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martedì, settembre 27, 2011
Dove sta Zazà...
Un legame diretto tra parola detta (parlato) e canto è estremamente difficile da accettare. Alcuni lo rifiutano, altri rimangono nel dubbio per più o meno tempo. Naturalmente questa è una problematica soprattutto legata ai nostri tempi dal nostro ego, connaturato a come l'uomo è fatto, e nel corso dei secoli muta poco o niente, esso è molto sensibile agli aspetti ambientali e sociali. Da quando, tra Ottocento e Novecento, tutto il mondo musicale ha cominciato a sviluppare una progressione sempre più accesa verso sonorità forti, drammatiche, scure, complesse, si sono andati escludendo tutti quei suoni e quelle dinamiche più sottili, chiare, sfumate, ma anche piacevoli, agili, espansive che caratterizzavano i tempi precedenti. Credo sia una dinamica abbastanza scontata: il progresso, il tempo che avanza, vuole rinnegare il passato come "vecchio", superato, non adeguato. Naturalmente esiste la controforza che invece tende a "rifugiarsi" nel passato, ad esaltare i "bei vecchi tempi", gli "antichi maestri", e questo crea il fenomeno della nostalgia, dei "vedovi", ecc. Quest'ultimo fenomeno è da considerarsi non meno controproducente del primo, perché spesso e volentieri è una pura forma di pigrizia mentale, di rifugio rispetto una realtà in cui non ci si ritrova, in cui non ci si sa adattare, e questa retorica del passato finisce proprio per essere additata come esempio negativo. Nell'ambito del canto è avvenuto un fenomeno che ha creato una sorta di solco divisorio tra due epoche, che possiamo identificare nella tecnica dell'affondo. E' un fenomeno falso e sbagliato, ma non possiamo più farci niente. La cosa buffa è che esso stesso si configura come un elemento del passato, legato a stereotipi di vecchio, vecchissimo stile, del tutto slegati dalla vera tendenza di gusto contemporanea, che ama, in realtà, nuovamente sonorità non roboanti, detesta il gusto dozzinale e fraseggi quasi unicamente declamati. Eppure per la maggior parte degli "intenditori" di lirica, esiste un "avanti" e un "dopo" Melocchi, portatore (non so quanto sano) di quella tecnica che viene identificata col termine affondo. Esclusi coloro che amano e che affrontano il "bel canto", storicamente inteso, cioè tutto il periodo barocco e su su fino a Verdi, insegnanti, allievi e cantanti dicono: fino a quel repertorio può andar bene la scuola del bel canto, MA da lì in poi è stato necessario "inventare" una tecnica per affrontare un tipo di repertorio moderno diverso, meno legato al canto aereo e figurato, e più carnale, più verista, più drammatico. Quindi se ne riconosce da un lato certa limitatezza, ma compensata dalle possibilità di sviluppo sonoro, indispensabili per il teatro "moderno". Naturalmente non è vero, è una pura illusione. Le tecniche che in qualche modo fanno capo all'idea dell'affondo, cioè respirazione molto bassa, pressione verso il diaframma e verso la laringe, creano molto rumore, ... per nulla. Non che non ci sia in assoluto una realtà; è vero che premendo sul diaframma si ottengono in breve tempo dei risultati, perché si impedisce a laringe e diaframma di risalire (entro certi limiti), e quindi si ha subito uno sviluppo sonoro. Sappiamo però che questa meccanica è antivocale, quindi buono chi resiste, gli altri... carne da... affondo. Ma non voglio tornare su questa storia, troppo spesso rimarcata in questo blog. Ognuno è liberissimo di scegliere e di preferire quel che vuole, anche se la cosa migliore sarebbe quella di rimanere aperti all'evoluzione anche personale del gusto e delle opinioni. Tornando al concetto iniziale, se poniamo come raffronto una vocalità come quelle di Del Monaco o anche Corelli, per non parlare di Giacomini e poi arriviamo in una scuola come la nostra, dove per mesi si fanno sillabe e frasi parlate, e solo occasionalmente vocalizzi e sempre con esortazioni a tenere leggero, a non spingere, a non "dare", si può comprendere come qualunque persona di buon senso possa rimanere non solo dubbiosa, ma decisamente scettica sulla possibilità che da quegli esercizi si possa sviluppare una voce realmente teatrale. E' ovvio: ciò che noi otteniamo grazie ad un percorso artistico non è intuibile né immaginabile. E infatti mi capita in continuazione che gli allievi non si rendano conto immediatamente dei suoni che stanno facendo. Ma a un certo punto si dovrebbe riconoscere che, essendo l'apparato fono-respiratorio, uno, e che può funzionare solo in un modo, se esistono da parte dell'insegnante le competenze per elevarlo