Le motivazioni per cui si spinge possono essere parecchie, ma ce n'è una che va attentamente considerata perché va oltre la volontà, cioè si finisce per premere anche se non lo si vorrebbe fare.
Il problema è che, per cause perlopiù anatomiche, si crea un accumulo di aria nella zona faringea. Questo accumulo può essere molto variabile, quindi può essere variamente percepito sia da chi canta che da chi ascolta. Naturalmente è fondamentale che l'insegnante sia dotato di un ascolto molto sensibile in modo di percepire anche un minimo accumulo.
Questo avviene pressoché sempre e in tutti, specie quando si sale, anche per ragioni psicologiche. Più la persona è rilassata di natura, meno si creerà il problema. Per questo l'invito a rilassare è sempre necessario. Peraltro non è che basta dirlo! Ci sono molte persone che non riescono e bisogna anche stare attenti perché nel cercare di rilassare fanno altre azioni controproducenti.
Qual è la possibile soluzione del problema? L'ho definita "la fuga di gas" per dire che ci deve essere una liberazione da una pressione inopportuna. Può anche essere un "troppo pieno", cioè c'è una quantità di aria non utile e anzi dannosa, per cui si è portati a SPINGERE per liberarsene. Naturalmente è un'azione negativa che va evitata, ma anch'essa non è per niente facile da controllare.
Cos'è, in concreto, che fa generare l'accumulo? è la lingua, soprattutto la sua parte posteriore (gobba), a volte di concerto con il faringe. Quindi è una vera e propria ostruzione che, a seconda del grado, fa uscire comunque una certa quantità d'aria, ma insufficiente a mantenere la giusta fluidità.
La libertà che noi vorremmo, può essere percepita come un "vuoto" che ci spaventa, una "emorragia" di aria che temiamo sia eccessiva, quindi un certo "freno" tutto sommato ci tranquillizza. Sbagliato! Noi dobbiamo davvero sentire che il flusso aereo non incontra il minimo ostacolo. Quell'eccesso di flusso d'aria che potremmo sentire nei primi tempi, si regolarizzerà ben presto e tutto ci apparirà "beante", piacevole e vero. Ma come facciamo ad arrivare a quella situazione?
E' fondamentale il ruolo della lingua, attivamente o passivamente. E' anche la strada del galleggiamento.
Se noi alleggeriamo molto la voce (anche falsettino), notreremo un assottigliamento del flusso aereo che ci "accarezzerà" la lingua, e scorrerà pacificamente tra essa e il palato, senza pressione, senza colpi. Dobbiamo percepire, per l'appunto, come una fuga di gas, cioè una liberazione da una pressione accumulata in zona faringea che trova una via di fuga sopra la lingua, ma senza la minima pressione. Potremo definirlo uno "sblocco". E questo è ancor più vero quando sentiremo che l'ntero torace si è sbloccato da una forza che lo teneva irrigidito, e ci causava, tra l'altro, una più o meno forte apnea. L'apnea nel canto non deve esistere, così come la pressione sottoglottica. La "valvola" deve sempre restare aperta.
Quando questa soluzione non sembra produrre effetti di rilievo, si può passare a un metodo un po' più radicale. Tirare fuori la lingua, un bel po', senza avvertire dolore, naturalmente. Con la lingua fuori si possono fare brevi vocalizzi sulla A e sulla è, leggeri e ampi. In questo modo si avrà modo di vivere l'ampiezza e il "vuoto" interno. Il passaggio alla I sarà il più difficile, ma può essere superato immaginando che il sollevamento della lingua dalla A o dalla è comporti anche l'alleggerimento senza freno della voce verso il palato.
Come ribadiscoe che insegnare canto per iscritto è sbagliato, quindi anche ciò che ho scritto va preso molto con le pinze, e sarebbe sempre meglio essere seguito da un insegnante che sappia di ciò di cui si sta parlando. Il punto chiave è lo SBLOCCO del fiato, che deve sempre scorrere come un torrentello quieto.
Interessante esperimento: pronunciare la i e la u con la lingua di fuori è praticamente impossibile, ma dobbiamo distinguere tra ciò che sentiamo e ciò che realmente si sente fuori. In realtà è possibile pronunciare una i e una u con il cavo orale aperto, concentrandosi sulla vocale come se fosse davanti a noi, fuori di noi (è il miracolo della pronuncia staccata dal corpo). Questo ci fa capire quanto la nostra percezione del suono è legato alla nostra percezione del corpo e si fa fatica ad abbandonarsi al canto "incorporeo", un' esperienza assolutamente metafisica (mentre scrivo mi viene da sorridere a pensare a chi ci legge: senza aver mai fatto quest' esperienza, penserà che stiamo delirando)... torniamo sulla terra: stavo riflettendo sulla femmineità del falsetto: noi uomini pensiamo al falsetto come l'imitazione di una voce femminile (vero), ma tendiamo a stringere il suono, facendolo passare come in una cannuccia, tanto che tutte le vocali sembrano u, e questo è un po' l'inganno delle cantanti liriche che stringono e strizzano i suoni di testa, senza lasciare spazio orofaringeo (che non può essere indotto dalla volontà, ma deve essere creato dalla libertà del fiato che scorre e si fa spazio quando la volontà si rilascia), mentre i cantanti maschi urlano come disperati e ululano acuti "coperti", il peggio poi è che in questo modo, scendendo, la voce si stimbra e le note sono inudibili, oppure bisogna cambiare registro con effetto yodel. Quando il cavo orale è rilassato e il fiato è libero di scorrere, il falsetto diventa molto meno femmineo e scendendo la voce ritrova il suo timbro naturale da uomo, anche se chiaro e quasi "innocente", la sensazione è di essere diventato tenore, ma poi all'esterno la profondità del suono rimane.
RispondiEliminaE' molto interessante e corretto il tuo commento sul falsetto più o meno femmineo. In effetti c'è una questione su cui non si riflette abbastanza, e cioè "l'unità". L'obiettivo è unificare, quindi dobbiamo considerare che una lunga e sana educazione della voce porta anche il falsetto a porsi sullo stesso piano della voce piena.
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