Allego subito al precedente questo post suggeritomi dal video che mostro sotto.
Più volte troviamo citata, negli antichi trattati, l'Arte del respiro. Salvo poi capire in cosa consiste, e purtroppo in merito ognuno ha voluto vederci quel che ha voluto. Per la maggior parte di cantanti e insegnanti, significa soltanto che si deve respirare a fondo, molto copiosamente. Per altri, già meno, è la capacità di espirare con un certo controllo. Quasi tutte le scuole relazionano la capacità respiratoria con il controllo diaframmatico, con argomentazioni talvolta convincenti altre molto meno. Con Arte del respiro non si intende e non si può intendere un'unica abilità del cantante, ma almeno tre, tra fisiche e mentali, e tutt'e tre molto difficili da apprendere e applicare. Richiedono anni di dura disciplina anche a chi ha buoni doni di natura (e che in genere è il meno propenso a esercitare). La più difficile da comprendere, e anche la più importante, sta proprio nella qualità espiratoria. L'errore comune è quello di pensare che la respirazione del cantante sia solo governata diversamente da quella fisiologica, mentre non si avvede che la differenza è interna all'aria stessa. E' un concetto apparentemente semplice, ma mi rendo conto, invece, essere diabolicamente difficile, al punto di risultare astruso per molti, e quindi rigettato e ritenuto falso, inconsistente, stupido. La qualità della respirazione artistica si disciplina nel rapporto continuo tra suono, articolazione, pressione diaframmatica. Questa condizione è presente naturalmente nel parlato, ma al livello di minimo impegno. Questo rapporto tra il fiato e gli apparati si spezza appena si prova a cambiare il ruolo dell'emissione. Quando usciamo dalla normale e istintiva parola comunicativa automatica, la sintonia tra gli apparati si slega, perché in loro (o nella mente che li controlla) al mutare delle condizioni viene a mancare la conoscenza e la motivazione per tenerli insieme. Se uno, cambiando lavoro o luogo o condizione di vita, si trova improvvisamente a dover parlare molto di più e più intensamente, magari in un grande spazio, si troverà quasi certamente in difficoltà; avvertirà affaticamento, bruciore in gola, andrà incontro a raffreddori e mal di gola più frequentemente, sarà infastidito da presenza costante di catarro e muco, con tosse e frequenti abbassamenti di voce. In molti casi queste persone ricorrono a logopedisti oppure, meno consigliabilmente, si riempiono costantemente di medicinali o cure più o meno naturali. In alcuni casi dopo un certo tempo queste persone si "abituano", e superano la fase, riuscendo a gestire nuovamente la propria voce. Questo è dovuto al fatto che i nostri organi non sono rigidi e meccanici, ma, insieme all'apparato nervoso che li regola, possono adattarsi e tutto l'organismo possiede degli spazi di "tolleranza" alle nuove situazioni, che sono variabili da persona a persona (dipenderà anche da caratteristiche di adattamento e di volontà della persona stessa, del carattere, delle prospettive, ecc.). Quindi: aumentando il volume della voce, il fiato tende ad aumentare la pressione che preme sulle corde e sul diaframma; questo crea problemi perché la laringe in presenza di una maggiore pressione tende a chiudersi, essendo una valvola, e questo causerà nel soggetto lo stimolo a spingere ulteriormente. Questa pressione è del tutto sproporzionata alle necessità delle corde vocali per emettere quel suono, quindi si crea quel senso di strozzamento molto tipico e diffuso anche tra gli aspiranti cantanti. Come si comprenderà, pertanto, è già solo sufficiente voler parlare più forte del normale per un certo tempo per mandare in crisi l'insieme degli apparati che concorrono alla fonazione. Questo complesso di relazioni va ulteriormente disgregandosi quando si cercherà di emettere suoni particolarmente lunghi e omogenei, quando si andrà verso note poco o mai usate, quando si cercherà di usare un atteggiamento sonoro inusuale (il falsetto o testa), e così via. Quindi la prima e fondamentale Arte del respiro consisterà nel mantenere costantemente, per tutta la gamma vocale e per ogni sfumatura espressiva, dinamica, agogica, articolatoria, quella rete di relazioni tra fiato, diaframma, laringe e spazi articolatori-amplificanti. Credo che detto così assuma l'importanza e la complessità che le spetta, pur non dovendo spaventare fino a ritenerla impossibile, perché, come ripeto, non è una cosa sconosciuta, da inventare o creare, ma da estendere, essendo già implicita nel parlato. Questa condizione nel canto non può esistere in partenza e non può essere assunta in un breve tempo; è fuori luogo pensare di esercitare la respirazione atta al canto esemplare in tempi brevi; si saprà ben respirare quando si saprà ben cantare! il connubio è inscindibile, ed è un visionario chi lo pensa possibile. Per questo l'Arte del canto (o meglio della voce) è l'Arte del respiro, perché possono solo andare di conserva. L'Arte del respiro per la produzione di suoni esemplari si può solo esercitare, apprendere, sviluppare e conquistare con l'esercizio vocale che abbia quella finalità.
