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sabato, marzo 15, 2014

Il vaso pieno

C'è una diffusa mala-idea sulla scuola (di qualunque tipo) e l'insegnamento, e cioè il concetto di "trasmissione", vale a dire il pensiero che esistono persone "vaso vuote" (allievi) che devono essere "riempite" da persone "vaso piene" (insegnanti). E' profondamente sbagliato questo concetto ed è uno dei mali persistenti della scuola italiana. Questo male è quanto più accresciuto in scuole d'arte; nella scuola tradizionale possiamo essere d'accordo che una componente è costituita dall'informazione, e l'informazione, almeno in parte, deve essere appresa tramite comunicazione, quindi persone o libri o altri sussidi che ci dicono cose. Questo però non è l'apprendimento, non è realmente cultura, non è formazione. La scuola, quindi l'insegnamento, quindi la didattica, quindi la cultura, quindi ogni forma di crescita di una parte della popolazione meno sviluppata, dovrà avvenire tramite un risveglio della propria coscienza e un riconoscimento di ciò che già possiede. Se il vaso fosse vuoto, chi l'ha riempito, all'inizio? Qualcuno può dire: "ma è stata un'evoluzione lenta... " d'accordo, ma sia pure una piccola quantità, ma ci doveva essere... e da dove è stata presa? inoltre, per potersi evolvere, quel "di più" che è stato aggiunto, da dove è arrivato? E' evidente che non arriva da nessuna parte, non c'è un "esterno"; invece fa parte della nostra condizione umana; se evoluzione c'è stata ha riguardato solo un graduale svelamento di quanto potenzialmente esiste, ma anche su questo si può essere ben dubbiosi.  Che forse pittori, scultori, scrittori greci erano meno artisti di Leopardi, Giotto, Canova? L'informazione cresce col tempo, l'uomo crea e diffonde sempre più dati e questi riempiono libri e ogni mezzo di comunicazione. Questi dati di per sé non costituiscono una fondamentale fonte di apprendimento, ma un MEZZO, attraverso il quale noi esercitiamo le nostre capacità elaborative e, forse, andiamo a svelare quei processi di riconoscimento che stanno nella nostra coscienza ma che, nella quasi totalità dei casi, sono "velati", nascosti, confusi. Ecco dunque che l'insegnante/maestro deve provocare questo processo di svelamento della coscienza, di cui lentamente il soggetto si renderà conto e potrà portare in superficie quei frammenti di verità che costituiranno la disciplina di cui si occuperà. Per entrare nel campo della vocalità, noi possiamo dire che senz'altro esiste una massa di informazioni (funzionamento dello strumento vocale, fisiologia e anatomia, storia della vocalità, ecc.) che hanno una loro funzione e senz'altro non sono da sottovalutare, ma rimangono sempre e comunque mezzi che non costituiscono e non possono costituire in alcun modo APPRENDIMENTO del canto. Le persone che sanno tutto - o quasi! - su questo tema, tipo i medici, foniatri o logopedisti, non sanno cantare e non possono insegnarlo (NON DEVONO!), perché nessuno ha risvegliato in loro la coscienza della perfezione vocale, ovvero l'informazione non è sufficiente a innescare questo processo. Si può obiettare: ma come nessuno ha riempito il vaso all'inizio, chi ha svelato la coscienza? Questo, al contrario dell'informazione, che necessita di memoria, di supporti e di trasmissione (e si può sempre perdere), la conoscenza umana, che è quindi dell' e nell'uomo, non si perde e non ha bisogno di nient'altro che dell'uomo; non è indispensabile in assoluto che ci sia un maestro, che è un facilitatore; ognuno potrebbe arrivarci da solo, ma in tempi talmente lunghi da diventare impossibili, e poi con ostacoli d'ogni genere, ma soprattutto con un handicap iniziale, e cioè la "spinta" interiore. Non mi affido a un insegnante di una qualunque disciplina per diventare un perfetto artista. Mi affiderò a un insegnante di canto (ad es.) SE sento una spinta irresistibile ad apprendere il canto, e mi affiderò a un maestro SE avverto che questa spinta è così forte da non accettare la mediocrità e una semplice evoluzione ma solo se avverto la necessità, urgenza, di puntare AL risultato più alto possibile. Se questa urgenza è così elevata da viverla come una esigenza esistenziale personale, ecco che posso anche mettere in moto processi che possono guidarmi al risultato senza un maestro, anche se avrò comunque bisogno di altri uomini, di altre conoscenze che mi possano stimolare all'intuizione, che è la condizione fondamentale, in tempi lunghi ma non impossibili. Morale della favola: non sentitevi vasi vuoti, ma vasi pieni con il coperchio! La curiosità e la ricerca (termine un po' ambiguo) possono portarvi a scostare lentamente il coperchio.

2 commenti:

  1. Quant'è bella la sana inquietudine, quella che ti spinge alla voglia interiore di saperne di più, di conoscere, di rivolgersi a qualcuno per accorciare i tempi dell'appagamento. Ricordo i primi tempi, ossessionato dal grande mistero, dal sentirmi dentro la "fermentazione", come una bottiglia di spumante, ossessionavo i miei maestri e spesso li vedevo increduli, impotenti, si arrampicavano, qualcuno mi ha anche "deriso" dall'alto del suo seggio, nessuno che condividesse con me ( e tantio altri) quel percorso di crescita, di sana curiosità... al contrario. Il buon maestro è come un catalizzatore in una reazione chimica, ti facilità la riuscita, ti porta a vedere cose che esistono, sono dentro e fuori di te, ma tu all'inizio hai troppi bagliori o troppo buio negli occhi.

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  2. Quando il maestro non è tale, accade che l'allievo può superarlo. E lo supera! Se non altro in intelligenza.

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