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domenica, maggio 31, 2015

Dualismo

La tendenza umana è quella di dividere, anche quando pensa di fare bene, virtuosamente. Ad esempio un principio molto diffuso è quello del dialogo; perbacco, chi non sosterrebbe che il dialogo è importante e va incentivato? Pensiamo a tutto il discorso sulla pace nel mondo: non è col dialogo che si può, se non fermare le guerre perlomeno mitigarle o diminuirne il numero? Sì, però il dato negativo è che il dialogo sempre di una divisione parla, "io e te" o "tu e lui", che col dialogo sicuramente potranno trovare qualche posizione meno contrastante, ma che non partono (e quindi difficilmente arrivano) (d)a un'ipotesi di unificazione. Lasciando da parte i temi giganteschi dell'umanità, e dedicandoci invece ai nostri più abbordabili argomenti musicali, ci troviamo comunque nella stessa situazione. Pubblico ed esecutori: una divisione. Si potrebbe trovare non solo logica ma indispensabile questa divisione di ruoli, e infatti è così, ma la questione è che non c'è una volontà unificante; gli uni sono lì per suonare e cantare, cercando in qualche modo il plauso di coloro che ascoltano, gli altri per ascoltare. Quante volte abbiamo sentito, o anche detto, oggi non abbiamo suonato tanto bene, ma "tanto nessuno se n'è accorto"? Oppure l'amico che viene a salutarvi dopo il concerto e voi gli dite: "oggi non eravamo molto in forma, abbiamo commesso diversi errori" e quello: "oh, non se n'è accorto nessuno". Cosa c'è dietro questa situazione? Diverse cose; prima di tutto l'ignoranza, detto non con cattiveria o accusa, ma con malinconia, con tristezza. Le persone sentono imperioso il desiderio di ascoltare musica, ma non sanno perché, e non sanno COSA ascoltare. E di qui, come ho scritto precedentemente, ecco l'INVENZIONE! Inventano gli esecutori, inventano gli spettatori. Non sapendo cosa ascoltare, ci si inventano dei criteri senza fondamento, cui poi molti si aggrappano perché offrono un appiglio alle critiche che diversamente rimarrebbero vuote, silenziose, e siccome le persone non ci stanno a fare la figura di coloro che non hanno nulla da dire, trovano buon gioco nell'attaccarsi a qualunque spunto, magari, nel caso di persone più modeste - almeno apparentemente - premettendo un "io non me ne intendo tanto ma...". E appunto in quel "ma" ci stanno tutte le contraddizioni del mondo. Pensate un po' a un esecutore qualsiasi, che viene avvicinato da uno spettatore che dice: "io non me ne intendo, ma lei mi sembra proprio bravo". Si risponde "grazie", ma qual è il valore di quel messaggio? "il mio giudizio non vale niente". Ma se, al contrario, il messaggio fosse: "non mi è piaciuto molto", la risposta del musicista sarà, il più delle volte, "lei non capisce niente!". Il vero fondamento di tutta la questione sta nell'assunto che, pur con diversi ruoli, le persone, gli uomini, si ritrovano per UNIRSI nella musica. Se un concerto, o una rappresentazione, fosse, come dovrebbe, un EVENTO, non di tipo spettacolare in senso esteriore, ma di tipo interiore, si troverebbero non gli elementi che dividono, ma quelli che uniscono. Sempre più persone vanno in teatro per trovare ciò che non piace, ciò che non funziona, per lamentarsi, per criticare, accusare e incolpare. Il guaio è che... hanno quasi sempre ragione. Ecco, però, che qui già compare un elemento di frizione, cioè: la ragione! Non è romanticume dire che in primo luogo bisognerebbe ascoltare "col cuore". Può significare anche solo togliere quella vocina interna e quella prevenzione rispetto a ogni cosa che tocca i nostri sensi. Meglio ancora, significa escludere i sensi; non in senso fisico, ovviamente, che è impossibile, ma in senso di approccio volontario; lasciarsi conquistare dall'evento senza giudizio e senza fretta. La musica non è una "cosa" quindi non la si può afferrare, ma la ragione vuole possederla in qualche modo, e il sistema più banale è quello di definirla, di trovarne aspetti concreti su cui disquisire (dibattere, discutere... come si noterà, tutte parole che, come dialogo, iniziano per "di", cioè "di"videre, vedere da due angolazioni). Tutto questo si basa su un vero ma allo stesso tempo erroneo assunto, cioè la diversità delle persone, o meglio singolarità. E' assolutamente vero che siamo tutti diversi, ed è un principio fondamentale e intoccabile. Allo stesso tempo non dobbiamo sottovalutare il fatto che apparteniamo a una stessa specie. La diversità dell'uomo non consiste nell'essere uno un pesce, uno un uccello, uno un insetto, oppure uno un marziano, uno un vesuviano, ecc. Siamo tutti appartenenti a una stessa specie e quindi siamo dotati tutti di uno stesso "kit" di sopravvivenza in questo mondo fisico in cui ci troviamo a vivere, e questo è lo stesso per tutti, vuoi dal punto di vista, per l'appunto, fisico, che conoscitivo, anche se ognuno si trova a farne un uso diversificato per diverse ragioni, volute in parte dalla conoscenza stessa, in parte dalla fisicità o razionalità, che vuole limitare quegli aspetti irrazionali, astratti trasmessi dal pensiero. Dunque, dicevo, ignoranza da un lato, cioè carente o erronea istruzione generale, requisiti limitati per consentire il risultato unificante. Specifichiamo meglio. L'istruzione nelle scuole è scarsa e fondamentalmente poco significativa; si basa su esecuzioni banali e prive di requisiti pregnanti, su ascolti di valore culturale, quindi poco significativi ai fini dell'appropriazione artistica, nei casi migliori si basa su un'educazione dell'orecchio, che ha qualche buon valore, ma certo marginale. Ma quando mai si parla di percorsi tensivi, di apici, di "valli", di punti massimi, di momenti di tensione e distensione da vivere e qualificare? Alla fine tutto si esaurisce in "capolavori", lavori di buona fattura, lavori modesti, ecc., il tutto deciso non si sa bene da chi. Ma non è che gli esecutori ne sanno tanto di più! Spesso e volentieri tutto si esaurisce in "suonare" le note di un brano il più precisamente possibile, talvolta, o nel suonarle secondo visioni personalistiche, arbitrarie, altre. In queste condizioni l'obiettivo di condivisione, di un vissuto unificante e fuori dal tempo e dello spazio si fa arduo. Quale ruolo gioca in questo la tecnica e l'aspetto più squisitamente e materialmente esecutivo? Suoni non ben intonati, errori di lettura, incertezze, fraseggi stentati o di difficile gestione, voci ingolate, belanti, velate, dizioni pessime, possono inquinare un risultato unitario? Certamente sì! Con tutte le migliori intenzioni e conoscenze teoriche, se mancano e risultano carenti determinati requisiti come minimo distraggono, assumono un rilievo dove il rilievo deve andare altrove. Però non è questione, o solo questione, di professionismo! Si tratta di saper fare anche le giuste scelte. Anche in questo senso l'umiltà, il giusto peso da dare a ciò che si vuole eseguire, è determinante. Un cantante che vuole affrontare prima del tempo brani di notevole impegno, si pone già fuori dalle possibilità di gestione esemplare. Facendo scelte giuste, anche uno studentello può realizzare sogni meravigliosi, cioè, lo ribadisco, non "avere successo", ma consentire a chi ascolta di vivere insieme a lui un attimo di verità.

