Translate

sabato, maggio 02, 2015

La novella dello stento

Quando ero piccolo, i miei nonni toscani mi prendevano innocentemente in giro con la filastrocca "questa è la novella dello stento, che dura tanto tempo, la vuoi sentire?" Sia che si rispondesse di sì che no, la replica era "se avessi detto di no/sì ti avrei raccontato la novella dello stento che dura tanto tempo; la vuoi sentire?" E così all'infinito. Ora mi si chiede: Ma se il parlato di una persona è pessimo, ha senso mettersi a migliorarlo? Non è meglio partire con una tecnica su un campo nuovo, che poi avrà ripercussioni anche sul parlato?" La risposta è NO, e anche questa è la novella dello stento, perché in quasi 700 post non so quante volte avrò già affrontato l'argomento. Però non importa, non demordo e non mi spazientisco. Vuol dire che qualcosa sfugge e non sono ancora riuscito a rendere efficaci e lampanti i precedenti interventi. Comincerò col ripetere questo concetto: contrariamente all'apprendimento di uno strumento meccanico esterno a noi, dove dobbiamo imparare ad azionare leve, tasti, bottoni, ecc. "inventati" da qualcuno con regole di buon senso, ma non certo universali, la voce esiste in noi fin dalla nascita e il suo funzionamento non è inventato da nessuno, ma è contenuto nel nostro dna, per cui non dobbiamo nemmeno far la fatica di scoprirlo, perché agisce già in noi, salvo l'esistenza di patologie di una certa gravità. 1) Se il parlato non è valido, è sporco, grossolano, affetto da difficoltà di vario ordine, questa carenza è presente nelle condizioni di quel soggetto che non è che facendo un uso diverso della voce spariranno come per incanto! Al 99% il problema del parlato è causato da una insufficienza respiratoria (relativa al parlato, non alla vita); si pensa di risolverla come? Facendo esercizi di respirazione? Puro sogno, perché l'esercizio respiratorio fine a sé stesso avrà pochissimo riscontro nell'uso della voce. Non che non ci sarà alcun miglioramento, ma sarà sempre inferiore al vero obiettivo da porsi, cioè l'elevamento della voce cantata ad arte vocale. 2) cosa succede in quasi tutti i casi in cui si decide di non partire dal parlato, ma da tecniche respiratorie e unicamente vocalizzi? Che si accetterà e si considererà valido un suono "indietro", un suono (quindi non le vocali pure) che potrà anche apparire bello e di una certa ricchezza timbrica, ma MAI realmente libero e pieno nella risonanza, nella plasticità espressiva e nella piena omogeneità timbrica, dinamica e della dizione, e anche l'intonazione sarà sempre imperfetta. Ah, il cantato tecnico, non illudetevi, non avrà alcuna ripercussione sul parlato; invece talvolta chi canta parla affondando o schiacciando, o (le donne) in falsetto, oppure sussurrando. Tutti atteggiamenti perlopiù narcisistici per far capire che si è cantanti lirici. Oggigiorno non so con quanta soddisfazione e riscontro nobilitante. 3) Come ripeto ancora una volta, il parlato quotidiano è una manifestazione comunicativa che sfrutta le possibilità energetiche del nostro corpo al minimo possibile, proprio per l'uso piuttosto intenso che se ne fa. Nel momento in cui mi serve un utilizzo di maggiore qualità, io dovrò esercitare il parlato in senso EVOLUTIVO, cioè dovrò correggere senza tregua tutti gli aspetti che nel parlato comune sono ininfluenti; corretta accentazione della parola e della frase, legato nella parola e nella frase, corretto uso dei registri espressivi e dei toni (registri non in senso meccanico). Questa fase in alcuni casi può essere allucinante per quanta attenzione, pazienza e perserveranza richieda, ma porta il soggetto ad acquisire una coscienza straordinaria relativamente al proprio modo di esprimersi. Contemporaneamente si svilupperà enormemente una respirazione artistica vocale-musicale adeguata, che SOLO COSI' può avvenire. Nessun altro sistema può portare a vantaggi di alimentazione sonora di questa efficienza ed efficacia. 4) il parlato svolto con disinvoltura, permetterà di riconoscere ed enucleare le vocali con la stessa nonchalance, per cui è favorita la nascita di queste nel giusto posto e con la giusta energia, evitando o riducendo man mano la spinta e le pressioni indebite. 5) la verità è che la maggior parte degli insegnanti non ha la più pallida idea di cosa fare con il parlato, se loro stessi non si sono educati con una evoluzione di questo e quindi non hanno la coscienza di dove risieda la libertà di ogni parametro vocale e musicale. Chi ha imparato il canto in una scuola dove si fanno solo vocalizzi, dove si cerca la voce dentro, qualunque sia il posto, muovendo muscoli, cartilagini, pareti, ecc. nel momento in cui dovesse cimentarsi con il parlato, si troverebbe in un regno sconosciuto, agli antipodi di quello praticato comunemente, per cui dovrebbe azzerare tutto e ricominciare da capo, per quanto il fatto di aver cantato per un certo tempo lo favorirà nella quantità respiratoria, ma si accorgerà subito che il fiato lavora in modo del tutto diverso, e proverà molta difficoltà proprio nella respirazione, e prenderà atto che il suo fiato, nonostante tutti gli esercizi fatti per anni, non è adeguato al 100% all'emissione vocale. 6) cos'è il canto? Una riflessione quasi banale; una qualunque aria per qualsivoglia classe vocale, da Vissi d'arte a Nessun dorma, da Cortigiani vil razza dannata a Condotta ell'era in ceppi, da Ella giammai m'amò a Der Hölle Rache, sono tutte arie che contengono un mare di PAROLE! per cui i casi sono due: o si dice, come molti purtroppo dicono, che nella lirica le parole non contano, o si è di fronte a una incoerenza. Per quale motivo le parole dovrebbero migliorare facendo vocalizzi e non esercitando le parole stesse? Magia!! 7) ma in definitiva cosa impedisce a molti, i più, a non ritenere il parlato un utile mezzo di conquista del canto lirico? il fatto che sia ritenuto non sviluppabile, cioè si pensa che si possa migliorare la dizione, il modo di porgere, l'espressività, ma non la potenza, che è il dato essenziale, se non l'unico, che i cantanti lirici agognano con avidità. Beh, consolatevi, perché la vera, piena sonorità della voce, unita a tutte le altre caratteristiche indispensabili a un vero grande canto, si possono conquistare SOLO attraverso questo mezzo, qualunque altro prima o poi presenterà il conto e i limiti. Questo pensiero è anche dettato dal fatto che viene preso in considerazione solo il parlato nella sua porzione di uso quotidiano, senza riflettere che gli esercizi devono estendersi a tutta la gamma vocale o quasi. Allora, caro tenore, pronuncia efficacemente una frase qualunque con lo stesso spirito del parlato su un sol o un la acuto, e anche te, baritono, fammelo su un fa3; e per te, cara amica soprano, mi accontento che mi reciti musicalmente una frasetta limpidamente come fa la Pagliughi su un la3. Ma poi c'è l'altra obiezione da "novella dello stento": eh, si ma sono i cantanti con voci piccole che parlano. Beh, anche questo ormai dovrebbe essere un dato ormai obsoleto; basti sentire con quale efficacia scolpivano le parole i vari Tamagno e Lauri Volpi, tanto per citarne due che mai nessuno ha potuto tacciare da avere voce piccola, anzi, anzi, anzi. Vediamo se questo contributo potrà tornare utile. Chi ha ancora dubbi, non si pèriti (visto che citavo i nonni toscani...! :-)) a pormi ulteriori e ben circostanziate osservazioni e domande.

