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lunedì, aprile 27, 2015

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Con questo post spero di riuscire a dare una più definitiva e chiara descrizione di cos'è l'arte respiratoria; dopodiché potrei anche chiudere questa infinita serie di post che dura da qualche anno (ma non vi preoccupate [o forse sì], continuo!). Dunque, fin dall'inizio di questo blog ho ripetuto più volte che la peculiarità fondamentale del fiato nella produzione vocale artistica risiedeva NON nella quantità di fiato, che ha comunque una sua importanza - non la si intende sminuire, ma nella sua qualità. Questa è una caratteristica che io non avevo mai letto da nessuna parte e mai sentito pronunciare da nessun insegnante o teorico del canto fin quando conobbi il m° Antonietti. Dopodiché nulla è cambiato; oggigiorno continuo a non vederlo scritto da nessuna parte, salvo vedere appuntare dei "mi piace" o ricevere commenti positivi quando lo scrivo in determinati forum o social network. Forse è meglio così perché non c'è l'ipocrisia di dire un qualcosa che poi non si sa spiegare. Questo concetto ho provato a illustrarlo in molti modi, ma forse mi sono sempre mancate le parole concise, sintetiche e pregnanti per fissarlo in modo realmente comprensibile. L'artista vive una realtà che è propria di una dimensione del pensiero, e mal si coordina con i limiti imposti dal mondo fisico e delle concezioni razionali. Esprimere a parole cosa vuol dire respirare artisticamente ai fini di una vocalità esemplare è cosa quasi impossibile, o forse lo è del tutto, ma per approssimazione è probabile che input efficaci possano arrivare a chi è aperto ad accorglierli. Come dico sempre, le soluzioni sono più semplici di quanto si possa pensare e più "davanti al naso" di quanto non si creda, ma non si hanno mai occhi abbastanza puri per vedere la verità che ci sta di fronte. Dunque, partiamo dal fatto fondamentale: cos'è un suono? E' la vibrazione REGOLARE di un corpo elastico. Nel nostro caso abbiamo delle lamine parzialmente muscolari e in maggior percentuale formate da tessuto connettivale elastico. Quando esse sono chiuse e l'aria deve passare, ne forza l'apertura finché esse cedono, ma appena lasciata passare una piccola quantità d'aria, esse si richiudono, e ripetono questo ciclo all'infinito, pertanto potremmo dire che la regolarità produttrice del suono è quasi casuale. Questo sistema non è governato da una volontà di tipo musicale, ma solo da una legge elastico-meccanica (che è la stessa delle corde degli strumenti ad arco, salvo che quelle saranno sempre così, mentre le corde vocali umane hanno una possibilità di cambiamento). Le corde oppongono una lieve resistenza e l'aria che passa provoca una continua apertura-chiusura che genera suoni. La stessa cosa la possiamo facilmente provare con le labbra (è ciò che fanno i suonatori di strumenti in ottone); non per nulla le c.v. si chiamano più propriamente labbra della glottide. Proprio facendo esperimenti con le labbra vi renderete conto che questa vibrazione se è abbastanza semplice in alcune note centrali, diventa molto difficile, irregolare, man mano che si provano a fare suoni acuti, e questo perché si genera un difficile equilibrio tra la quantità di aria necessaria a far vibrare le labbra e la pressione stessa che insiste su di esse e che per reazione si tendono a indurire, tendere. L'aria "non sa cosa sta facendo", esce con una pressione e in una quantità dettata da una nostra idea vaga delle dosi che occorrono per emettere un certo suono, ma anche da una conoscenza interiore, che però collide con il grossolano funzionamento fisico. Ora, il cuore di tutta questa disciplina sta in questa realtà: l'unico modo affinché si producano suoni perfetti, è far sì che il fiato possegga una qualità fondamentale: la REGOLARITA' (da cui il fiato respiratorio si trasforma in ALIMENTAZIONE); a questo proposito vi rammento l'analogia che proposi molto tempo fa: la cintura di sicurezza. Se la estraggo con regolarità essa si srotola tranquillamente, se strattono, la valvola blocca. La regolarità, poi, NON E' distaccata rispetto l'appoggio e la pressione; ne è la necessaria SINTESI, cioè: affinché un arco respiratorio (alimentante) possegga esatte condizioni di regolarità rispetto un suono vocale che si vuole emettere, deve possedere adeguata pressione e intensità. Se non ci sono queste caratteristiche non potrà esserci neanche la regolarità. Quindi non si può pensare di esercitare e conquistare solo una di queste caratteristiche, perché non si arriverà mai alla sintesi, che è la regolarità. Se manca questa, manca la CONDIZIONE essenziale CONOSCITIVA interiore del fiato affinché si possano emettere suoni perfetti. Se il fiato alimentante lo possiamo definire un ORDINATO FLUSSO di molecole d'aria avente una determinata densità, unica