sabato, maggio 23, 2015

I marziani

Mettetevi comodi, che è lunghina. Spesso anche persone apparentemente umili o comunque non particolarmente esposte, nel loro intimo pensano di essere onnipotenti. Diciamo pure che un po' tutti lo pensano, ma quando dico "pensano", non intendo che lo vogliono, ma che c'è in loro, inconsciamente, l'idea di un potere eccezionale e che possono o potranno o sognano di trasgredire determinate leggi. Questa cosa è comprensibile e nemmeno del tutto sbagliata, è la forza del nostro spirito che non si pone, e in fondo non ha, limiti particolari. Ciò che invece limiti ne ha, e tanti, è il mondo razionale e materiale in cui viviamo. Come ho già implicitamente scritto sopra, protagonista della situazione è la coscienza. La coscienza è mediatrice tra l'onnipotenza e l'illimitatezza del pensiero e dello spirito e il mondo fenomenico in cui viviamo; ci avverte e ci richiama alle necessità, ai doveri e agli impegni che in qualche misura dobbiamo assolvere se vogliamo proseguire e confrontarci accettabilmente nella società umana. Cercare di uscire da questa situazione porta a conseguenze di vario tipo, ma in ogni caso che portano a difficoltà relazionali, perché si perdono o diminuiscono i punti di contatto con gli altri umani. L'artista, o colui che sente un richiamo artistico, è il più esposto e il più a rischio sotto questo punto di vista, perché più che mai avverte la potenza del pensiero creativo, delle immense potenzialità contenute, e al contempo sente i limiti imposti dal mondo concreto, ma non sempre ne ha coscienza, e questo può portare a isolamento, ma anche a forme di follia, di estrema eccentricità, di violenza, ecc. Questo da un lato; dall'altro ci stanno... i marziani! Mi spiego meglio. Affinché la comunicazione sia efficace, o anche solo accettabile, l'uomo non può che utilizzare forme e strumenti riconosciuti dalla coscienza, cioè che possano transitare dal mondo fisico a quello astratto in modo traducibile. I linguaggi verbali e scritti, per quanto diversificati nel mondo, sono nati e si sono sviluppati sulla base di un funzionamento della coscienza umana che necessita di determinate strutture per rendere comprensibili ed esportabili i messaggi. Questo consente la traduzione; se non ci fosse un "sotterraneo" codice univoco, certe lingue non permetterebbero la traduzione istantanea, occorrerebbero tempi molto lunghi e complesse elaborazioni che una normale mente umana non riuscirebbe a sviluppare rapidamente. Veniamo alla musica. Cosa fa il compositore? Ha un'idea per scrivere un brano. In genere ha una intuizione relativa a un TEMA (che possiamo definire un "seme") che in cuor suo ritiene suscettibile di interessanti sviluppi. Quando parlo di tema, faccio riferimento già a una sequenza di suoni composta da più note. Mi pare difficile pensare che un compositore metta giù una nota, poi ne vada a cercare un'altra e così via finché vien fuori un tema. Questa cosa credo che nelle scuole non si faccia quasi mai, ma lasciamo stare, è un altro argomento. Ma mettiamo pure che si segua questa strada. Si parte da una nota, diciamo, qualunque. La seconda nota, dopo di ciò, può essere qualunque e qualsivoglia? No, certo ne avrà ancora a disposizione una quantità straordinaria, ma molte note saranno escluse; scelta la seconda nota, per scrivere la terza avrà più o meno possibilità? Ovviamente meno, cioè man mano che procede le possibilità di scelta diminuiscono, il percorso diventa sempre più obbligato; non solo relativamente alle note, ma a tutti i parametri! Dopo un certo numero di note si sarà formato un tema, questo tema forma un seme, per l'appunto, che non può essere abbandonato, non è che per tutto il resto del componimento non si presenterà più, e così per l'armonia, per il tempo, per le scelte dinamiche, ecc. Beethoven, ad esempio, modificava durante la composizione anche sequenze di più battute anche più volte. Nella quinta sinfonia, che oggi ci appare così fluida e consequenziale, modificò alcuni gruppi di battute un numero impressionante di volte, non ricordo più quante, ma mi pare più di 20 volte. Allora la domanda che si pone è: cosa c'era nella 15^ versione che non andava? E nella 19^? Beethoven non era soddisfatto, non era convinto del risultato. Bene, però non dobbiamo focalizzarci sul personaggio Beethoven, sull'arcigno, burbero, sordo compositore tedesco del primo Ottocento, ma... sulla sua coscienza umana! Il sapere chi era lui come qualsivoglia compositore, non ci dà alcun ausilio sulla comprensione della musica. Se così fosse, tutta la musica di autore anonimo sarebbe ineseguibile! Oppure pensiamo a tutte le composizione attribuite a un autore e poi riconosciute di altri (vale per tutte le opere d'arte); se avesse così grande importanza la singolarità umana, l'esecuzione, diciamo "corretta", sarebbe quasi impossibile. Invece così non è perché ciò che guida l'autore, così come dovrebbe guidare l'esecutore, è la coscienza dell'uomo, che fortunatamente è la stessa in tutti. Quando dico "la stessa" intendo dire che essa FUNZIONA allo stesso modo in tutti gli esseri umani; che poi la si utilizzi, la si riconosca e la si segua, è ben ben altro discorso, come tutti possono immaginare. Ma, come dicevo, ci sono i marziani, o meglio coloro che si comportano come tali! A un certo punto della storia (con la s minuscola!) coloro che si sentono onnipotenti, pensano bene che si può non seguire la strada dettata dalla coscienza, ma si può.... INVENTARE! Nello studio si fa una differenza tra inventare e scoprire, giustamente, ma forse non si fanno opportuni approfondimenti in merito. Se diciamo che la lampadina fu inventata da Edison, diciamo una cosa giusta, ma tale invenzione si basava nient'altro che una scoperta, la corrente elettrica, e lo sfruttamento positivo di una caratteristica negativa, cioè la resistenza. Inventare la locomotiva non significa "inventare" il vapore (come spesso si dice per coloro che credono di aver scoperto chissà che, come per "l'acqua calda"), ma trovare un modo ingegnoso di sfruttarne le caratteristiche. Le invenzioni sono interessanti, anche geniali: applicazioni di scoperte già fatte, oppure scoprire qualcosa (che quindi esiste già anche se l'umanità - o parte di essa - non ne è ancora a conoscenza) e costruire un mezzo che ne sfrutti le caratteristiche. Il pensiero è talmente potente che talvolta si ipotizza una scoperta prima che sia compiuta, che richiede anni e decenni. Allora, tornando all'esempio musicale, io compositore che mi sento ingabbiato da qualcosa che credo siano abitudini e convenzioni sociali, e in parte può anche essere vero, ma solo in piccola parte, e non dò peso al valore della coscienza, provo a inventare per FAR QUALCOSA DI NUOVO, cioè penso di rivelarmi al mondo come "il nuovo..." (metteteci voi il nome che volete, Mozart, Puccini, Michelangelo...). In pratica comincio a costruire, ad esempio, un tema musicale, ma dove sento che mi porterebbe la coscienza, cioè escludere certe note e favorirne altre, mi pongo in antitesi, e scelgo sempre le note (o l'armonia, il tempo, ecc.) che avverto come incoerenti, non consequenziali con quanto posto come "seme". Questa strada che fa apparire come innovatori, "moderni", rivoluzionari determinati sedicenti artisti, può avere anche qualche spunto di interesse e autentica evoluzione se si basa comunque su scoperte o prospettive di sviluppo coerenti. Nel tardo Medioevo si utilizzava perlopiù un'intonazione basata sulle proporzioni pitagoriche della scala musicale, cioè ci si confrontava, anche allora, più con riferimenti esterni all'uomo che non interni! Con questo sistema alcuni intervalli cozzavano con la sensibilità dell'orecchio, e si considerarono dissonanti alcuni intervalli che