; se si cerca la via della spiegazione convergente, oggettiva (cioè della voce oggetto), scientificamente enucleata, si farà poca strada.
Mentre non è assolutamente vero che esistono più apparati, questo è pacifico, esistono due "sfere" vocali, quella prettamente fisica e quella prettamente mentale; così divise sono entrambe inconsistenti. La prima sarà rozza, rumorosa, povera, la seconda impossibile per mancanza di suono. Quindi ci troviamo con due entità, che precisamente chiameremo suono e voce, dove voce sta per vocale (AEIOU). Il suono è il prodotto di una vibrazione fisica, la vocale è il prodotto di un sentimento; il primo si sente, la seconda no [aspettate a dire che si sente], ma dovendosi manifestare lo fa mediante il nostro "carburante" fisico più sottile, il fiato. E' ciò che si è sempre chiamato: sospiro. Sospiri d'amore, sospiri di malinconia, di solitudine, di dolore... Quando sentiamo una persona che sospira ci preoccupiamo o comunque ci interessiamo; il sospiro altrui, benché così leggero e silenzioso, richiama la nostra attenzione, ci colpisce perché va nel profondo, nell'intimo. Un genitore se coglie un sospiro di un proprio figlio si preoccupa subito: sarà innamorato o avrà dei problemi? Spera forse la prima cosa ma indaga e insiste per sapere perché nel caso vuole interevenire e cercare di portare aiuto. E' umano, è giusto. Questo per dire quale potenza interiore questo piccolo gesto possa suscitare. Il canto si muove all'interno di questi due mondi: il mondo del suono, pura vibrazione fisica, di per sé arido, e il mondo del sospiro, unica manifestazione ed espressione dei sentimenti, potente ma con limiti sonori. Il sospiro è propedeutico alla vocale. Ogni sentimento ci richiama una o più vocali: la meraviglia, lo stupore, il timore, l'orrore, ecc. Ad ognuna di queste espressioni si accompagnano espressioni del viso e relative vocali. Questi due mondi sono diversamente collocati, sono distanti: il suono si genera e amplifica nelle cavità interne e rimane fine a sé stesso, non ha alcun significato, il sospiro si genera sulla "punta" del fiato [direi persino "oltre" il fiato], esternamente al corpo (sospiro creatore). Questo quasi inudibile e insensibile spunto vocale è la vera base della grande vocalità artistica, la quale non può esprimersi eludendo i sentimenti, che sono la caratteristica più importante dell'uomo evoluto. Dunque da un lato abbiamo una vocalità prettamente sonora, fisica, esteriore, che risulterà piacevole e interessante a chi guarda fondamentalmente agli aspetti superficiali, edonistici delle manifestazioni artistiche (che a questo livello non possono essere tali), dall'altro abbiamo una vocalità che non sembra capace di esprimersi in termini di percezione di massa. Ma non è così, fortunatamente. La risposta starà nell'unione tra queste due sfere, dove la prima, relativa al suono, dovrà cedere particelle minime della propria azione a favore dello sviluppo sonoro del secondo, fin quando il primo rimarrà pressoché annientato nel suo ruolo di mero pulviscolo di supporto alle vocali (quindi alle parole), intese come massima espressione del pensiero creativo e dei sentimenti, per cui rimarrà, coscientemente, solo questa parte o, in termini erronei ma forse più comprensibili, questo apparato, l'apparato vocale dell'anima e delle emozioni sottili, che non possono trasmettersi attraverso la pesantezza e la densità del solo suono laringeo. Abbiate pensiero divergente, non lasciatevi ingannare dal pensiero razionale e "piccolo". Osate e abbiate coraggio nell'intraprendere esperimenti, lasciate e lasciatevi andare, non limitatevi alle meschinerie meccaniche e divisorie. Il canto siete tutto voi; quando si dice che si canta con tutto il corpo, non pensate al corpo fisico, è una sciocchezza, il corpo inteso come aura, come insieme di energie e reti sottili che fanno sì che esista la vita ed esistano le arti, le comunicazioni invisibili, i legami tra gli esseri.

