Molto sovente durante le lezioni devo usare l'imperativo "non cantare". Sembra un controsenso, siamo qui per imparare a cantare e io dico di non cantare. Ma la maggior parte degli allievi sa a cosa mi riferisco, però è bene approfondirlo qui, ed è una cosa molto importante.
Per molte persone l'approccio al canto lirico è realizzare un sogno; il canto lirico ci porta ad un livello molto alto; i cantanti all'opera ci appaiono quasi dei superuomini, dei divi, degli artisti sommi, che mettiamo su un piedistallo. Io ricordo quando cantavo nel coro del teatro Regio di Torino, un giorno al termine di una recita tornai con un pulman di appassionati della mia città, e quando arrivammo, un signore, che non conoscevo, mi chiese se volevo un passaggio verso casa. Ebbene durante il breve viaggio percepii la forte emozione che questo signore stava provando, gli pareva un sogno portare in auto un artista del coro; e in quel periodo vissi altre situazioni analoghe. Figuriamoci per un solista! C'è anche un forte equivoco, che ci riguarda un po' tutti. Quando ero un ragazzino, ogni tanto, sentendo magari qualche cantante, anche dilettante, ci si chiedeva in famiglia: come si fa a cantare in quel modo? I miei genitori qualcosa sapevano perché avevano abitato vicino al maestro di canto del baritono Gino Bechi, quindi sapevano che bisognava studiare, fare particolari esercizi. Ma a me pareva che ci fosse qualcosa di più, di misterioso. Qualche anno dopo, quando mi appassionai fortemente, un giorno volli provare a registrarmi cantando un pezzetto di romanza. L'ascolto mi scioccò! La mia voce mi sembrava una cosa ben più che orrenda, inascoltabile! Questo mi confortò ancor più sull'idea che ci volesse qualcosa di molto particolare per poter cantare l'opera. Cominciai a leggere libri, e la confusione aumentò. Poi mi decisi a studiare, non per cantare, perché l'idea di avere una voce orrenda ormai si era radicata in me, ma per capire cosa volevano dire tutti questi critici quando imputavano difetti ai più importanti cantanti dell'epoca o anche del passato. Il mio primo insegnante in parte mi tranquillizzò, perché mi diede alcune regole molto fisiche: gonfiare la pancia, premere sulla laringe, pensare il suono sopra gli occhi, allargare la gola, alzare il velo pendolo, non aprire la bocca... Questo mi convinse che cantare significava fare tutta una serie di cose che ordinariamente non facciamo. Questi insiemi di regole fisiche, effettivamente dopo un certo tempo creano l'impressione di una voce "diversa", e questo ci rende felici e contenti, perché ci mette nella condizione di fare qualcosa di speciale, di unico, che pochi sanno. E' come uno che riesce a fare un salto mortale da fermo. Credo che tutti nella propria vita sognino di fare qualcosa di super. Ciò però crea anche molte false convinzioni, difficilissime da sradicare: l'approccio al canto lirico. Quale può essere una pesante critica a qualcuno che studia lirica? "così sembri un cantante di musica leggera". Ci sono tre livelli di critica: "così parli, non canti", "sembri un cantante di musica leggera"; "canti ingolato". Paradossalmente la peggiore, che è la terza, cioè l'ingolamento, è in realtà la più tollerata (perché la più praticata). Le altre due sono ricevute come gravi offese, per cui molti reagiscono violentemente, oppure si deprimono e magari cambiano insegnante. Più d'un allievo durante una delle prime lezioni mi ha chiesto: "ma la voce lirica...?". E quelli che ce l'hanno, disastrosamente realizzata con ingolamenti, nasaleggiamenti e altri artifici, si spaventano quando lentamente li riporto sul piano corretto, perché non sentono più il "rumore", il "timbro" internamente, sentono la voce come svuotata. La paura di parlare, e di sentirsi poi criticare perché stiamo parlando o cantando come cantanti da canzonette, è alta. Alla fine ci si convince di essere sulla strada sbagliata. Anche io un giorno, provando e riprovando, prima di iniziare a studiare, mi convinsi che forse la soluzione era ingolare, anche se in tutti i libri e sentendo parlare gli esperti, era un grave difetto. Ma meglio quello, che comunque faceva assomigliare la voce a quella dei cantanti, che banalizzare con un parlato intonato. Però facciamo qualche considerazione: moltissimi cantanti di musica leggera, citiamo Mina, Massimo Ranieri, Giorgia, Claudio Villa, tanto per dirne qualcuno, sono sempre stati elogiati come ottimi cantanti, anche se non d'opera (per la verità Claudio Villa si esibì in alcune circostanze come tenore leggero, e vi posso garantire che era bravissimo; su internet potete sentire un "duetto delle ciliegie" notevole). Dall'altra parte parlare bene non è qualcosa di negativo. Il