Colgo una delle interessanti, profonde e illuminanti sollecitazioni di Mauro Scardovelli per qualche considerazione che può interessare anche il nostro campo. L'uomo può considerarsi un progetto completo, finito? No. Giustamente se osserviamo un gatto, per es., noi lo possiamo vedere e considerare come un'opera compiuta, che ha raggiunto i propri obiettivi e soddisfa i propri bisogni. Lo stesso potremmo vedere e osservare nelle altre creature viventi. L'uomo vive invece in una fase di incompiutezza e incompletezza. La fase sensoriale, o materiale, è quella che vive la maggior parte delle persone, molte delle quali non sentono la necessità di passare a fasi ulteriori; potrebbero essere persone compiute così, che realizzano e si realizzano in quella sfera, vivendo, diciamo, bene, con il bello e il brutto della vita ma riuscendo a sentirsi appagati e quindi felici quando riescono in un qualcosa che è il proprio obiettivo. Qual è il segnale di una inappropriatezza a quel mondo? il disagio interiore. Si passa a una sfera "etica", a un mondo dove si mette in discussione il proprio rapporto tra sé e gli altri. Questo può creare infelicità e disturbo, ma è un errore, perché non si tratta di giudicare, ma di risolvere, cioè vivere eticamente, senza complessi e depressioni. Quando ciò ancora non basta, vuol dire che siamo portati a salire alla sfera spirituale. La sfera spirituale non si esaurisce nel "credere", ma nel prendere coscienza. In questo sta il completamento del Progetto, però non mi dilungo su questa parte che peraltro ritengo importantissima perché se no trasformo questo blog in qualcosa di diverso. Vediamo semplicemente il passaggio di questi pochi concetti al canto.
Si può dire che una gran parte delle persone, anche interessate a un canto che definiamo di tipo artistico, cioè operistico o classico, in realtà vivono e vivono anche la sfera vocale, in un mondo sensoriale ed estetico, diciamo pure anche materiale. Contrariamente a quanto si può immaginare, essi non si accontentano della immagine vera, come ho scritto giorni fa, della propria voce - e quindi di sé - ma cercano e utilizzano una voce "maschera", falsa, che possa dare quell'immagine che smorzi i giudizi, propri e degli altri. Infatti il problema di fondo è sempre il giudizio. Se io ho un cattivo giudizio di me, è abbastanza logico cercare un modo per apparire diversamente, se penso al giudizio che gli altri possono dare di me, idem, ma questo capita anche perché io do giudizi sugli altri e devo sottrarmi a quello stesso giudizio. E' piuttosto comune e diffuso l'accontentarsi di vivere in questo mondo, cioè poter sfogare un proprio desiderio, cantare, accontentarsi del giudizio proprio - faccio molto suono e le note necessarie - e di quello di un gruppo di ascoltatori che mi seguono, occasionalmente qualche giornalista. L'altra critica è considerata incompetente, chi mi contesta non sa, non capisce, è di parte, è prezzolata, ecc. Cioè si attribuisce sempre all'altra parte la responsabilità di eventuali insuccessi o critiche. Anche qui il segnale di una coscienza che si muove viene dall'etica, cioè dal disagio interno e dal sospetto che forse le cose non stanno così, ma forse c'è un campo inesplorato verso cui devo dirigermi, o, in altri termini, comincio a percepire di "essere incompleto". Allora ci si apre al resto del mondo, si "ascolta" - altra parola chiave - e ci si dirige verso un affinamento dei propri mezzi e si reagirà con meno superficialità a eventuali critiche e dissensi. Infine abbiamo i pochi che sentono la necessità di completare l'opera, ovvero passare alla fase spirituale, al prendere piena coscienza di sé e della propria voce, a vivere l'io reale, a non vivere più in funzione dell'ego degli altri - oltre che proprio - e a vivere la felicità - e quindi accontentarsi (ma il termine può risultare inappropriato) - sapendo passare anche attraverso le sofferenze, ma con l'impegno e la mancanza di giudizio avverso (autostima) che ci impedisce di progredire.
Spero di essere stato sufficientemente semplice ma non troppo sintetico ed ermetico. In ogni caso consiglio approfondimenti e non ci sono problemi se vorrete fare interventi nei commenti.
Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei!
RispondiEliminaTratto da cucinagustocultura.blogspot.it
"Questa frase fu detta dal gastronomo e pensatore francese Jean Anthelme Brillat-Savarin (1755-1826) che l'ha inclusa nel suo trattato "La fisiologia del gusto" (1825). Il libro non è un ricettario, e nemmeno un testo scientifico, bensì un campionario di considerazioni sul cibo e sui suoi aspetti sociali, oltre che gastronomici. La frase (talvolta erroneamente citata nella versione "Siamo quel che mangiamo") è uno dei 20 aforismi del capitolo introduttivo del trattato, che contiene le massime definite dall'autore, forse ironicamente, "eterna base per la scienza". Altri suoi aforismi che riguardano il cibo e la cucina sono:
* Cuoco si diventa, rosticcere si nasce.
* Il piacere della tavola è di tutte le età, di tutte le condizioni sociali, di tutti i paesi e di tutti i giorni; può associarsi a tutti gli altri piaceri, e resta ultimo a consolarci della loro perdita.
* Un pasto senza vino è come un giorno senza sole.
Tratte da "La fisiologia del gusto":
* Gli animali si pascono, l'uomo mangia; solo l'uomo intelligente sa mangiare
* Il destino delle Nazioni dipende dal modo con cui si nutrono.
* Il piacere di mangiare è il solo che, preso modestamente, non è seguito da stanchezza.
* La scoperta di un piatto nuovo vale per la felicità del genere umano più che la scoperta di una stella.
* Mangiando proviamo un certo benessere indefinibile e particolare che ci deriva dall'istintiva coscienza che mangiando compensiamo le nostre perdite e prolunghiamo la vita.".
Trovo che ci sono alcune attinenze con il canto....
Sento come canti e ti dirò chi sei!....
Il canto è un piacere... sotto certi punti di vista potremmo dire anche un'esigenza spirituale (in fondo chi non ha mai sentito il bisogno di cantare qualche volta, quando si è felici oppure si attraversano determinati momenti della propria vita?). Certo, non è necessaria, essenziale alla vita (ecco che l'istinto entra in gioco...), ma per il canto artistico è un altro discorso.
Tutti (credo...) sappiamo fare l'uovo fritto, ma chi davvero sa cucinare trasmette dei sapori sublimi (io ne so qualcosa essendo una buona forchetta, un buongustaio). Non è da tutti saper cucinare, perchè anche qui subentra l'arte, la passione,il metodo, la fantasia, quello che davvero hai dentro. Un'esigenza d'amore e di vita...
Sull'esigenza spirituale del canto ho appena scritto un nuovo post, come avrai visto, e tra le righe troverai scritto, per l'appunto, che ogni attività umana può diventare Arte, come, appunto, anche quella culinaria. Salutoni...
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