martedì, marzo 24, 2015

Linguaggio macchina

L'evoluzione, o per meglio dire il tempo piuttosto notevole che intercorre tra i primi esperimenti di costruzione di elaboratori elettronici, più o meno al termine della II Guerra Mondiale, e la commercializzazione diffusa dei PC a metà degli anni 80, in cosa è consistita? Nel trovare l'interfaccia, ovvero la possibilità di dialogo tra l'uomo e la macchina. Un'apparecchiatura elettronica può compiere calcoli a notevolissima velocità, perché non fa altro che aprire e chiudere circuiti alla velocità del flusso elettrico. Aprire e chiudere circuiti significa fare "zero" o "uno". Mettendo in parallelo tanti circuiti, si ramifica e amplia la comunicazione fino a poter elaborare serie molto elevate di dati. Il nostro pensiero è ancora più rapido, e possiede capacità immensamente superiori. Si può capire da qui quale sia il problema. Se l'uomo non è in grado di dialogare con un linguaggio macchina, figuriamoci come possa farlo con un codice ancor più vasto e rapido. Quindi c'è un freno, una sorta di "imbuto" che rallenta tutto il flusso. Questo rallentatore nei cervelli elettronici è costituito da diversi "strati" di linguaggi che si definiscono evoluti perché rendono il linguaggio binario adeguato al nostro quotidiano, ma a prezzo di un sensibile contenimento del funzionamento (chi non si lamenta della lentezza dei PC e dei quasi continui problemi?). Che poi sia più o meno evoluto è un'opinione discutibile. Il pensiero umano incontrando il cervello fisico si trova nella stessa situazione; incontra praticamente un muro contro cui si infrange. Ma è un filtro necessario, perché l'uomo essendo un organismo della Natura, ne subisce i limiti, quindi il pensiero deve adeguarsi a questa velocità. E' come se un aereo o un razzo, che può volare a velocità supersoniche, si trovasse a dover percorrere una strada cittadina. Questo è anche il limite estremo della comunicazione verbale. Come possiamo tradurre in termini il pensiero, cioè un flusso luminoso o energetico? Anche molta fantasia, creatività, intuizione, sono limitati dalla concettualità dei sensi, cioè dal fatto che rapportiamo tutto a rappresentazioni materiali. Ma l'arte è, o meglio può essere, flusso del pensiero, e quando ci si trova nella condizione di realizzarla, non è più oggetto, cioè non è più "qualcosa che" viene da me, ma sono io, non c'è, non ci può più essere dualità, e così la musica, che non è più, non deve e non può più, essere molteplicità (di fenomeni o eventi), sono io. In questo senso sta anche il limite di considerare la voce "naturale". C'è, "NATURALMENTE", una voce naturale, che appartiene, per l'appunto, a un soggetto sottoposto alle leggi della Natura, ma proprio per questo limitata. Voler fare canto, e quindi vocalità, artistici, significa necessariamente superare i limiti naturali, pur dovendo gioco forza restare nei limiti delle possibilità fisiche del corpo umano. In sintesi: l'uomo ha la possibilità di esprimere una vocalità artistica, che va ben oltre la semplice naturalezza della sua esperienza spontanea e quotidiana; questa la può raggiungere mediante un lungo e impegnativo lavoro su sé stesso, oppure può avere la fortuna di incontrare uno o più maestri che lo avvantaggino e ne favoriscano la crescita cosciente. Questo lavoro con i maestri, sarà necessariamente basato su un linguaggio multiforme che definiamo empirico, che non può essere solo quello verbale, perché esso è tremendamente limitato, per cui ciò che diciamo di continuo è: non fidatevi di trattati e corsi esterni a voi; il canto si può imparare solo mettendosi in gioco personalmente, perché tutto ciò che esiste e esisterà è nel nostro pensiero. Purtroppo ogni volta che nasciamo dobbiamo cominciare tutto da capo, e i tempi si allungano, ed è per questo che esistono i maestri, per stringere i tempi e permettere all'uomo di evolversi un po' più rapidamente. Purtroppo però c'è una legge che ad azione corrisponde reazione, per cui ad evoluzione rapida, cioè a qualità crescente, corrisponde analoga involuzione, cioè aumenta quantitativamente il numero di persone che tende ad abbassare la qualità, ad opporsi alla qualità e ad ostacolarne il cammino. In questo processo ci sono anche la falsa crescita e l'evoluzione apparente. Sembrano temi molto distanti dal canto, ma non è così. Chi si coinvolge in questo argomento non solo superficialmente, se ne renderà conto, se vorrà, oppure, forse, potrà rinunciare o tentare di starne a parte. A volte ci si riesce, dipende dalla coscienza, ma occorre anche considerare che il desiderio di conoscere a fondo, di migliorare e perfezionarsi è una manifestazione d'amore.