teatro italiano ha annoverato grandi stirpi non solo di attori, ma di dicitori di livello stratosferico (molti dei quali tra l'altro sapevano anche cantare molto bene). Allora si può cantare bene mettendo in risalto la pronuncia e si può parlare bene. Poi cominci ad ascoltare qualche cantante d'opera con una dizione perfetta e ti poni la domanda: ma perché non si dovrebbe raggiungere sempre quel risultato? Qui si entra nell'ambito dell'imbarazzo. Io ponevo queste domande, ma le risposte mi risultavano sempre oscure (la cosa inquietante è che le risposte comunque le davano e le danno; peccato che sono inconcludenti, se non false o fumose). Allora, per tornare al titolo, il problema per la maggior parte di quanti si avvicinano al canto è che devono provare a far qualcosa, quindi non possono accontentarsi di applicare la melodia alla parola, nel modo più semplice, persino banale, ma devo aggiungerci qualcosa. Il qualcosa può essere timbro (di gola o naso), leziosità, modalità (usare un registro particolare). Il timbro ingolato attiene più sovente gli uomini, specie ai tenori, perché ingolando la voce si avvicina più facilmente a quella dei tenori (moltissimi dei quali hanno effettivamente una buona percentuale di gola). Nelle donne il problema più serio riguarda l'uso del falsetto (ed ecco la "modalità"). Siccome oggi come oggi sono piuttosto rare le donne che parlano abitualmente di falsetto, questo è automaticamente individuato come "la voce lirica". Solenne stupidaggine. Per cui molte dicono: "ora parlo con l'impostazione lirica". Cioè semplicemente usano il falsetto. Poi giudicate voi il paradosso di un numero enorme di insegnanti e cantanti che vietano o indicano come pericoloso l'uso del registro di petto, quando tutti, uomini e donne, parlano normalmente di petto e migliaia di cantanti, non lirici, cantano tutta la vita solo di petto. Potrebbe essere discutibile a livello stilistico, ma dove può stare il "pericolo"? Poi naturalmente c'è anche (ancora) l'ignoranza di chi associa petto e falsetto alle due parti anatomiche, che fu l'idea originale quando non si sapeva nulla di anatomia e fisiologia, ma oggigiorno pensare ancora che la voce di petto sia "bassa" e quella di testa "alta", e che quindi bisogna cantare tutto di testa per tenere il suono alto (ovvero "in maschera", per far risuonare gli spazi sopraglottici), è prendere atto di un mondo sprofondato in una abissale ignoranza che può solo dare i frutti che dà. Allora la domanda è: si può parlare di falsetto? Certo che sì; anche se diventa sempre più raro, ma ci sono donne che parlano, magari non continuativamente, di falsetto, senza particolari problemi (mia mamma, per esempio). E' un approccio fondamentale che per chi vuol affrontare il canto lirico è indispensabile. Invece la maggior parte degli insegnanti si limita a far vocalizzare, dimenticando che questo è il passo iniziale. L'uomo impara a parlare, poi eventualmente a cantare, non viceversa (beh, poi ci sono quelli che pensano che i vagiti dei bambini siano canto e bisogna imparare da questi, senza aver nessuna cognizione in merito). Allora, se si vuole veramente fare dell'arte vocale, quindi giungere a un vero canto artistico, che possa permettere di cantare con omogeneità, sincerità, musicalità, espressione, ecc. ecc., l'unica e vera strada è quella che parte e si sviluppa dal parlato (meglio: evolve). Bisogna abbandonare ogni atteggiamento illusorio, artificioso (o artificiale), fisico, costruito, atteggiante. Disinteressarsi di eventuali critiche (ovvero autocritiche), e cambiare radicalmente approccio: la voce "vuota" è buona, ma non è realmente vuota, è LIBERA! il timbro e la cosiddetta voce lirica, verranno! senza nessun dubbio. Chi ha mai imputato a Schipa e a Toti dal Monte di essere cantanti di canzonette? Eppure erano in grado di cantare anche romanzette e canzoni con grande successo, cosa che oggi ben pochi sanno fare (salvo "liricizzare" le canzoni, cosa che è già successo per le melodie napoletane). Abbandonare le velleità "liricoidi" per una verità artistica che null'altro è che una esponenzializzazione del parlato. Quando parliamo, senza saperlo, noi mettiamo in sintonia i tre apparati: respiratorio, produttore e amplificante-articolatorio. Diventano una cosa sola. Questo non ci crea alcun problema e ce ne consente un uso anche piuttosto prolungato. Se canticchiamo in casa mentre facciamo altro, senza pensarci, manteniamo questa unificazione. Se invece ci poniamo in un atteggiamento di voler fare chissà che, quindi cantare romanze liriche o canzoni impegnative, perdiamo questa sintonia tra gli apparati, ognuno va per sé e non trovando corrispondenze, lavorano tutti