a vero strumento musicale, il risultato sarà e potrà essere sempre e solo il migliore possibile, il che vuol dire che la strada per ottenere una vocalità anche drammatica, forte, scura, non passa da un'altra parte, che è solo una illusoria scorciatoia, perché la vera scuola di canto consentirà OGNI tipo di canto, anche, diciamo alla Del Monaco, ma con tutti i lati positivi di una sana scuola basata su principi virtuosi, quindi senza danni, quindi musicalmente ricchissimo, quindi con repertori molto più ampi e possibilità di stili diversi. Il parlato non è un palliativo, una tecnica, un sistema per portare soltanto la voce avanti; esso è la base su cui prenderà inizio lo sviluppo di bellezza, ricchezza, volume, intensità, estensione della voce. Pensare, cioè, che il parlato è un pezzo, ma poi la voce si "costruisce" con i vocalizzi, è sbagliatissimo, è la negazione di qualunque processo realmente teso al raggiungimento di un suono puro e perfetto. Allora capiamo, ancora una volta, meglio cos'è, come si rappresenta, il parlato, e vediamo se qualcuno riesce a penetrare un po' meglio in questo "mistero". La pronuncia, la dizione, il parlato, non sono condizioni del fisico, ma sono condizioni del fiato. In uno dei video presenti sul sito, faccio chiaramente sentire che anche senza voce, giusto con un po' di fiato emesso, si percepisce una vocale anziché un'altra. Quindi il fiato attraversando i nostri condotti, assume un determinato carattere vocale anziché un altro. Siccome il pensiero di una vocale comporta modifiche degli spazi elastici, siamo sempre convinti che siano questi spazi a determinare la vocale, ma la questione è più complessa o più semplice, a seconda di come siamo disposti a recepirla. Quando noi parliamo, ovviamente non facciamo riferimento a singoli suoni, perché tutto viene già legato e scorrevole. Se non si è affetti da qualche evidente difetto, in chiunque appare evidente che il parlato si crea e si espande al di fuori della bocca. Quindi il fiato incontra sul proprio cammino determinate condizioni di spazio e determinati ostacoli, ma la sua corsa non può e non deve fermarsi, altrimenti non verrebbe fuori niente, al massimo qualche rumore inintelligibile, ma prosegue e solo quando fuoriesce dalla cavità orale darà origine alla parola parlata. Possiamo riferirci a un saltatore in alto: la corsa è certamente la premessa per un buon salto, MA NON E' IL SALTO, che è la cosa che interessa realmente, nel senso che se una telecamera inquadra il momento del salto ma non la rincorsa, poco male, ma se inquadra la corsa ma non il salto, è da uccidere! Allora è logico che ci devono essere le premesse perché il suono vocale esca corretto, ma non confondiamo il parlato, che è FUORI della bocca, con quanto avviene all'interno, che nel caso del parlato è anche più semplice e automatico, rispetto la corsa del saltatore, che richiede invece un'attività fisica eccezionale. La voce in buona parte esce da sola, sospinta dall'attività di espulsione del fiato, quindi non richiede quasi alcuna forza. Si dice che invece il canto, essendo più forte, richiede molta forza. La cosa è vera fino a un certo punto. Siccome, come ho ripetuto fino alla nausea, il nostro corpo, se non è contraddistinto da doti eccezionali, si oppone sempre istintivamente al peso del suono e al tentativo di commutazione di una funzione in un'altra (quella aerea fisiologica in artistica vocale), nei primi tempi occorrerà molto impegno per "domare" il diaframma svincolandolo dall'azione dell'istinto. In questo processo si andranno ad instaurare progressivamente gli elementi di tipo acustico vero e proprio, cioè si andranno a ottimizzare l'utilizzo passivo dei cosiddetti risuonatori che faranno sempre più aumentare le possibilità sonore della voce, permettendone volume, bellezza, ricchezza, velocità (compito svolto da fiato/diaframma, non da azioni muscolari volontarie). Quando si dice "cantare come si parla", si dice una verità assoluta, cioè si raggiungerà quella facilità e quella posizione davanti alla bocca, che se ci soffermassimo qualche volta a notare, contraddistingue la parola parlata e poi cantata, con tutto quel supporto aereo e muscolare che la disciplina ha reso "naturale" e non eccessivamente impegnativa. Contrariamente agli esempi sportivi che talvolta faccio, il canto non è da assimilare a una disciplina sportiva, se raggiunge il livello artistico, perché va oltre quella dimensione, e consente un risultato di ampia portata con un impegno minimo. Su quest'ultimo tema dovrei fare delle precisazioni, ma magari in altro momento...