sabato, marzo 21, 2015

Osservare e ascoltare

In un vecchissimo articolo, pubblicato su un periodico musicale nel 1838, si pubblicizza l'uscita di un nuovo straordinario metodo di canto, del m° Gustavo Carulli (che scopro essere figlio di un ancor oggi notissimo chitarrista), il quale deve "dare un gran crollo ai metodi antichi" (questo dice la stampa francese). Quello che mi colpisce sono i "più anni d'osservazioni". Carulli pur essendo italiano, dimorò a lungo in Francia e infine vi si stabilì definitivamente, e infatti nell'articolo si dice che l'autore "tende ad applicare il metodo italiano al canto francese.", frase che mi lascia alquanto perplesso su cosa voglia significare, ma potrebbe proprio trattarsi di quel passaggio da un sistema tipicamente francese, che aveva nell'emissione dei contraltini leggeri il proprio punto caratteristico, a un metodo italiano più viscerale e forzato. Come è noto, siamo proprio negli anni in cui al canto elegiaco di Nourrit si sostituirà quello prettamente stentoreo di Duprez, e siamo negli anni che precedono le osservazioni dell'Accademia delle Scienze di Parigi e il metodo Garcia, cioè il momento in cui si passa dall'ascolto all'osservazione. In passato poco o nulla si osservava, se non la giusta "acconciatura" della bocca e la giusta postura fisica. Le novità invece riguardano le osservazioni rispetto ai movimenti laringei e diaframmatici. Credo che questo passaggio sia stato particolarmente infelice, perché è scemata una dimensione imprescindibile come l'ascolto a favore di una che non è da minimizzare ma solo relativamente a pochi elementi, cioè bocca-viso e postura generale. Capita anche a me di guardare cosa succede a livello di laringe, sterno, fronte, sopracciglia, collo, gambe, torace, per vedere l'esistenza di colpi e contraccolpi, tensioni, spasmi ecc. Di queste osservazioni in qualche raro caso faccio parte anche l'allievo, solo per pura informazione, e comunque non faccio mai seguire alcun consiglio relativo al controllo di questi movimenti. So benissimo che esistono e che è normale che esistano, e so benissimo che spariranno quando la disciplina avrà la meglio su quelle forze endogene che stanno opponendosi alla disciplina stessa. Cercare di averne vittoria con un controllo volontario e muscolare, significherebbe solo indurne ancor più la reazione, oppure bloccarle con la pura forza fisica, ma non con questo domarle, e quindi ritrovarle più agguerrite e vincenti dopo qualche tempo. E' invece con l'ascolto che si può indurre, consigliare, la strada giusta, è con l'esempio (e quindi con l'ascolto da parte dell'allievo) che si sensibilizza la mente-udito a cogliere le differenze, e sarà poi lei (mente) a generare quanto necessita per produrre un risultato analogo.