male. Quale sarebbe il senso di lavorare indipendentemente su ciascuno di essi? Nessuno. Si deve lavorare per far MANTENERE i rapporti tra gli apparati, ma non c'è nulla da inventare, nulla da costruire o trovare, perché la soluzione c'è già! Il parlato, per quanto modesto, si trova già in questa condizione, si tratta di non perderla, quindi di applicarla al mondo del canto. Si incontreranno difficoltà? sì. enormi, perché il regno del parlato è un regno limitato, che noi vogliamo ingrandire, espandere, e questo crea problemi di tolleranza, che però si possono superare agevolmente esercitandosi costantemente su questa linea, senza mai abbandonarla. Si deve sempre avere chiaro l'obiettivo, che è quello di comunicare, quindi fare un vocalizzo senza senso, non può portare a un risultato efficace, perché ciò che è fine a sé stesso è destinato a sparire. Quindi il vocalizzo astratto non può venire bene, deve essere rapportato a una vocale che abbia un senso, che dica qualcosa, quindi può essere una congiunzione o può essere una vocale interna a una parola, che noi proseguiamo senza farci suggestionare dal fatto che abbiamo spezzato la parola (ad es. maaaaaaaa...[mma]). Si deve restare attaccati all'idea che quella non è una A chiusa in sé, ma è la A di mamma (o di qualsiasi altra parola che la contiene). E' un procedimento semplicissimo, che toglie un sacco di sciocchezze dalla mente e dal corpo (pensate a tutti gli insegnanti che non fanno che ripetere: alza, premi, spingi, tira, ...), ma che richiede una pazzesca concentrazione. Perché la chiave di tutto è l'essere PRESENTI. Vuol dire che in ogni secondo noi dobbiamo sapere cosa stiamo dicendo, e non lasciare che venga ciò che vuole. Il nostro istinto ci porta a distorcere per fare qualcosa di meno impegnativo, che costi meno energia (e quindi concentrazione). Quando si comincia a salire di tessitura, cominceranno i guai, perché il fiato spingerà e ci farà storcere la bocca, salire la mandibola e la lingua... quindi noi dobbiamo osservarci (anche allo specchio) e essere presenti, non lasciare che la bocca si storca, ecc., dobbiamo concentrarci e far sì che si mantenga la naturalezza del parlato ma senza alcuna forzatura. Quando dopo alcune prove una parola o sillaba o vocale non viene bene, conviene non insistere e scendere nella tessitura. Riposarsi e riprendere da note più basse. Si può riprovare, ma conviene aspettare, sicuramente nei giorni successivi si riuscirà meglio, senza aver fatto niente di particolare. Il nostro fisico ma soprattutto la nostra mente percepiscono la nostra esigenza e ci permetteranno un avanzamento. L'importante è: non cantare, parla!
Complimenti al tuo primo insegnante: "gonfia la pancia (sbagliatissimo), premi sulla laringe (o laringe bassa come dissero a me: autentico suicidio) e, orrore degli orrori, non aprire la bocca"!!!!! Mi rendo conto che già ai tempi della nostra gioventù la scuola di canto stava affondando nel precipizio e la recente morte della Freni (cantante che onestamente non ho mai tremendamente apprezzato ma che ascoltai dal vivo e con un acuto faceva tremare il teatro) segna la morte dell'"ultima dei mohicani". Alla luce (o dovrei dire buio?) del percorso che ho fatto, posso però affermare questo: dentro di me ho sempre saputo quando la mia voce non andava bene, anche se mi facevano i complimenti, anche se le insegnanti mi dicevano che non è vero che non si fatica, e questo in qualche modo mi ha preservato. Addirittura devo dire che anche nella scelta dei cantanti non andavo a sentirmi il disco di una Sutherland, pur universalmente apprezzata, ma la mia scelta andava verso cantanti leggeri che almeno non mi facevano venire il mal di testa per la gutturalità. Adesso capisco che davvero la verità è già dentro di noi, ma se non avessi seguito il tuo blog e non ti avessi conosciuto non avrei mai capito la chiave fondamentale del problema: il fiato! E solo ora capisco gli insegnanti e i vecchi cantanti che ripetono: fiato, fiato e il vecchio maestro di coro della parrocchia (morto da poco) che diceva: la voce fuori!!! Non si parlava di maschera né di risonanze, niente inutili insistenze sul diaframma, solo fiato e voce fuori. Per questo pur non avendo una vera coscienza di quello che stessi facendo, i bambini che avevo a scuola cantavano benissimo e con grande potenza: semplicemente avevano sviluppato il fiato cantando, senza tanti vocalizzi né artifici. Grazie Fabio, ormai alla veneranda età di 54 anni non potrò avere una carriera nella lirica, ma non è questo che conta, conta che ho aperto una porta che non potrà essere richiusa
RispondiEliminaGrazie a te.
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