5 commenti:

  1. Sostenere che lavorare sul parlato sia sbagliato perché lo usiamo da sempre ed è pieno di difetti, e che quindi sarebbe più vantaggioso operare in un campo nuovo ed insegnare una tecnica di canto slegata dal parlato, è come dire ad una persona con leggeri problemi di cuore o di fegato, di non curare il proprio organo con le terapie naturali disponibili, ma di sostituirlo tout court con uno nuovo trapiantato. La persona se è fortunata magari sopravvivrà altri dieci o vent'anni o forse addirittura di più, però assumendo costantemente farmaci anti rigetto che debellano il sistema immunitario e che la obbligano ad indossare una mascherina davanti alla bocca tutte le volte che dovrà mettere un piede fuori dalla porta di casa. Una vita grama. Inoltre prima o poi il fisico si ribellerà, e rigetterà l'organo nuovo che non può riconoscere come suo. Il corpo umano è un UNO che la scienza, la tecnica, non possono permettersi di smontare e rimontare a proprio piacimento.
    Nel canto, le varie tecniche, che in quanto tali sono artifici, cioè schematizzazioni sostanzialmente arbitrarie, costituiscono tutte uno stupro più o meno violento per gli apparati coinvolti nella fonazione, che sopporteranno due, cinque, dieci, venti o anche trent'anni a seconda del fisico che ognuno si ritrova, senza però mai esprimere realmente un'arte esemplare cioè davvero NATURALE e VERA. Al massimo si può raggiungere un risultato esteticamente gradevole, secondo un’ottica superficiale, puramente cosmetica. Ma prima o poi il corpo si ribellerà e presenterà il conto con gli interessi. Tutte le tecniche di canto causano prima o poi un violento rigetto da parte dell'istinto, oppure un lento e graduale declino vocale. Anche mostri sacri come Kraus, Ramey, Horne sono andati incontro a questo declino. Del resto a cantare professionalmente sono quasi esclusivamente i superdotati, oppure quelli che hanno un talento naturale fuori dal comune: ma non è sui casi eccezionali che si può impostare la didattica. Non siamo fatti per cantare, la nostra gola non è uno strumento musicale appositamente costruito per questo compito, essa assolve in modo prioritario ad altre funzioni legate alla nostra sopravvivenza fisica. Non esiste un libretto delle istruzioni dello strumento musicale laringe, non ci sono pulsanti da premere o leve da tirare per attivare la funzione "canto". Non è un'autovettura che risponde ad un comando attivato dalla volontà modificando il proprio assetto ora per la guida in città, ora per la guida sportiva. Esiste solo una spontanea unità e armonia di funzionamento, non dipendente dalla volontà ma dalla natura innata, cioè quell’unità e quell’armonia che si realizzano automaticamente quando parliamo tutti i giorni, o in caso di necessità, quando gridiamo per difenderci, perché prendiamo uno spavento ad esempio. Solo lavorando su questa base, coltivandola, sviluppandola, evolvendola, disciplinandola, unificando la gamma gridata con quella parlata, senza violentare la natura, è possibile elevare la parola a canto, e fare di esso un canto davvero naturale: una seconda natura. Nessuna tecnica può condurre all’UNO, è una follia il solo pensarlo. Così come nessun intervento chirurgico di trapianto potrà ristabilire la perfetta armonia e coesione degli organi del nostro corpo.