martedì, marzo 17, 2015

Lo specchio

Quello del riflesso è una suggestione che governa gran parte della nostra vita. Noi percepiamo il pensiero, l'idea, il sentimento, la fantasia, la creatività, l'emotività e molte altre cose come qualcosa "dentro", e vediamo il mondo "fuori". Non è detto che le cose stiano veramente così, anche se non voglio entrare troppo in questa riflessione (!), perché mi porterebbe troppo lontano. Comunque la questione è che noi non sappiamo esattamente come stiano le cose, noi percepiamo il mondo non "come è" ma come la nostra mente ce le mostra, mettendo e togliendo ciò che ritiene sia bene si veda (o si senta...) o non si veda (...). In realtà, quindi, anche il mondo esterno dovremmo vederlo "dentro", ma questo limiterebbe i nostri movimenti, cioè la nostra spazialità. In compenso crediamo di ricostruire il mondo entro di noi per figurarci situazioni immaginarie che vorremmo o potremmo vivere, i sogni, notturni o in veglia. Da queste meditazioni, passiamo a un tema più concreto e, se vogliamo, meno poetico. Da ormai diversi decenni alcuni insegnanti di canto, più o meno suggestionati da presunti/u (...osi) competenti, hanno portato a concepire il canto entro il corpo. Come questo possa essere vissuto io non riesco più a concepirlo! Possiamo immaginare un pianista che pensa il suonare "dentro" di sé? o qualunque altro strumentista, o un pittore, uno scultore? Non sto parlando, si badi bene, di idee che nascono dentro e poi trovamo realizzazione fuori, ma propriamente di un'attività fisica. Si dirà: le braccia sono esterne, quindi non è facile il pensare che i movimenti degli arti nascano internamente. Bene, ma è così diverso? Perché noi dobbiamo pensare al punto di partenza? Il fiato esce, il suono vocale esce, a meno che non lo si voglia volontariamente trattenere; il pubblico è fuori, fuori c'è l'orchestra il teatro, altri cantanti... perché farsi abbindolare da una pletora di cialtroni che vuole illuderci ingenuamente che da dentro possa scaturire qualcosa di meglio rispetto a quanto avviene all'esterno? Invertiamo lo specchio. Non è il suono che "entra", ma noi guardiamo la nostra voce (che è lo specchio di noi) che si diffonde, sublime, incorporea, tutt'attorno a noi, che avvolge i nostri simili e concorre con gli oggetti inanimati a creare uno spettacolo sonoro meraviglioso. Noi dobbiamo volerlo, non farlo!

sabato, marzo 14, 2015

L'infanzia creatrice

Leggendo recensioni giornalistiche teatrali ottocentesche, mi imbatto spesso in cantanti, soprattutto donne, che cantavano già ruoli primari intorno ai 15 anni. L'Antonietta Fricci (Frietsche) debuttò prima dei 18 anni, e fece una carriera pregevolissima. Queste persone, oltre a doti notevoli, hanno iniziato lo studio del canto e della musica a 7/8 anni. Del resto lo stesso Tito Schipa studiò oltre sei anni con il m° Gerunda (poi ancora qualche tempo con Piccoli) e debuttò giovanissimo. Dunque il dato da rilevare è che cominciando molto presto si superano determinate difficoltà. Io stesso mi resi conto che iniziando lo studio pur ancora giovane, intorno ai 20 anni, già mi ponevo un sacco di problemi che mi bloccavano nell'ipotesi di intraprendere un percorso professionale del canto. Questa cosa, ne ho già parlato, si chiama pensiero divergente. I bambini ce l'hanno tutti o quasi, e consente loro di fare ipotesi straordinarie e dare risposte meravigliose. Queste dalla maggior parte degli adulti sono considerate "stupide", perché partorite da menti immature, dunque da non prendere in alcuna considerazione. Dopodiché i bambini non perdono questa capacità perché crescendo si cambia, ma perché gli adulti e, ahimé, le scuole, uniformandosi a un pensiero convergente di tipo scientifico, abbattono questa capacità, che rimarrà solo in alcuni, per propria capacità "resistente" o perché inserito in una famiglia o comunità che lascia spazio e possibilità creatrici e critiche, ecc. Oggi a livello di scuole d'arte si assiste a un innalzamento sempre maggiore dell'inizio degli studi d'arte, fortunatamente contrapposti da scuole o corsi, ancora una volta ahimé, di carattere per lo più privato, che cercano di recuperare un po' delle straordinare possibilità della mente e del corpo infantile di esprimere l'immenso potenziale di cui sono capaci. Poi ci penseranno la scuola e la famiglia a "ucciderlo".