oggi ci fanno meraviglia perché rientrano invece tra i più consonanti. In seguito ci si appoggiò a scale musicali più vicine alla sensibilità umana e le cose cambiarono, ma ancora non si aveva accesso a una completa libertà, perché gli strumenti musicali erano ancora assai limitati nei passaggi da una tonalità all'altra, il che avvenne solo all'inizio del Settecento. E' vero che il temperamento equabile si può definire un'invenzione? Forse sì, nel senso che nel proposito di liberare i musicisti da situazioni costrittive, più che altro sul versante meccanico strumentale, si è forzata un po' la mano equalizzando gli intervalli, il che però non modifica sostanzialmente quanto prodotto e scoperto fino ad allora. L'armonia tonale è una scoperta o una invenzione? Ovviamente è una scoperta, perché si basa semplicemente sulla legge degli armonici. Tutto questo riguarda la Musica ed è bene che ognuno rifletta in proposito, sia dal punto di vista creativo che esecutivo. Infatti l'esecutore si trova in una situazione simile, come ho già accennato: devo far riferimento a un "personaggio" e alla sua peculiarità fisico biografica o a una coscienza universale che ha guidato lui nella composizione e oggi deve guidare me nell'esecuzione? Quello che ripeteva come una litania Riccardo Muti negli anni giovanili "Noi facciamo ciò che Verdi ha sckritto", è simpatico, ma in un certo senso errato; noi facciamo, o cerchiamo di fare, ciò che la COSCIENZA di Verdi, che è uguale a quella di tutti noi, ha suggerito di procedere, e che io devo RICONOSCERE e RIPERCORRERE. Se l'autore, volontariamente, si mette a scrivere note a casaccio o, peggio, in controtendenza con la coscienza, non mi permette di eseguire con strumenti universali, o, peggio, mi indurrebbe a usare lo stesso principio, cioè faccio come mi pare! Ed è per questo motivo che le partiture di moltissimi compositori contemporanei sono infarciti fino all'assurdo di indicazioni che riguardano quasi ogni nota scritta, oppure, al contrario, sono scritti in modo incomprensibile, con segni inventati lì per lì, che l'esecutore interpreta a proprio gusto, e diventando di fatto coautore (di qualcosa che non ha alcun senso). Nonostante ciò, anche questi compositori, guidati da un ego furibondo, che non si vuol piegare alla coscienza, ma vuole emergere e far emergere la propria personalità fisico-materiale, non si rende conto che non essendo un marziano, cioè qualcuno che venendo da altri mondi sarà in possesso di una coscienza diversa dalla nostra, non può sfuggire! Anche nelle invenzioni più assurde, che in quanto tali finiranno nel dimenticatoio, ci sarà sempre un elemento che riconduce alla coscienza, che qualcuno, più sensibile e attento, riuscirà a riconoscere e portare in rilievo. Dunque, come dicevo, l'esecutore, quindi anche il cantante, deve dotarsi di criteri per accedere alla corretta esecuzione. Ne ho parlato spesso in questo blog, e ancor più in un altro blog "fratello" dove si parla di fenomenologia e direzione d'orchestra e ora ho già consumato molto spazio e devo avviarmi alla conclusione per non rendere illeggibile questo post. In chiusura accennerò alla voce. Quante invenzioni riguardano il canto? Una infinità! In parole povere tutte le cosiddette tecniche sono da considerare invenzioni belle e buone, cioè si discostano, quale più quale meno, dalla verità, cioè da come funzioniamo. Allo stesso tempo occorre andar cauti con il concetto di naturalezza. Dobbiamo ancora una volta far ricorso alla prerogativa umana dell'evoluzione. Se io mantengo e utilizzo ciò che esiste nella propria peculiarità "naturale", sia esterno che interno all'uomo stesso, non promuovo alcuna evoluzione, cioè non mi avvicino alla Conoscenza, ma non mi avvicino nemmeno ai doni più puri e profondi che l'accompagnano, che si sintetizzano nel termine "amore"; noi ci riferimano spesso a sentimenti nobili come affetto, amicizia, comunanza, solidarietà, ecc., ma confondiamo pressoché sempre l'amore con impulsi molto egoistici e materiali. L'amore è un sentimento inconoscibile e raro, come la verità e la perfezione (umana). Dunque il passaggio da una condizione di natura relazionale e di sopravvivenza a una di più elevata conoscenza, si deve rifare a scoperte, e la scoperta riguarda come siamo fatti, dal punto di vista del nostro funzionamento morale, etico, sentimentale, e quindi come funziona il nostro "traduttore" automatico dalle azioni fisico materiali a quelle astratte o spirituali, cioè la coscienza. Chi si inventa che per avere una voce "lirica" bisogna ... (mettete voi una voce qualsiasi: alzare il velopendolo, premere la laringe, aprire la gola, spingere sulle reni, portare il suono in maschera, ...), non fa i conti con il fisico, ma non li fa nemmeno con la coscienza, e in tal senso non li fa neppure chi pensa che basta assecondare la natura. La Conoscenza ha il potere di modellare il fisico dell'uomo, che è il suo strumento materiale; lo fa, in genere, in anni e anni di evoluzione, ma può farlo, in piccole dosi, anche su soggetti particolarmente permeabili alle forze del pensiero, quindi che abbiano saputo accantonare le forze ostili dell'ego. Il corpo si modella su esigenze di natura contingente: procurarsi cibo, riparo, partner per la riproduzione e difendersi dai nemici. Nel tempo l'uomo è mutato. Si pensa che il cambiamento sia dovuto solo ad esigenze esterne e materiali, ma non è così. Gran parte dei mutamenti riguardanti la postura e la forma della parte alta della persona riguardano... LA PAROLA! Se l'uomo non fosse com'è, non potrebbe parlare e, di conseguenza, cantare. La forza conoscitiva della parola ha indotto mutamenti straordinari che l'hanno "ridotto così". Da questo ne deduciamo che la parola occupa una posizione rilevantissima nella Conoscenza e quindi ad essa non solo possiamo ma dobbiamo far riferimento nel nostro cammino evolutivo, ma per mettere assieme l'arte, che è lo strumento di comunicazione tra la nostra razionalità e la Conoscenza stessa, non possiamo basarci esclusivamente sulla Natura, perché essa è limitata al mondo fisico-materiale e al suo funzionamento circolare. Per apportare un'evoluzione occorre la scoperta del mezzo che consenta alla Conoscenza stessa, o pensiero profondo o spiritualità o chiamatela come volete, di accedere e portare quelle piccole ma molto significative modifiche al nostro corpo che consentano un funzionamento in direzione artistica. Come ho scritto già in diverse occasioni, le mani di un grande pianista, diciamo Dinu Lipatti, diciamo Michelangeli, diciamo Arrau, o altri, non hanno nulla di diverso da quelle di tutti gli altri esseri umani, non è come il fisico di un lottatore di Sumo o un sollevatore di pesi, ecc., che necessita di una trasformazione fisica, che quasi mai può essere considerata evolutiva - semmai involutiva - ciò che le contraddistingue è che lo spirito dell'artista ne ha consentito una liberazione, parziale, dalle necessità fisico-materiali, facendole diventare strumenti della Conoscenza stessa, il che può avvenire con tante altre arti, e nel caso del canto con una evoluzione respiratoria che, a sua volta, è in grado di portare a un grado di Conoscenza superiore, e liberatoria, anche lo strumento, cioè la laringe, partendo però dal terzo anello, cioè la componente articolatoria e amplificante (la parola), che è il mezzo già evoluto e privilegiato. Ricordate: solo le bugie possono essere inventate; non è possibile inventare la verità. La verità esiste già! La verità deve essere scoperta, non inventata. Le menzogne non si possono scoprire, devono essere inventate. La mente si sente a suo agio con le bugie, perché ne diventa l’inventore, “colui che agisce”. E quando la mente diventa colui che agisce, si crea l’ego.