condizione affinché le c.v. vibrino con esatta e indefettibile regolarità, dobbiamo anche considerare che quando il fiato ha una pressione leggermente inferiore o superiore al necessario, le corde mutano il proprio atteggiamento; se il flusso è regolare e in perfetta sincronia con l'impulso nervoso proveniente dalla mente (coordinato con l'orecchio) le corde vibreranno con una libertà e una semplicità massima; nel momento in cui si perde questa regolarità, quindi il fiato arriva con maggiore (o minore) pressione o intensità rispetto a quanto previsto e necessario, le corde tornano a opporsi per cercare di "ubbidire" alla richiesta mentale, oppure si sforzeranno per integrare la vibrazione per quanto non giunge in termini energetici dall'aria produttrice. In pratica, quindi, esiste una sola condizione affinché lo strumento vocale si comporti come tale in modo meccanicamente perfetto, e cioè che esista un comportamento "musicale" anche da parte del fiato. E' una EVOLUZIONE del fiato (non più solo respiratorio ed erettivo), quindi possiamo dire che esso diventa più "intelligente", ovvero con un grado di conoscenza superiore. Lo stesso avviene per le corde vocali quando esse, in virtù di quella ricchezza respiratoria, potranno vibrare in tutta la gamma con un'unica meccanica, risultato di una gradualità vibratoria. Se si evolvono fiato e corde, è anche grazie a una più semplice e raggiungibile evoluzione (che è il traino, l'esigenza che innesca tutto il processo successivo): quella delle vocali o meglio del parlato. Sono stato criticato per aver esposto come esercizio il "perfezionamento" del parlato, il che secondo alcuni è una procedura scorretta. Allora accetto la critica e cambio terminologia: non perfezionamento, ma evoluzione del parlato, il che è decisamente più appropriato! Il parlato si evolve da mero strumento di comunicazione di basso livello (che è tale perché richiede un basso consumo di energie; un po' come il lavoratore che durante la settimana utilizza un'utilitaria per consumare meno, e lascia l'auto buona - che però consuma - ai periodi di vacanza)a uno di elevato livello. Detto ciò qualcuno potrebbe chiedere: bene, e come si fa a ottenere questo strepitoso risultato? Intanto è fondamentale saperlo e meditarci sopra. Quindi qualche suggerimento. E' evidente, l'abbiamo segnalato poco sopra, che l'equilibrio si realizza abbastanza facilmente nelle note centrali, generalmente più facilmente riproducibili, quindi, come dice il M° Antonietti nella registrazione, occorre far diventare anche il settore acuto come fosse il centro; come si ottiene questo? Parlando man mano su tessiture più acute (ma anche più gravi), o, all'inizio, cercando di parlare (alzando di poco la voce) con la stessa semplicità ma verità che si usa nel centro. L'altro suggerimento riguarda il falsettino e la produzione del primo armonico (di cui parla nel suo trattato il m° Delle Sedie). In questo genere di suono si ha poca istintività alla spinta e infatti ci risulta un'emissione più facile. Talmente facile che le persone (maschi) spesso non vogliono farlo sia perché assomiglia troppo alla voce femminile (disdicevole per i maschi...!), sia perché dicono essere troppo debole (idem). Ma quello è il "bandolo" che ci permette di "acchiappare" il filo della vocalità che si sviluppa esternamente, quindi è necessario, indispensabile. Per le donne, che già hanno il falsetto, ma non per questo non spingono, devono avvicinarsi alla voce infantile. Qualcuno si vergogna e pensa che sia poco dignitoso, non rendendosi conto di quanto poco sia dignitoso un suono gutturale o nasale, che emettono e con cui cantano intere serate senza alcuna vergogna. A proposito di esercizi sul parlato, inserisco questo inciso tratto da una intervista al nipote di Beniamino Gigli:
<< - Senta, che tipo di vocalizzi ha sentito che faceva (Gigli) quando studiava? - Eh, nonno faceva, a parte quelli classici, un vocalizzo che diceva (intona su una nota) : "Padre Gallo aveva un gallo, bianco rosso verde e giallo, per addomesticarlo usava pane e miele"; senza calare mai fino a andare su vocalità alte, quindi lo teneva con un fiato solo, e quando si va su è difficilissimo, cioè se spingi non arrivi a metà di questa frase>>
(tratto dall'Intervista al Dott. Beniamino Gigli, nipote del grande tenore italiano, condotta da Astrea Amaduzzi) Ora questi esercizi sono molto vicini a quelli che si fanno nella mia scuola (come per quelli di Tito Schipa), il che vuol dire molto poco perché poi l'efficacia non dipende tanto dall'esercizio proposto quanto da come viene gestito, però è abbastanza emblematico di un certo approccio, e sono lieto di cogliere in queste poche parole molta comunanza con le idee e le intuizioni sia di Schipa che del m° Antonietti. Tra l'altro sarà bene ricordare che questi esercizi saranno stati congegnati dal m° di Gigli, Enrico Rosati.