giovedì, marzo 12, 2015

La proiezione

Si parla spesso di "proiezione", ma il sottinteso - malinteso - è che si dovrebbe "mandare" il "suono" in qualche posto, il che sottintende un secondo e un terzo errore, cioè l'oggettivazione della voce, quindi lo scambio tra suono e vocale e infine la "spinta" o schiacciamento del suono per proiettarlo. Le parole si basano sulle vocali, le quali si possono SOLAMENTE formare fuori di noi. Qualunque vocale nata all'interno dello spazio orale (o addirittura oro-faringeo), anche solo pochi millimetri interiormente, non è vocale pura, quindi inquinata, falsa; internamente si forma solo suono, il quale, bello quanto si vuole, è privo delle qualità musicali proprie dell'essere umano evoluto. In secondo luogo la voce, con queste caratteristiche, è tutt'uno con l'essere che l'ha creata, quindi non è "oggetto", ma fa parte del soggetto. La voce sono io. In terzo luogo la proiezione non deve giammai essere intesa come qualcosa (che già sottintende l'erronea oggettivazione) che va mandato in qualche posto, ma si proietta come un'ombra, quindi senza alcuna materialità. Il nostro pensiero è illuminazione, luce, dunque quale miglior metafora della luce che proietta nello spazio circostante la nostra purissima parola? Questo pensiero non può che cancellare qualunque traccia di materia e di azione meccanico-muscolare.