mercoledì, maggio 20, 2015

Intonazione

Il discorso sull'intonazione è tutt'altro che semplice. Sembra facile dire: il buon cantante deve essere intonato! Ma chi, e soprattutto "come", lo giudica? Ricordo che nel libro di Aspinall su Caruso, l'autore analizza molte incisioni e poi sentenzia: "qui Caruso fa centro dieci volte su quindici", ad esempio. Non mi pare però che spieghi quale sistema ha adottato per giungere a tali verdetti. Per chi non è addentro ai problemi musicali, farò qualche cenno in merito. La questione delle scale musicali è tutt'oggi terreno di scontro anche piuttosto aspro tra musicologi. Per alcuni sono tutte invenzioni e abitudini culturali e l'occidente ha imposto una propria superiorità sulle culture musicali di altri paesi, ma senza una base inoppugnabile. Sulla fisica musicale ci sono dati e fenomeni universali ed altri meno oggettivi. Come è noto già i greci conoscevano gran parte delle regole fisiche che regolano il suono e alcuni suoi sviluppi. La ricerca antropologica ha scoperto che già 5000 anni a.C. esistevano zufoli impostati su una scala pressoché identica alla nostra. Due sono i campi di osservazione: la questione degli armonici e... come è fatto l'uomo! L'esame di dati fisici esterni infatti non è sufficiente a dare validità a un sistema artistico, perché ciò che può trasformare, sublimare fenomeni fisici in gesti artistici è l'uomo, la sua costituzione e la sua coscienza. La cosa fondamentale da sapere, ma non è cosa che a scuola si insegni e anche a livello di musicisti su questo si glissa parecchio, è che ogni suono prodotto in natura dalla vibrazione di corpi elastici o dall'aria sollecitata all'interno in un tubo, è accompagnata da armonici. Cosa sono gli armonici? sono suoni secondari, cioè più deboli, e che si sviluppano con alcune frazioni di secondo di ritardo e secondo leggi assolutamente universali e immodificabili. Quando percuoto una corda essa emetterà una nota fondamentale, mettiamo un LA, ma immediatamente dopo la corda prenderà a vibrare nelle sue due metà in cui tenderà a dividersi, ed emetterà nuovamente un la, ma un'ottava sopra; poi iniziareanno a vibrare le metà delle metà, e si udrà una quinta superiore, quindi un MI (prima nota diversa), poi nuovamente un la, poi un do# (la terza maggiore), poi un sol (la quinta), la settima, e così via diverse altre note, che l'orecchio fa molta fatica a percepire isolatamente. Ora, quando qualcuno dice che la base per la musica occidentale si basa sulla percezione degli armonici, si sente subito rispondere: no! perché alcuni armonici sono stonati! Oh, benissimo, e in base a cosa si dice che sono stonati? E' sicuramente vero, perché se la base fossero gli armonici noi non avremmo questa sensazione. Quindi noi abbiamo un sistema umano interno che ci fa individuare, con le consuete diversificazioni soggettive perfezionabili, suoni con migliore o peggiore intonazione rispetto un codice nostro interiore. In realtà, poi, non è neanche così misterioso. Il direttore d'orchestra Ansermet, che era anche uno studioso, un fisico e matematico, scrisse un libro "la musica nella coscienza dell'uomo" dove dedica un lungo e complicatissimo capitolo allo studio dell'orecchio. Ci si dedichi chi ha profonde conoscenze matematiche, perche è molto complesso, anche se si riesce a seguire un po' intuitivamente. La morale della favola, però - e il fisico Andrea Frova in tempi più recenti ha confermato le stesse conclusioni - è che l'uomo sente "per quinte"! Questa particolarità porta alla conoscenza di una scala che da sempre si chiama "naturale", che l'uomo intona da sé e dove diesis e bemolli non coincidono (le quinte sono differenti se sono nel circolo ascendente o discendente). Nel primo trattato di canto, il Tosi insiste molto sulla capacità dell'insegnante di mostrare le differenze tra semitoni cromatici e diatonici e altri intervalli che si differenziano di pochi comma. Oggi è un argomento chiuso, nessuno più ci pensa, anche perché non si saprebbe come fare, giacché gli strumenti a tastiera sono a intonazione temperata. Rispieghiamo: se io suono in do maggiore, avrò tutti i tasti bianchi utili a quella tonalità, giustamente intonati. Se però il brano modula mettiamo a la bemolle, con la scala naturale il brano risulterebbe, su alcune note alquanto stonato. Un problema che travagliò i musicisti del medioevo e del rinascimento, e che sortì numerose interessanti invenzioni. Però la soluzione, che è un compromesso, a dire il vero, si ebbe solo nel Settecento, quando venne messa a punto la scala temperata equabile, cioè una scala che divide in dodici parti eguali l'ottava. Questo permette di accordare organi pianoforti e tastiere, ma in realtà è solo una soluzione pratica. Le orecchie più fini continuano a sentire stonature dove mancano i comma (il comma è la parte più piccola di intonazione, una sorta di millimetro delle frequenze), ma le orecchie più rozze, che sono le più, sentono stonature dove gli strumenti a intonazione libera, come i fiati, gli archi e le voci, in realtà vanno dietro alla propria giusta natura. C'è poi un altro dato non di poco conto. La frequenza base. Oggigiorno si è instaurata con una certa prepotenza il la=440 Hz. Questa frequenza non ha alcuna base oggettiva, è il frutto di lunghi compromessi tra chi la voleva più bassa, cantanti, autori, alcuni strumentisti, e chi più alta, soprattutto ottonisti, per una maggior brillantezza di suono. Il fatto fondamentale, non a tutti noto, è che il sistema delle frequenze non si basa sullo stesso principio delle unità di misura, ad esempio, della lunghezza: se io sposto un oggetto che misura un metro di lunghezza di 10 cm, continuerà ad essere un oggetto lungo un metro; nelle frequenze noi abbiamo una scala logaritmica, per cui spostando la scala di un tot non abbiamo più esattamente le distanze originali. E' anche la protesta di molti sullo spostamento di tonalità per comodità dei cantanti; se io eseguo la "pira" in si o in si bemolle per acconsentire al cantante di fare un acuto possibile, che "sembra" il do, non ho solo spostato il brano di mezzo tono o un tono intero, ma anche tutti i suoi parametri interni si sono, per quanto poco, modificati, cioè cambiano di significato. Non per nulla in passato si facevano studi molto approfonditi sulle tonalità; perché scrivere un brano in re bemolle, ad esempio, quando mezzo tono sotto risulterebbe tecnicamente più semplice? ma la coscienza e la sensibilità avvertono cambiamenti non indifferenti nei rapporti tra i suoni, e quei significati che l'autore vi sente impressi, quando spostati, perdono di valore. Figuriamoci, dunque, cosa capita se noi cambiamo il valore di riferimento di tutto un sistema, cioè il LA! Ci sono associazioni e studiosi che si battono (anche Verdi pare avesse preso parte molto attiva a un'azione in tal senso) per l'assunzione di un La con una senso universale, cioè basato sulla sezione aurea). In questo capitolo mi fermo su queste considerazioni generali, non entro nel merito del canto anche perché è un argomento di difficile trattazione, viste anche le premesse cui ho accennato qui sopra.

domenica, maggio 17, 2015

Poche scuse!