D'altro canto ciò non basta ancora, occorre, nel tempo, anche una partecipazione fisica (secondo aspetto), che va oltre la postura fisiologica, quindi nel tempo, man mano che la qualità del respiro aumenta e migliora (cioè perde le caratteristiche di aria con ruoli esclusivamente fisiologici), occorrerà assumere quell'atteggiamento che permetterà il suo miglior utilizzo in funzione fonatoria, ed ecco la postura nobile fino a quel "galleggiamento" del fiato, condizione straordinaria e inconoscibile da chi non l'ha conquistata (i soliti fessi ridacchieranno a questa affermazione, perché tutti presi dall'affermazione del proprio ego e quindi dalla possibilità di espandere la propria conoscenza e frenati dalla limitatezza del proprio pensiero). Questa postura respiratoria (che è un'esigenza della respirazione stessa, quindi quasi una necessità che si viene a creare, non un artificio) sarà anche quella che permetterà l'agilità rapida e staccata, ovvero, e siamo quindi al terzo aspetto, quel fiato NON trattenuto, ma non premuto, per l'appunto galleggiante. Mi riferisco, per spiegare meglio questo concetto, al filmatino sottostante.
Voi vedete che in fase inspiratoria il diaframma si abbassa e la gabbia toracica si espande leggermente. Qui non si vede, ma sapete che di norma anche la parete addominale si avanza. Può sembrare strano che mentre il diaframma scende il torace si espanda, perché i legami che fissano il diaframma alla gabbia tendono a farla chiudere. E infatti ciò che apre il torace è il fiato stesso (o polmoni) che preme sia in basso che in avanti (indietro no, perché la parete posteriore è rigida). Quindi si creano delle forze contrapposte molto insidiose e deleterie ai fini artistici. Se il torace viene sollevato mediante i muscoli esterni, noi abbiamo un alleggerimento della funzione espansiva dei polmoni, che non devono più premere contro lo sterno ma trovano facile espansione in avanti, ma anche in basso, perché l'intero apparato polmonare sollevandosi troverà libero spazio anche al di sotto, non dovendo più premere contro gli intestini, e infatti la parete addominale non avrà più necessità di avanzamento. Se questa condizione viene mantenuta durante la fonazione, il fiato perde quella pressione eccessiva che determina i difetti, e si creano, invece, i presupposti per un canto agile, eguale, omogeneo, facile, esteso, libero, mentale; questo darà anche la possibilità di respirazioni brevi e rapidissime, quel "rubare" che stava certamente alla base delle mirabolanti imprese dei grandi belcantisti del Sei e Setteecento, con le propaggini fino a inizio Novecento, un sogno per noi oggi, vittime di un sistema, ahimè anche con etichette scientifiche, che sta affossando culturalmente e artisticamente ogni espressione dell'antico culto del canto.
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