martedì, marzo 10, 2015

Epoké

Scrisse Husserl, padre della fenomenologia: "mettere tra parentesi (epoké) tutte le conoscenze teoriche che abbiamo, per cercare di cogliere la dimensione palpitante e viva dei fenomeni". Dalla fenomenologia di questo grande filosofo, ne è derivata, in buona parte, quella musicale di Sergiu Celibidache. La frase riportata può sembrare persino banale, ma è a valle di un pensiero molto elaborato e profondo. Nel nostro campo diciamo "superare la tecnica". Lo dissi nel 1983 quando incontrai la prima volta il M° Antonietti, senza avere la più pallida idea di ciò che stavo dicendo. Lui fece un salto sulla sedia, poi mi spiegò che questo era il suo obiettivo in quanto insegnante e la sua situazione. Rimasi perplesso e non molto convinto; sono lieto di aver avuto questa reazione, per qualche tempo non fui neanche molto convinto di prendere lezioni da lui, perché alcuni fogli letti mi avevano lasciato molti dubbi, poi si verificò una condizione che mi fece tornare la curiosità e un po' più di fiducia. Quella magica condizione di LIBERTA' la trovai dopo molti anni; non fui CONVINTO, ma intuivo. Gli aspetti semantici di questa disciplina artistica mi vennero però solo in parte da Antonietti, che scriveva di Gnoseologia in modo assai elaborato, ma non sempre a me chiarissimo, ma dalla scuola Celibidache. E' abbastanza comune sentir dire: metti da parte la tecnica e lasciati andare, pensa al canto. A volte si ottengono anche risultati interessanti, ma certo saranno limitati se non siamo riusciti a fare il salto. Il m° faceva analogie con il "passare attraverso il muro" o "camminare sull'acqua"; paradossi che però danno la dimensione di quale altezza, di quale percorso interno si debba prendere coscienza. Non basta "mettere da parte", ma bisogna aver chiara qual è la "dimensione viva e palpitante" dei fenomeni. Se, ad esempio, non stiamo sulla parola, non la facciamo arrivare a destinazione, ma ci accontentiamo che se ne colga la superficiale comprensione, siamo lontani dalla dimensione viva e palpitante! Figuriamoci poi in tutti quei casi, e sono davvero tantissimi, in cui non si coglie nemmeno una generica pronuncia! E questo è solo uno dei fenomeni, anche se forse il primo e più evidente e indispensabile. In questa scuola si è colto il nesso tra questo e tutti gli altri. Se manca la dimensione verbale pura, le conseguenze si riverbereranno anche su tutte le altre! Ci saranno limiti nell'appoggio, nella giusta respirazione, nella sonorità ed espansione della voce nell'ambiente, nella comunicazione affettiva, nei parametri musicali. Non si confonda poi il concetto di "conoscenze teoriche" con lo studio. Le conoscenze teoriche sono un di più, un aiuto all'orientamento e al consolidamento della lezione empirica, ma da considerarsi sempre uno sfondo; solo chi aspira anche all'insegnamento avrà necessità di consolidare e completare anche un contenuto teorico. Lo studio sia vocale che musicale è la disciplina, il percorso (per qualcuno potrebbe rivelarsi persino un "calvario"!) che porta alla libertà. Quella è la meta e occorre un non indifferente spirito di abnegazione per puntare dritto a quel sublime raggiungimento, e lo si deve fare non in nome di un personale traguardo narcisistico, ma per un'elevazione evolutiva che faccia scoprire non quanto "io" ho più degli altri, quanto sono stato bravo a raggiungere questo grado di abilità, ma per tentare un'elevazione generale di quanti verranno a contatto con me e a loro volta da quanti avranno appreso a liberare sé stessi. Non c'è nulla da guadagnare in termini materiali, forse più da perdere, ci sarà da perdere anche molto sul piano relazionale e umano; quanto più ci si avvicina alla verità quanto più l'opposizione sarà cruda e violenta. Non c'è da aspettarsi né riconoscenza né grandi soddisfazioni; solo di quando in quando si potrà dire all'attimo fuggente: arrestati, sei bello! (A. Boito: Mefistofele).