Questo post l'ho scritto anni fa, ora stavo esaminando un po' di queste "bozze" che non ho mai pubblicato, e lo metto online perché ha perso un po' il suo carattere di sfogo che probabilmente aveva generato la sua compilazione. Peraltro, direi che è sempre valido. Una caratteristica di tutti gli allievi, TUTTI: è che prima ti invitano ad ascoltare qualche loro esecuzione, e quando trovi qualcosa che non va, iniziano la serie delle scuse: "ah, non ero proprio in forma", "il pianista tirava indietro", "l'acustica era pessima", "il pubblico era freddo", e via di quella strada. Naturalmente alcune cose possono essere vere, anche tutte, ma la questione è un'altra: non si ascolta la critica, non si vuole sentire cosa non va, ma si vorrebbero solo gli elogi, le medagliette. Questo perché c'è da soddisfare, e dalli, il proprio ego. Naturalmente il maestro lo sa, e spesso inizia con gli elogi, nonostante ciò, quando poi viene la parte in cui deve dire ciò che non va, la salva di scuse parte e parte comunque. Talvolta, furbamente, l'allievo cerca di scansarle anticipando le scuse: "vuol sentire questa registrazione di un brano che ho cantato? Non stavo tanto bene, in casa c'è una cattiva acustica e siccome i vicini protestano non potevo cantare tanto forte, però mi dica lo stesso". E che c'è da dire? Era meglio se lasciava perdere! Purtroppo gli allievi devono capire, e lo devono capire fin da subito, che atteggiamenti pessimistici da un lato e scusanti, dall'altro, non solo non servono a niente, ma rendono poco costruttivo e persino inefficace il dialogo e l'apprendimento. Quando l'insegnante esprime una valutazione, l'allievo deve SOLO ascoltare e poi cercare di far proprio quel pensiero e applicarlo. Il giudizio è da eliminare, almeno per un certo tempo e in genere è da ascoltatore che si comprende quando il proprio andrà a combaciare o si avvicinerà a quello del maestro. Allora vorrà dire che la sensibilità uditiva sarà sviluppata a un punto buono e si potrà cominciare ad ascoltarsi con altra qualità critica.

martedì, maggio 12, 2015

La moltitudine del numero uno

Un post un po' strano. Perché esistono i numeri, cosa significano? A qualcuno la domanda suonerà più che strana; come sarebbe a dire: "perché esistono i numeri"! E "cosa significano"!! Diamo tutto per scontato, e spesso le cose ci sfuggono un po' di sotto gli occhi. Poi, purtroppo, abbiamo anche una scuola che tende a stereotipare, cioè a creare modelli dogmatici. Poi gli insegnanti urlano dicendo: bisogna ragionare! Io di ragionamenti ne sento ben pochi. Dunque, partiamo da un dato: esiste la molteplicità. Nell'universo abbiamo miliardi di oggetti di ogni tipo; quasi tutti gli oggetti sono categorizzabili, cioè rientrano in caratteristiche comuni riconoscibili. Probabilmente non è proprio così, ma siamo noi, gli uomini, che abbiamo un sistema sensorio che semplifica e quindi accomuna. Questo dato lo conosciamo perché quando si fa un'analisi più approfondita si scoprono infinite differenze tra oggetti anche della stessa specie. Il fatto è che la coscienza umana tende ad accomunare, categorizzare, trovare analogie e quindi contare. Contare? E perché? Per un motivo in certo qual modo opposto, cioè giungere a UNO. Se io ho DEI bicchieri, ho una molteplicità, ma se io ho dodici bicchieri, ho un'unità bicchieri. Naturalmente è una convenzione. Come sono questi bicchieri? Tutti della stessa specie? O ne ho 6 da vino e 6 da acqua? In questo caso, se mi serve, li annovero in due categorie, e avrò quindi due unità, che però fanno parte di un'unità più grande. E' un po' la teoria degli insiemi, che andò di moda negli anni 70 ma che credo sia in un buona parte stata dimenticata, e peccato, perché gli insiemi danno proprio una lettura grafica immediata di cosa sono le unità e le molteplicità. I numeri di per sé non sono nulla, se non rappresentano qualcosa, anche se all'uomo piace molto anche giocare con queste unità astratte. Ma perché sto facendo questo discorso? Per ricordare o far presente che una legge fondamentale del funzionamento della coscienza umana riguarda l'unificazione, e per contro la divisione. Quando intendiamo realizzare qualcosa, cerchiamo di mettere insieme, quindi unificare, una molteplicità di cose, dello stesso genere o di generi diversi. A opera finita noi potremo dire di aver compiuto correttamente il lavoro se ci ritroviamo con un'opera unitaria, cioè qualcosa che risponde a un criterio, a uno scopo, dove le diverse parti collaborano, si relazionano a uno stesso fine. Anche un gruppo di uomini possono tendere a formare un'unità; una squadra di calcio (gli undici) o di cosa volete voi, si organizzano e si correlazionano per creare un'unità, che chiameremo squadra, con una certa denominazione, la quale concorre a creare un risultato sportivo. Se qualcuno gioca egoisticamente, come è noto, non farà il bene della squadra. Questa visione non è sufficientemente diffusa e nota, e in molte attività umane non si coglie la sua fondamentale importanza e le implicazioni che comporta il saperlo o meno e il sapere come agire nel momento in cui il fatto è noto. In campo musicale, ad esempio, credo che quasi nessun insegnante faccia presente ai propri allievi, di qualsivoglia strumento o anche della semplice teoria, che lo scopo "alto" del far musica sia creare un'unità. Qualcuno può dire che è un concetto troppo complesso o difficile. Ma non è così. Guardiamo lo spartito, cosa vediamo? Un mucchio di segni. Allora la domanda è: tutti questi segni come vanno affrontati? i casi sono due: o seguiamo una traccia sequenziale, oppure li annettiamo come una cosa sola. Faccio ancora una riflessione. Nel momento in cui chiedo: conosci "i promessi sposi"? cosa ho chiesto? Se sai da quante parole è composto questo romanzo? Chi l'ha scritto? Di quanti capitoli è composto? Se ricordo tutti i personaggi? Se ricordo tutti i luoghi in cui si svolge? Se ricordo tutte le azioni e tutti gli episodi? Tutto quanto? No. Una volta che ho letto e compreso questo come qualunque altro libro, ho messo insieme l'inizio con la fine, percorrendo coerentemente le vicende che portano da un punto all'altro. Gli episodi, le azioni, i personaggi, ecc. sono la molteplicità che però alla fine diventa unità, nel senso che se qualcuno mi chiede di questo romanzo posso dire: lo conosco. Non c'entrano niente le domande da quiz tipo rischiatutto; quella è un tipo di memorizzazione che non aggiunge e non toglie niente al romanzo. Certo, poi non è detto che tutti ne colgano l'unitarietà, perché potrei leggere male, potrei avere un'edizione con errori di stampa o pagine mancanti, ecc. comunque spero di aver chiarito il concetto. Ma qui siamo nel nostro funzionamento abituale, cioè una storia di vita, che deve possedere elementi di interesse affinché mantenga la sua vivacità e quindi mi porti a proseguire nella lettura. In campo musicale la questione è più delicata e complessa perché utilizziamo una materia meno usuale, cioè i suoni, che ci possono interessare come significante esterno, ma ci risultano perlopiù oscuri nel significato. Anzi, ci sfugge proprio il significato, perché non c'è! Ma del resto anche le singole sillabe rimarrebbero prive di qualunque significato se non le mettessimo insieme diversificatamente per creare unità che chiamiamo parole e poi unità che chiamiamo frasi e poi unità che chiamiamo proposizioni, capoversi, capitoli, romanzi, saggi, ecc. Dunque un brano è composto di singoli suoni che chiamiamo note, le quali non significano nulla, cominciano a assumere carattere quando ne mettiamo assieme due o tre e poi altre, le sovrapponiamo, ecc. Come dicevo, la coscienza vuole unificare, dunque nel momento in cui suoniamo un po' di note, noi cercheremo di dare un'unità, cioè di cogliere elementi di relazione. Appena riusciamo a costruire o ricostruire qualcosa che ci appaghi come frase, siamo soddisfatti. C'era un parente acquisito che ogni volta che veniva a casa mia e poteva accedere al pianoforte suonava la stessa cosa, le note del refrain della canzone: "come prima, più di prima, t'amerò!" Questo perché i tasti si trovano facilmente, essendo tutti vicini (però se sbagli la nota iniziale viene una porcheria!). Non so se le abbia trovate da solo e qualcuno gliele abbia insegnate, fatto sta che però da lì non si è mai mosso!! In ogni modo anche lui ha ricreato un'unità che ha appagato la sua coscienza. Da quanto ho esposto, dovremmo provare quasi terrore nel considerare cosa capita quando noi vogliamo cantare una canzone o un'aria! Significa avere un'unità di racconto, coniugarlo con un'unità musicale e produrlo con un'unità vocale, quasi sempre anche coniugata con un'unità strumentale, e da queste unità trarne un'unità sola. Se noi avessimo piena coscienza di questo, rinunceremmo fin da subito! Ed ecco che comprendiamo perché siamo tutti ignoranti in partenza; conoscere ci pone di fronte a responsabilità e scenari che ci porterebbero alla rinuncia e quindi a una scarsissima applicazione. La coscienza si acquisisce lentamente e questo ci porta avanti; alcuni poi si sentono arrivati dopo pochissimo tempo, altri sentono di dover proseguire, ma questo riguarda la "pressione" del pensiero, e non ne parlo adesso per non allungare troppo questo post. L'ignoranza è una necessità di difesa istintiva, che non deve essere condannata a priori; spesso è tenace e crea addirittura barriere insormontabili, per cui la persona rimarrà in quello stadio. In altri casi è una difesa dell'ego. La conoscenza è una qualità sociale, il che vuol dire rinunciare un po' a sé stessi per il bene comune; dicevo più sopra della necessità che una squadra giochi unitariamente e non solisticamente, e quindi ecco che l'ego ci lega all'ignoranza per potersi mantenere. Evolversi significa rinunciare all'esaltazione personale per poter superare i limiti naturali ed entrare nel regno della materializzazione del pensiero, spingendosi verso i limiti fisici. Per concludere: comprendere qual è la pluralità con cui abbiamo a che fare per realizzare un'opera che ci interessa, vuoi un testo scritto, vuoi un brano musicale, vuoi cantare un'aria o costruire la cuccia del cane; orientarsi verso quale può essere l'unità finale. E' come una mappa: se io voglio andare da un punto A a un punto B, avrò un percorso, ma questo percorso è UNO, cioè deve essere presente in me, altrimenti diventa un pezzo + un altro pezzo + un altro pezzo, e dunque sono in pericolo di perdermi alla fine di ogni pezzo! Ed è ciò che accade a un esecutore che non ha assimilato completamente un brano. Ma anche il cantante che non ha formato un'unità vocale sarà sempre in pericolo di frazionamenti. Sentire i registri di un cantante: ah, qui fa petto, qui fa testa, qui è falsetto, ecc., vuol dire che rimane qualcosa di non unitario, per quanto possa essere accettabile; sentire che una vocale diventa un'altra in una certa zona della gamma, significa poca coerenza, poca unitarietà; avere colori diversi in zone diverse della gamma, significa non avere coerenza e unità, e così via. Naturalmente sappiamo e concordiamo sul fatto che non si può ottenere unitarietà e coerenza subito! Però deve essere noto che questa è la meta e tutto deve concorrere a realizzarla compiutamente. Non si tratta di cammuffare e nascondere per dare parvenza, non si tratta di eguagliare e omogeneizzare frullando tutto e dando un colore unico (grigio), ma, al contrario, andando alla scoperta di ciò che unifica ciò che appare diverso. Noi abbiamo cinque (o sette) vocali, ma diventano una non cercando di modificarle per farle sembrare uguali, ma comprendendo che ciò che le rende disuguali è una carenza respiratoria, per cui occorre sviluppare quella capacità alimentante che faccia cessare gli aspetti carenti e le faccia brillare tutte nella luce della verità.

