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domenica, gennaio 22, 2012

"Apri la tua finestra..."

L'aria dell'Iris di Mascagni, come al solito, non c'entra niente! Accenno a un tema molto ricorrente, ma che non ho mai trattato compiutamente. Il canto "aperto".
Oggi si parla di canto "aperto" perlopiù in termini negativi, o comunque dubitativi. Benimino Gigli, a chi gli chiese perché non insegnasse, rispose che non lo faceva perché avrebbe insegnato a fare come lui, un canto aperto, e avrebbe rischiato di rovinare qualcuno. E' encomiabile il fatto che si rendesse conto della difficoltà e dei rischi di insegnare canto senza una profonda coscienza, e quindi meglio evitare, specie se si è grandi cantanti, e dovrebbero (o avrebbero dovuto) capirlo tanti che invece si sono dedicati all'insegnamento facendo danni. Però Gigli aveva un dubbio riguardante il proprio canto, dal momento che sul canto aperto ammetteva la possibilità di un rischio. Ma allora perché lui sì? Poi dobbiamo fare una piccola analisi storica: quando nasce questo termine. A me sembra che non se ne parli se non in tempi piuttosto recenti. Come avrete notato non ho scritto il termine opposto: qual'è? Il contrario di aperto, nella vita quotidiana, è "chiuso". L'ho anche sentito utilizzare da insegnanti: "chiudi questo suono". Reputo orribile questo termine, che è psicologicamente deleterio. Nella terminologia classica, il contrario di aperto è "coperto". Credo, e già lo scrissi tempo fa, che il termine di paragone negativo dei nostri tempi, che fa prendere le distanze tanti cantanti e insegnanti dal canto aperto, sia Giuseppe Di Stefano, che indubbiamente ebbe un declino rilevante, e altrettanto indubbiamente cantava secondo l'accezione di cui sopra. Ma allora cosa significa, quali rischi comporta, è bene o male trattarlo, ecc.? Cominciamo col definire più precisamente quello che è l'aspetto ritenuto negativo e quindi da evitare: la zona acuta. Tutti sanno, soprattutto i tenori, che oltre una certa nota, diciamo fa-fa#3, è possibile emettere delle note appartenenti al registro di petto. Queste note non si può dire siano proprie della gamma del parlato, e appartengono più propriamente al grido; dunque salendo di petto si ha l'impressione di un canto sguaiato, non dominabile espressivamente. Siccome diventa anche difficile mantenere una dizione raccolta, l'impressione è anche quella che tutte le vocali tendano a diventare A, cioè si ha la percezione di una apertura eccessiva e imbarazzante di tutta la cavità oro-faringea. Quindi una negatività nella qualità dell'emissione, nell'espressività e persino estetica. Mi pare evidente e scontato che a nessuno piace o piacerebbe un canto sbracato e sguaiato, pertanto laddove "aperto" è sinonimo di un simile risultato è pacifico dire di no. Ma un canto aperto è sempre riferibile a questo tipo di emissione? Qualche tempo fa, parlando di "aperto-coperto" abbiamo già in parte risposto alla domanda. E', e sarebbe, assurdo che un meraviglioso strumento come quello umano, non consentisse di raggiungere quell'omogeneità tale da consentire di pronunciare qualunque vocale, o sillaba, nella tessitura del canto (si può fare un'eccezione per la voce femminile oltre il la4, dove la fisiologia materialmente crea qualche impedimento), pertanto possiamo affermare che è potenzialmente possibile un canto aperto su circa due ottave, senza andare incontro a sguaiamenti, imbruttimenti, danni per la voce. Naturalmente è un risultato che non si può ottenere, come fece Di Stefano, semplicemente volendolo, pur avendo, come nel suo caso, delle formidabili doti, perché l'istinto non lo consente, dunque quando ci si trova in una condizione eccezionale, lo studio può condurre a perfezionare e mantenere quella condizione per tutta la carriera. Per tutti gli altri, che sono sempre e sicuramente la grande maggioranza, quel risultato andrà ottenuto con uno studio "eroico", che disciplini il fiato al punto da poter alimentare una corda tesissima con la disinvoltura del tratto parlato. E' evidente che si tratta di un obiettivo quasi disumano, ma quando la scuola possiede gli strumenti cognitivi per un tale traguardo, non si può far altro che percorrerli con fiducia. Se ci sono i dubbi, invece, meglio rimanere sul piano tecnico e continuare a fare ciò che la tecnica suggerisce. Dicevo ieri a un mio allievo: pensa ai grandi ebanisti, che costruivano elaborati mosaici o mobili molto complessi incastrando tutti i pezzi, senza la minima presenza di colla o chiodi. Se tu sei padrone di questa Arte, consegnerai l'oggetto senza patemi al committente. Altrimenti, se hai dei dubbi, dirai: "mah, magari un chiodino in mezzo lo metto, non si sa mai, o un goccio di colla che manco si vede...". Bene, è evidente che il goccio di colla è la negazione di tutto il lavoro. Bergonzi è stato sicuramente un valido cantante, ma metteva sempre il "goccio di colla", e per tutta la sua carriera ha sempre coperto dal passaggio in su, perché non si fidava del suo fiato, oppure sapeva che non era in condizione di reggere un acuto aperto, o chissà cos'altro...
Allora il canto aperto è da molti considerato un canto "sprotetto", come se ci si esponesse a un pericolo, mentre il canto "coperto" è considerato sicuro, protetto. Quella che si chiama "copertura" è poi semplicemente un oscuramento del suono, che se può avere delle qualità nell'educazione del fiato, a occhio o croce mi pare stia facendo più danni e vittime del peggior canto aperto! Infatti la maggior parte dei cantanti (o meglio degli insegnanti), spesso nell'oscurare i suoni in realtà li manda indietro, perché il canto coperto richiede un impegno maggiore, e quindi per pararsi da quella fatica o si sollevano (pensando il suono "in maschera", cioè nel naso o più su ancora) o si mandano verso il palato molle (sempre con l'idea di fare qualcosa di positivo, tipo dare maggior spazio o andare a cercare "il passaggio a nord-ovest" per mettere il suono in maschera. E così noi abbiamo un esercito di cantanti o aspiranti tali che non è in grado, nonostante ne abbia le potenzialità, di fare acuti degni di questo nome, facili, squillanti, ampi. E' una disciplina che richiede molto tempo, pazienza, coraggio, disponibilità, tutte cose forse troppo impegnative, ma non c'è soluzione di compromesso, però è indispensabile, perché il canto coperto è e sarà sempre un canto limitato e "con la goccia di colla", cioè non nella pienezza della libertà, come un'arte richiederebbe.
Per evitare che qualcuno legga questo post senza aver letto altro e si faccia l'idea che noi consigliamo di andare verso gli acuti in voce di petto, ribadirò che non è così, tutt'altro! Noi diciamo che gli acuti si fanno in corda sottile, ovvero cosiddetta di falsetto, e per far ciò ci si servirà di vari mezzi, compreso l'oscuramento; col tempo (molto), si arriverà a "rastremare" le corde vocali (ovvero il fiato sarà in grado di fare ciò) che nell'estensione dal grave all'acuto, si comporteranno gradualmente da spesse a sottili, senza più "passaggi". In quella condizione non esisterà più la necessità di copertura; tutt'al più si canterà chiaro o scuro a seconda del ruolo o dell'aria che devo eseguire.

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