venerdì, marzo 06, 2015

Il peccato originale

Quando si parla spontaneamente, i nostri tre apparati respiratorio-vocali formano un'unità, si correlazionano tra loro e ciascuno ci mette una percentuale di lavoro ma all'interno di un gioco sempre equilibrato. Ovviamente questa sinergia è indirizzata unicamente alla manifestazione dell'attività verbale che possiamo definire istintiva, cioè legata a questa necessità comunicativa che l'uomo possiede nel proprio DNA. Niente di più è previsto, anche se molte persone possiedono un "di più", ma quello fa parte di un "tesoro" di potenzialità che si possono manifestare nei modi più vari, e che viene definitvo perlopiù "talento". Le persone che vogliono sviluppare i propri interessi cercano il modo di coltivare la propria passione mediante studi. Nel nostro caso si studia vocalità e canto. Ricordo quanto ho scritto nella prima riga: il parlato realizza un'unità dai rapporti tra apparati (quindi ne è una manifestazione). Cosa fanno la stragrande maggioranza degli insegnanti di canto? Dividono, cioè spezzano quell'unità! Quello che è il più difficile e faticoso obiettivo da raggiungere, cioè creare un'unità, e che nell'uomo già si trova pronto, gli insegnanti lo massacrano, e ovviamente non riusciranno più a ricrearlo. Il tutto nacque quando si cominciò a parlare del canto in termini scientifici e accademici, verso metà Ottocento, e non si può negare che Garcia sia stato credo il primo a mettere in crisi un'insegnamento che fino a quel momento si basava su un'empirismo che però partiva già da uno stato di fatto, il parlato, e ne sviluppava i contenuti e le strutture (respirazione). La scienza o meglio il metodo scientifico sono deleteri in tanti campi, ma in quelli artistici è un disastro, appunto perché analizzando e suddividendo, porta a risultati analoghi, cioè isolati e parziali e sostenendo un pensiero di tipo "convergente" (il pensiero "piccolo"), a risposta univoca, non contempla la fantasia, la creatività, ovvero il pensiero divergente (o il grande pensiero). Se l'insegnante di canto come prima cosa ci fa studiare la respirazione come tecnica a sé e cerca di farla applicare poi alla vocalità, ha già commesso un micidiale peccato originale: ha provocato una scissione degli apparati, perché si cercherà di applicare alla voce una respirazione che non è più rapportata a quanto avviene a livello strumentale e articolatorio. Naturalmente non si può sapere quale respirazione necessita a livello strumentale e articolatorio per crescere, ma di certo non è suddividendo e cercando di sviluppare separatamente i tre apparati che si conquisterà l'arte vocale, anche perché cosa si può fare a livello laringeo per migliorare qualcosa che non veda coinvolta la respirazione? E come si potrà migliorare l'articolazione e l'amplificazione senza la respirazione che a sua volta non sia condizionata da una certa postura strumentale? Sono pie illusioni che muovendo in qualche modo la laringe si possa ottenere qualcosa di più efficace. Persino consigli apparentemente positivi, come il pensare di rilassare la gola per realizzare un miglior rapporto tra spazi (!!??) va a generare situazioni di isolamento o concentrazione e quindi di divisione rispetto all'aspetto originale. Abbiamo una grande fortuna: noi il peccato originale (vocale) lo possiamo evitare, non ce l'abbiamo addosso. Dobbiamo fare in modo che l'educazione vocale parta dalla situazione esistente ottimale, cioè il parlato semplice, e lo sviluppi coerentemente (ma guarda) nella sua manifestazione. Ogni tentativo di manipolarlo, di farlo lievitare mediante movimenti, spinte, gonfiaggi, tiraggi, alzaggi, schiacciaggi, affondaggi e quant'altraggi provocherà difetti. Non è che non si potranno ottenere determinati tipi di risultati, questo è il guaio, si potrà avere una voce più timbrata, più forte, più estesa, ma allontanandosi da risultati artistici di valore. Poi a ognuno andrà bene qualcosa di diverso; chi si accontenta gode, e va bene così. A chi non va bene così, si informi e ci rifletta!