5 commenti:

  1. Quelli che criticano il "perfezionamento" del parlato, in verità ricercano una commutazione dello stesso: non vanno presi in considerazione.

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    1. Capisco cosa intendi; naturalmente nulla cambia sul piano del contenuto. Quanto detto e scritto negli anni non muta di una virgola, però, come ho proprio scritto in questo post, siccome la comunicazione verbale è estremamente delicata e suscettibile di interpretazione, è bene cogliere le obiezioni e individuare termini più stringenti e puntuali; non, quindi, per uniformarsi a concetti che non ci appartengono, ma per suscitare più precisi riferimenti al nostro modo di intendere l'educazione vocale.

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  2. Caro Fabio ti riporto pari pari... quanto mi è stato detto da un caro amico baritono che insegna: " ho un allievo che ha un parlato fonetico orrendo, tra l'altro è anche un pò balbuziente come Luca Laurenti, ma come Laurenti quando si tratta di cantare emette un parlato stupendo me canta benissimo. Quest'allievo ha parlato di una "pronuncia mentale"....."

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    1. La balbuzie è un fatto nervoso e non incide sulla qualità del parlato/cantato. Il parlato normale spesso viene peggiorato da atteggiamenti anche volontari o caratteriali; una persona molto timida in genere parla molto piano, quindi trattiene o ha un parlato "molle", come Laurenti, e il suono finisce in gran parte del naso. Il loro "vero" parlato, però, con un po' di impegno, diventa subito migliore (infatti ho sentito anche lo stesso Laurenti parlare in modo eccellente). Il compito dell'insegnante non è valutare il parlato apparente, ma quello reale, che affiora appena si richiedono alcuni accorgimenti. Infine, l'atteggiamento può cambiare considerevolmente nell'affrontare il canto; spesso è peggiorativo, ma non di rado è positivo; in un certo senso la persona timida (e vedi i balbuzienti) si "rifugia" con più sicurezza nel mondo del canto, se pensa che lì può esprimersi con maggiori probabilità di successo sociale.

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