domenica, maggio 10, 2015

Unicità di Rossini

Sono molti i compositori di cui amo dal profondo di me stesso la musica: Bruckner, Poulenc, Mozart e Beethoven, Verdi e Puccini, e tanti altri, ma Rossini suscita in me un sentimento di luce, di vivacità e di eterna freschezza che non trovo in altri, che magari mi provocano intensi sentimenti, ma diversi. Giorni fa sentivo l'introduzione della cavatina di Figaro, nel Barbiere, un brano che conosce chiunque, e forse proprio per questo non se ne coglie abbastanza la straordinaria genialità, che non ha tempo. Rossini scrive con una verità d'azione che riempie di entusiasmo; mi ricorda un po' certe letture di Dostojewsky che mi stupivano perché l'autore sembrava essere penetrato nel mio cervello e leggere il mio pensiero di fronte a certe situazioni. In pochi secondi di musica, prima che inizi un'aria o un duetto o un concertato, Rossini riesce con una pennellata, un gesto perfetto, a farci entrare immediatamente in quel paesaggio, quella situazione, quel momento scenico e caratteriale che si sta compiendo. Pur nella rapidità estrema, pur conoscitore di formule ed espressioni di rito, sa trascenderle, superarle e utilizzarle anche in senso opposto. Mi hanno sempre colpito i suoi toni "minori" in situazioni allegre e, viceversa, i "maggiori" utilizzati in brani o situazioni drammatiche. Come pochi altri geni, la sua musica veramente non ha tempo, e ritroviamo molte sue tracce in molti compositori succesivi a lui, la sua eredità o lui stesso penetrato nella mente, nell'anima e nella coscienza di tanti musicisti, fino almeno a buona parte del Novecento. Ma con quale compositore degli ultimi cinquant'anni si può ridere, gioire e piangere come accade nei suoi Barbieri, Semiramidi, Tancredi, Cenerentole, Tell e Italiane? Il romanticismo più di pelle di Verdi, Puccini e altri ha oscurato per un po' le opere del pesarese, pur riconosciuto da tutti come l'immortal maestro, ma tale nube è passata, e dopo gli anni 70/80, con la rinascita piena di tutto il periodo protoromantico musicale e specialmente operistico, con l'avvento di alcune generazioni di cantanti sicuramente all'altezza, abbiamo potuto riconoscere e riappropriarci in pieno di tutta la sua musica. Ora non ci sono più scuse! Ascoltiamolo e impariamo da amarlo come si conviene! Sarà una salutare carica di energia.