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Caro Fabio sai bene che ho sempre condiviso, come ora, le tue analisi che sicuramente sono il frutto delle tue esperienze e dei tuoi studi che se ho ben capito sono stati un pò travagliati all'inizio fino a quando hai trovato il Maestro che ti ha aperto la mente e ti ha permesso di raggiungere la "dimensione artistica".
RispondiEliminaContinuando il discorso dell'amico tenore, gli ho telefonato stamattina per avere ulteriori ragguagli,mi riferisce di aver "impercettibilmente" inclinato la laringe (onde ottenere una canalizzazione del suono così dice lui ma penso sia un fatto più pensato...), e mi chiedo se davvero sia questa una peculiarità della tecnica dell'affondo. Inoltre, mi riferisce di "pensare al fiato fuori e come se pronunciasse con l'atteggiamento alla vocale U".
Io adesso da profano quale sono, posso però ribadirti che: il suono è ricco e caldo sia nel piano che nel forte, ha una gamma di colori apprezzabili, riesce a cantare in un fiato con soavità e dolcezza quando occorre senza eccedere mai ne con spinte ne con suoni eccessivi.
Io nel mio piccolo ho una bella voce meno "rotonda", "pastosa" molto semplice... quasi parlata e mi dicono viaggi benissimo.
Due voci, due effetti. Diverse sensazioni. Sicuramente belle entrambe. Non sono però sicuro se si tratti di affondo oppure no? Come fare a capirlo bene?
Grazie Fabio. Sei mitico!
La cosiddetta tecnica dell'Affondo non è una scuola con principi chiaramente definiti, con una linea di base universalmente riconosciuta e via dicendo. Melocchi, attraverso esperienze estere, apprese che premendo sulla laringe si potevano ottenere in poche lezioni suoni di notevole volume, e applicò questa regola, che prese il nome di "affondo". Poi altri suoi allievi, o altri insegnanti che non avevano direttamente seguito Melocchi ma ne conoscevano il metodo, hanno variato un po' la prassi, sicché oggi ci sono insegnanti che dicono di insegnare l'affondo, ma è molto diverso da quello di Melocchi, e altri (come il mio primo insegnante) che dicono di aborrire l'affondo, ma di fatto lo insegnano senza rendersene conto. La laringe inclinata adesso è anche una prerogativa delle scuole americane, tipo voice-craft o sls. La U è tipica dell'affondo, quindi direi che indipendentemente da come questo tenore lo chiama o lo vive, in qualche misura è su quella china. Per capire dovrei sentire. Per me è inaccetabile. Lo so che è un pensiero talebano, ma per me non esistono le mezze misure. Poco o tanto, inclinare o premere o qualunque altra cosa si voglia fare con la laringe, anche impercettibilmente, si mettono in azione muscoli estrinseci (come lo sterno-cricoideo) che di fatto impediscono, o limitano, la laringe nei movimenti delicati e minimi che deve fare per adeguare la tensione delle corde al fiato e ai colori. Se mentre canta uno pensa a queste cose, dov'è l'Arte? E' una tecnica, e non ci siamo più. Può piacere, non ne dubito, come sono piaciuti e piacciono molti che seguono quella strada. Io ne seguo un'altra e pur essendo aperto e interessato a ogni esperienza, sono invece immediatamente prevenuto e scettico su ogni emissione che preveda coinvolgimenti diretti della laringe, in primo luogo, e muscolari interni, in secondo. Ogni cosa, poi, va anche saputa valutare in prospettiva temporale, perché ciò che è valido e piacevole oggi, potrà non più esserlo domani, se il mezzo utilizzato porta ad usura e decadenza... Ciao
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