    RispondiElimina
  2. Coloro che insistono nel porre la dicotomia tra voce parlata e voce cantata, come se tra le due esistesse una commutazione, come se fossero due universi paralleli, non hanno capito nulla di come funziona la voce e di cosa è il vero canto. Tradiscono, in fondo, una mentalità meccanicista, scientista, tesa a dividere, a smontare, a non cogliere le relazioni e l’unità dei fenomeni. E poi parlano di olismo! Come si può considerare parola e respiro come due cose separate, indipendenti, da mescolare insieme come in una soluzione chimica, una sorta di cocktail? Come si fa ad ignorare il rapporto di strettissima INTER-dipendenza che c’è tra pronuncia e fiato? Come si fa a considerare separatamente parlato e canto, come se il secondo non fosse uno sviluppo del primo, come un effetto senza causa? Costoro tradiscono inoltre il proprio insanabile narcisismo, il non voler accettare la pura parola perché troppo semplice, troppo povera, troppo umile. Cosa si può volere di più, di una parola perfettamente pronunciata e perfettamente intonata, e pertanto perfettamente udibile? Di cos’altro c’è bisogno? Di quale stucchevole melassa vanno in cerca costoro?

    Qui una scena di un film con Tito Schipa. I soloni della “tecnica del belcanto italiano doc”, mi spieghino quale differenza sentono tra la voce parlata e la voce cantata di Schipa. Per me sono esattamente la stessa cosa, solo con un impegno diverso (ma neanche tanto: canta con una facilità che fa addirittura rabbia).

    https://www.youtube.com/watch?v=sdJB0lTMp_Q&feature=youtu.be

    RispondiElimina
  3. Grazie per il sostanzioso contributo. Vorrei solo precisare, per quanto hai già ben scritto tu, in riferimento alla frase "Non siamo fatti per cantare, la nostra gola non è uno strumento musicale appositamente costruito per questo compito, essa assolve in modo prioritario ad altre funzioni legate alla nostra sopravvivenza fisica" che è vero ma che è possibile attivare questa funzione canora che è "dormiente" o potenziale in essa, e ciò che la risveglia è il fiato, suo principe azzurro!

    RispondiElimina
  4. Ho letto con vero interesse e condivisione quanto asserito anche da francesco n.
    Stavo facendo una riflessione stamane con un baritono... affondista, o meglio (non ridere Fabio) abbiamo gareggiato con il fischio; abbiamo fischiato (sono molto bravo) alcune arie d'opera ed alcuni motivetti anche semplici e simpatici. Io riesco a fare filati anche lunghissimi, mezze voci fischiate, pianissimi, ecc. Non mi crederai ma l'affondista non riusciva a legare, filare, a sostenere fisci lunghi. C'è una spiegazione secondo te? Scusami per l'argomento forse fuori luogo ;-) ma sono di una curiosità.....

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Certamente c'è un legame; la qualità del fiato influisce anche sul fischio; come ho già scritto, le labbra sono rapportabili a quelle vocali, solo che sono una quindicina di cm più avanti, e come suonano meglio quelle canore, anche quelle orali potranno svolgere più efficacemente quel compito, anche se la natura e la struttura muscolare non permettono lo stesso livello di raffinatezza.

      Elimina