martedì, marzo 03, 2015

Il trattato - 15

L'Arte è la sublimazione di un istinto e questa sublimazione può solo conoscerla chi ha superato l'istinto. Questo discorso vale per tutti. 
Il termine "sublimare" può risultare un po' oscuro, però non so quale altro possa essere più efficace. Husserl e Celibidache utilizzano il termine "trascendere", ma anche questo si può prestare a interpretazioni di comodo o non condivise. Noi non possiamo modificare l'istinto, ma possiamo fare in modo che esso, eccezionalmente, contempli un'attività non prevista dal suo ruolo contingente, ma presente nel suo bagaglio di potenzialità, la qual cosa potrebbe avvenire solo nel caso insorgessero modificazioni profonde nella vita dell'uomo, ma grazie a una disciplina che contempli la conoscenza dell'istinto e all'urgente necessità artistica del soggetto, questa conquista è possibile.
Ritornando alla respirazione, osserveremo che la respirazione fisiologica, intesa come respirazione esistenziale, non ha con quella artistica altra relazione se non quella relativa all'esigenza di sopravvivenza e relazione della specie. Quindi, tutti i soggetti, ripetiamo: tutti, indistintamente, applicano, con difetti più o meno accentuati la respirazione istintiva in particolare. Elevare la respirazione istintiva o esistenziale ad Arte significa superare quei confini esistenziali che sono comuni a tutta la specie e ciò si deve considerare come un privilegio potenziale talmente eccezionale da farne dubitare la possibilità di accesso. Intendere questa possibilità scientificamente, propria di ricercatori che non hanno sublimato l'atto respiratorio e quindi formato l'apparato fonico perfetto, significa precludere, irrimediabilmente, la conquista della respirazione artistica, perché chi non ha conquistato il "senso" della respirazione atta al Bel Canto, intesa come pura Arte, si trova nella impossibilità di conoscere ciò che si intende per Arte della fonazione, così come per qualsiasi altra Arte, se non si sublima l'atto che la determina. 
Sublimare l'atto o il gesto è, a mio parere, concetto più semplice e appropriabile da molti. Questa frase o concetto ricorre spesso nel blog, ma la comunicazione del m° resta sempre molto efficace e pregnante.
Non è escluso che la Antica Scuola Italiana, che ha invano cercato un termine adatto
per indicare la respirazione atta al Bel Canto (che noi chiamiamo artistica), abbia orientato giustamente, sostenendo che la parete anteriore superiore del ventre (parete addominale) debba essere attirata leggermente in dentro, raggiungendo così un completo dominio sul principio di ogni atto respiratorio, in antitesi con i sostenitori della respirazione diaframmatica, che volevano (e vogliono) la parete addominale leggermente avanzata. La Verità è che una è l'integrazione dell'altra, e questa nostra "scoperta" (meglio: osservazione) è di fondamentale importanza, non solo per quanto riguarda il periodo educativo o di impostazione della voce, ma anche durante il Bel Canto vero e proprio, che, come una seconda Natura (quindi apparentemente in modo inconscio) fa
uso di questa o quella respirazione, cioè è di questo o quell'atteggiamento respiratorio, a seconda delle esigenze.
Le due fasi di apprendimento del canto e della respirazione artistica. Qui ancora non si accenna alla terza fase, la conquista vera e propria di quella che può essere definita respirazione "galleggiante". Notare che il m° definisce Bel Canto semplicemente il periodo in cui si canta professionalmente quando si è in possesso di una vocalità artistica.
Non ci soffermeremo sui dettagli, perché sicuramente genereremmo false interpretazioni di comodo. E’ vero che si possono dare dei suggerimenti, al fine di evitare seri guai, ma è anche vero che si possono creare seri guai se non si comprende in pieno il nostro intendimento e ciò che si vorrebbe far ottenere.
Il m° ha sempre manifestato dubbi su ciò che andava scritto e cosa no. Temeva fortemente, e giustamente, che ogni cosa potesse essere interpretata in modo distorto e quindi che invece di produrre miglioramenti potesse generare problemi. Agli stessi allievi diceva, perlomeno per diversi mesi all'inizio, di non fare assolutamente niente a casa. Egli poi aveva una concezione quasi ascetica, d'altri tempi e d'altri luoghi sull'insegnamento; tutte formule oggi impossibili da proporre.Sicuramente ciò che dobbiamo sostenere con forza è di non provare a imparare a cantare da quanto si trova scritto, qui o altrove. Gli scritti possono tutt'al più orientare, ma prima di leggere bisogna fare il vuoto, occorre leggere con oggettività, senza giudicare e senza lasciarsi troppo coinvolgere, e deve servire come base di discussione con il proprio insegnante.
Noi non consigliamo mai di iniziare l'educazione della voce parlando all'allievo di respirazione, perché la conquista del senso respiratorio è la chiave di tutto il problema. Sarà il tempo che fornirà l'occasione per coinvolgere la respirazione nella lezione.
Questo è uno dei temi più contestati, sicuramente, ma a mio avviso è anche uno dei punti di maggior forza di questa scuola.