martedì, maggio 05, 2015

Del suono fisso

Non mi sono mai soffermato sulla questione del suono cosiddetto fisso, per cui, anche su stimolo di qualche commento, provo ad approfondire, iniziando da alcune analogie. Gli strumenti a fiato hanno un funzionamento parzialmente simile a quello vocale, e così pure l'organo, che fu inventato centinaia di anni fa. In nessuno di questi strumenti è stato introdotto un modo "vibratorio" continuo per qualificarne il suono, salvo un effetto che negli strumenti a fiato si chiama, in italiano, "frullato", e qualcosa di simile so che avviene anche in un registro d'organo, utilizzato piuttosto raramente. Secondo alcuni studiosi il vibrato fu introdotto negli strumenti ad arco alla fine dell'Ottocento. Contemporaneamente effetti simili compaiono anche in altri strumenti. Altri storici ipotizzano che i cantori antichi avessero voce fissa, e pertanto inventassero il vibrato inteso come abbellimento, oppure le "diminuzioni" cioè la frammentazione di una lunga nota in tante più corte che fungessero da ornamento. A mio modesto parere queste sono tutte colossali sciocchezze. Però che la voce fissa esista è un fatto, e sono abbastanza convinto che ci sia una motivazione che spieghi perché i cantanti ottocenteschi, di cui abbiamo ancora registrazioni di inizio Novecento, spesso fossero affetti da un vibrato piuttosto evidente, non di rado persino fastidioso. Peraltro ho letto nelle cronache ottocentesche critiche alquanto feroci rivolte a cantanti il cui vibrato fosse troppo evidente. D'altro canto nei grandi cantanti, riconosciuti tanto allora quanto oggi, io non scorgo alcun vibrato. Ho riscontrato in allievi giunti alla mia scuola da altre esperienze la presenza di un vibrato artificiale, e la sua eliminazione non è stata per niente facile. Cos'è il vibrato? come può nascere o prodursi, che conseguenze può avere, nel bene e nel male, e cosa si può dire del suono fisso? Il vibrato può caratterizzare una variazione di intensità o di frequenza, anche se le due cose in genere sono compresenti. Cosa può generare il vibrato? Sostanzialmente due cause: la componente laringea o quella respiratorio-diaframmatica. La laringe, ovvero qualche cartilagine (tipo le aritenoidi) o qualche legamento o muscolo, può presentare una debolezza o rispondere a impulsi nervosi che provocano il fenomeno. Questo tipo di vibrato, che solitamente è fastidioso, può denotare una patologia, ma che può rimanere ferma nel tempo, oppure, in alcuni casi, può degenerare, quando rispecchia una debolezza muscolare, che richiede esercizi di tipo logopedico mirati (che naturalmente può svolgere anche un valido insegnante di canto). Tutt'altra cosa è la vibrazione di origine respiratoria e più precisamente diaframmatica. Questa è ben più pericolosa, ed è quasi sempre volontaria. Perché pericolosa? E' semplice: ci si esercita a lungo per far sì che il diaframma mantenga una posizione ferma e bassa (per quanto non premuta), e poi ci mettiamo a sollecitarne una oscillazione? Perché purtroppo il destino di una simile pratica può essere, per l'appunto, una oscillazione sempre più larga sia di intensità che di frequenza, con movimenti che possono arrivare addirittura al tono e anche più! Questo difetto è considerato una obsolescenza senile, ma una buona salute vocale non porta a questi eccessi. Credo esista una patologia, che (non sono medico quindi è una mia illazione che potrebbe essere errata)suppongo investa il nervo frenico (quello che causa il singhiozzo quando irritato) e sia causa di un vibrato molto angosciante (mi pare di averlo notato in questi ultimi tempi in alcuni interventi della grande attrice Franca Valeri). Un vibrato indotto dal fiato-diaframma significa una serie di iperpressioni e ipotensioni gravanti sulla laringe, quindi, oltre a un indebolimento che viene indotto nel diaframma, provocare vibrazioni in questo modo può avere ripercussioni anche sulla laringe da non sottovalutare. Dunque, posto che, per il sottoscritto, il vibrato indotto volontariamente è da evitare, vediamo come considerare il fenomeno nel suo complesso. Prendo adesso in esame il suono "fisso". Anch'esso può essere provocato volontariamente, oppure provocato con emissione scorretta. Può essere che un flusso aereo costante possa generare un suono fisso? E' possibile nel caso in cui vi siano errori di emissione. Se la vocalità è corretta, il suono risultante non sarà fisso. Perché? Perché il valido, equilibrato, eufonico funzionamento dello strumento vocale, a partire dalla corretta alimentazione respiratoria, genera una serie di arricchimenti che si dipartono fin dal ventricolo del Morgagni, appena sopra le corde, a tutti gli spazi oro-faringei, alle cavità superiori, ai microspazi ossei, alle elasticità dei tessuti che, vibrando per simpatia, generano a loro volta suoni secondari e risonanze. E tutto ciò senza aver ancora fatto menzione degli armonici e della famosa, mitizzata, formante del cantante. Tutto ciò crea una massa sonora preziosa, affascinante, che forma la base di quel flusso che deve alimentare la produzione vocale (inteso come dizione vocale). Il suono fisso nacque e si diffuse quando si intese dare maggiore intensità, potenza, al suono di voci e strumenti, e cioè PREMENDO! Esercitando pressione, spinta, sulle corde degli strumenti ad arco o di quelle vocali, si sono impediti o inibiti quei movimenti elastici che favoriscono l'insorgere di ricchezza armonica, risonanze e armonici, tutto quanto, unendosi al suono fondamentale crea una stupenda e naturale sensazione di vibrazione, ma evitando che il suono fondamentale si "muova", cioè oscilli, che è da considerare un difetto, salvo nel caso di un effetto tipo trillo. Nelle riflessioni storicistiche, basate talvolta su interpretazioni molto discutibili di testi d'epoca, si è ritenuto di distinguere i suoni fissi dai vibrati intendendo con questi ultimi denotare abbellimenti e diminuzioni. A mio avviso, se proprio si volesse dare attuazione a un pensiero che distingua il suono "fermo" da quello mosso, non dovremmo contrapporre suoni fissi e vibrati, ma suoni di naturale vibrazione a suoni volontariamente articolati nella frequenza (trillo moderno) o nell'intensità (trillo antico, ribattuto). Non approvo quasi mai le "interpretazioni" musicali barocche dove in strumenti e voci si sta imponendo questo sistema. Se poi si scoprisse che veramente tale musica si eseguiva così, beh, sarei contrario lo stesso. Senza stravolgere le timbriche, gli stili e i fraseggi, certi dettagli storici ritengo che siano da lasciare a quei tempi. Le intonazioni delle scale e le accordature antiche, oggi risulterebbero spesso intollerabili, e infatti raramente vengono utilizzate. Perché dunque imporre un metodo esecutivo ben poco piacevole e di scarsissima utilità pratica? Si vorrebbe riprodurre il modo esecutivo antico, ma questi alla fine risultano solo escamotage per vendere dischi e concerti di musicisti che non sempre si contraddistinguono per reale compotenza MUSICALE, e non solo di prassi (per quanto importante e nobile) e morfologia. Aggiunta: Ci sono alcune altre situazioni che possono causare suono fisso: beh, forse ho proprio dimenticato quella più banale, e cioè la grave carenza respiratoria (rispetto al canto) che è frequente in chi inizia lo studio, ed è con l'esercizio evolutivo del parlato che si ha miglioramento costante. Altro caso molto frequente di suono fisso si verifica con il suono cosiddetto "indietro". Come sappiamo, anche se per molti incredibilmente non è così - cioè credono che non sia così - il suono esce dalla bocca! In questo percorso il suono incontra il palato anteriore e i denti, che offrono un importante punto di amplificazione grazie al collegamento con ossa e cavità superiori. L'aumento di pressione che si origina per la volontà di aumentare l'intensità oppure per salire nelle zone acute della gamma, provoca un tendenziale "raddrizzamento" del "tubo" sonoro, che si porta nel palato interno e fino a quello "molle". Sostanzialmente possiamo dire che se il suono non giunge alla parte anteriore della bocca, viene inibito lo "sfogo" respiratorio-vocale; si crea cioè una contropressione sulla laringe (dall'alto, cioè dalla bocca verso il basso) che blocca la naturale vibrazione. Insomma la voce fissa è, in un modo o nell'altro, sempre una questione di pressione erronea, da relazionare sempre con la giusta direzionalità, che è quella verso l'esterno, e il costante e regolare flusso. Credere alle fandonie che è sfruttando volontariamente la parte interna o movimenti vari che si ottiene migliore e più efficace voce porta a vari difetti, tra cui il suono fisso.

sabato, maggio 02, 2015

La novella dello stento

Quando ero piccolo, i miei nonni toscani mi prendevano innocentemente in giro con la filastrocca "questa è la novella dello stento, che dura tanto tempo, la vuoi sentire?" Sia che si rispondesse di sì che no, la replica era "se avessi detto di no/sì ti avrei raccontato la novella dello stento che dura tanto tempo; la vuoi sentire?" E così all'infinito. Ora mi si chiede: Ma se il parlato di una persona è pessimo, ha senso mettersi a migliorarlo? Non è meglio partire con una tecnica su un campo nuovo, che poi avrà ripercussioni anche sul parlato?" La risposta è NO, e anche questa è la novella dello stento, perché in quasi 700 post non so quante volte avrò già affrontato l'argomento. Però non importa, non demordo e non mi spazientisco. Vuol dire che qualcosa sfugge e non sono ancora riuscito a rendere efficaci e lampanti i precedenti interventi. Comincerò col ripetere questo concetto: contrariamente all'apprendimento di uno strumento meccanico esterno a noi, dove dobbiamo imparare ad azionare leve, tasti, bottoni, ecc. "inventati" da qualcuno con regole di buon senso, ma non certo universali, la voce esiste in noi fin dalla nascita e il suo funzionamento non è inventato da nessuno, ma è contenuto nel nostro dna, per cui non dobbiamo nemmeno far la fatica di scoprirlo, perché agisce già in noi, salvo l'esistenza di patologie di una certa gravità. 1) Se il parlato non è valido, è sporco, grossolano, affetto da difficoltà di vario ordine, questa carenza è presente nelle condizioni di quel soggetto che non è che facendo un uso diverso della voce spariranno come per incanto! Al 99% il problema del parlato è causato da una insufficienza respiratoria (relativa al parlato, non alla vita); si pensa di risolverla come? Facendo esercizi di respirazione? Puro sogno, perché l'esercizio respiratorio fine a sé stesso avrà pochissimo riscontro nell'uso della voce. Non che non ci sarà alcun miglioramento, ma sarà sempre inferiore al vero obiettivo da porsi, cioè l'elevamento della voce cantata ad arte vocale. 2) cosa succede in quasi tutti i casi in cui si decide di non partire dal parlato, ma da tecniche respiratorie e unicamente vocalizzi? Che si accetterà e si considererà valido un suono "indietro", un suono (quindi non le vocali pure) che potrà anche apparire bello e di una certa ricchezza timbrica, ma MAI realmente libero e pieno nella risonanza, nella plasticità espressiva e nella piena omogeneità timbrica, dinamica e della dizione, e anche l'intonazione sarà sempre imperfetta. Ah, il cantato tecnico, non illudetevi, non avrà alcuna ripercussione sul parlato; invece talvolta chi canta parla affondando o schiacciando, o (le donne) in falsetto, oppure sussurrando. Tutti atteggiamenti perlopiù narcisistici per far capire che si è cantanti lirici. Oggigiorno non so con quanta soddisfazione e riscontro nobilitante. 3) Come ripeto ancora una volta, il parlato quotidiano è una manifestazione comunicativa che sfrutta le possibilità energetiche del nostro corpo al minimo possibile, proprio per l'uso piuttosto intenso che se ne fa. Nel momento in cui mi serve un utilizzo di maggiore qualità, io dovrò esercitare il parlato in senso EVOLUTIVO, cioè dovrò correggere senza tregua tutti gli aspetti che nel parlato comune sono ininfluenti; corretta accentazione della parola e della frase, legato nella parola e nella frase, corretto uso dei registri espressivi e dei toni (registri non in senso meccanico). Questa fase in alcuni casi può essere allucinante per quanta attenzione, pazienza e perserveranza richieda, ma porta il soggetto ad acquisire una coscienza straordinaria relativamente al proprio modo di esprimersi. Contemporaneamente si svilupperà enormemente una respirazione artistica vocale-musicale adeguata, che SOLO COSI' può avvenire. Nessun altro sistema può portare a vantaggi di alimentazione sonora di questa efficienza ed efficacia. 4) il parlato svolto con disinvoltura, permetterà di riconoscere ed enucleare le vocali con la stessa nonchalance, per cui è favorita la nascita di queste nel giusto posto e con la giusta energia, evitando o riducendo man mano la spinta e le pressioni indebite. 5) la verità è che la maggior parte degli insegnanti non ha la più pallida idea di cosa fare con il parlato, se loro stessi non si sono educati con una evoluzione di questo e quindi non hanno la coscienza di dove risieda la libertà di ogni parametro vocale e musicale. Chi ha imparato il canto in una scuola dove si fanno solo vocalizzi, dove si cerca la voce dentro, qualunque sia il posto, muovendo muscoli, cartilagini, pareti, ecc. nel momento in cui dovesse cimentarsi con il parlato, si troverebbe in un regno sconosciuto, agli antipodi di quello praticato comunemente, per cui dovrebbe azzerare tutto e ricominciare da capo, per quanto il fatto di aver cantato per un certo tempo lo favorirà nella quantità respiratoria, ma si accorgerà subito che il fiato lavora in modo del tutto diverso, e proverà molta difficoltà proprio nella respirazione, e prenderà atto che il suo fiato, nonostante tutti gli esercizi fatti per anni, non è adeguato al 100% all'emissione vocale. 6) cos'è il canto? Una riflessione quasi banale; una qualunque aria per qualsivoglia classe vocale, da Vissi d'arte a Nessun dorma, da Cortigiani vil razza dannata a Condotta ell'era in ceppi, da Ella giammai m'amò a Der Hölle Rache, sono tutte arie che contengono un mare di PAROLE! per cui i casi sono due: o si dice, come molti purtroppo dicono, che nella lirica le parole non contano, o si è di fronte a una incoerenza. Per quale motivo le parole dovrebbero migliorare facendo vocalizzi e non esercitando le parole stesse? Magia!! 7) ma in definitiva cosa impedisce a molti, i più, a non ritenere il parlato un utile mezzo di conquista del canto lirico? il fatto che sia ritenuto non sviluppabile, cioè si pensa che si possa migliorare la dizione, il modo di porgere, l'espressività, ma non la potenza, che è il dato essenziale, se non l'unico, che i cantanti lirici agognano con avidità. Beh, consolatevi, perché la vera, piena sonorità della voce, unita a tutte le altre caratteristiche indispensabili a un vero grande canto, si possono conquistare SOLO attraverso questo mezzo, qualunque altro prima o poi presenterà il conto e i limiti. Questo pensiero è anche dettato dal fatto che viene preso in considerazione solo il parlato nella sua porzione di uso quotidiano, senza riflettere che gli esercizi devono estendersi a tutta la gamma vocale o quasi. Allora, caro tenore, pronuncia efficacemente una frase qualunque con lo stesso spirito del parlato su un sol o un la acuto, e anche te, baritono, fammelo su un fa3; e per te, cara amica soprano, mi accontento che mi reciti musicalmente una frasetta limpidamente come fa la Pagliughi su un la3. Ma poi c'è l'altra obiezione da "novella dello stento": eh, si ma sono i cantanti con voci piccole che parlano. Beh, anche questo ormai dovrebbe essere un dato ormai obsoleto; basti sentire con quale efficacia scolpivano le parole i vari Tamagno e Lauri Volpi, tanto per citarne due che mai nessuno ha potuto tacciare da avere voce piccola, anzi, anzi, anzi. Vediamo se questo contributo potrà tornare utile. Chi ha ancora dubbi, non si pèriti (visto che citavo i nonni toscani...! :-)) a pormi ulteriori e ben circostanziate osservazioni e domande.