Uno dei principi su cui si dovrebbe (ma nell'ordinamento non c'è il condizionale) basare l'insegnamento nella scuola pubblica italiana, è quello che riconduce all'unità del sapere. Vale a dire che lo spezzettamento che si effettua ovunque e in ogni modo tra le varie discipline è la condanna di ogni retto e sensato apprendimento. Ma non è l'unico punto debole della scuola (non solo italiana). Quale tipo di metodologia si applica? Non sto a entrare nel merito più specifico di come l'insegnante svolge la lezione (qui generalmente dovremmo parlare di metodologie riconducibili a epoche comprese tra il paleozoico e l'alto medio-evo!!) ma di un approccio complessivo: il metodo scientifico, e perlomeno un metodo inteso come scientifico, cioè di tipo oggettivo, concettuale, rappresentativo. Questo metodo ha un grave difetto, se inteso nella sua accezione più corrente, e cioè non solo è isolato e distaccato da altre discipline, ma spezzetta e isola elementi all'interno della sua stessa materia. Per esempio la scienza ben poco avrà a che spartire con la geografia, tanto per dire o con l'educazione artistica (anche se ognuno di noi con un minimo sforzo del pensiero, di collegamenti ne potrà trovare numerosi), ma isola, categorizza e separa la botanica dallo studio del corpo umano, la fisica dalla chimica e così via. Ma si può andare ancora oltre; nello studio, per esempio, del corpo umano, si parla di apparato digerente e apparato nervoso, di arti, sangue e muscoli. Ognuno di questi oggetti (proprio così) viene scandagliato in profondità, ma ben difficilmente viene messo in relazione con il resto, e con tutto. E' un tipo di indagine sicuramente molto razionale, solitamente molto noiosa, che accontenta i soggetti con ottima memoria, perché possono ricordare facilmente regole, concetti, norme, senza coinvolgere la sfera emotiva. E già, perché ciò che solitamente rimane fuori è proprio questa! (che, tra l'altro, molto difficilmente sarà presa in considerazione dalla scienza stessa, se non in corsi specifici). In ogni tipo di studio di base, quindi scuole dalla materna alle superiori, perlomeno, ma anche nella maggior parte delle università, comprese quelle di tipo musicale o più generalmente artistico, la sfera delle emozioni, delle empatie, viene lasciata fuori dalla porta, forse perché ritenuta "ingombrante", provocante, fastidiosa. E' certamente molto più semplice e consuetudinario spiegare come è fatta una cellula o come si calcola un'area, che coinvolgere l'emotività di un gruppo di bambini/ragazzi alla ricerca delle cose importanti della vita, entro le quali rientreranno senz'altro la geometria e la chimica, ma che se sapute stimolare diventeranno richieste da parte loro, e non imposizioni che nella maggior parte dei casi saranno ritenute inutili e noiose. Questo blog tratta di canto, ma come ognuno che frequenta, o che avrà voglia di leggere, potrà constatare, pur parlando di canto in questi oltre 600 post ho spaziato in lungo e in largo nell'ambito della conoscenza. Infatti la questione non è trovare i punti comuni tra i contenuti delle materie (cioè stabilire, come si fa agli esami di terza media, solitamente orribili! qualche cosa in comune tra la seconda guerra mondiale - storia - , la geografia, le scienze, la letteratura, la musica, ecc.) ma correlazionare gli aspetti comuni ai fondamenti disciplinari, cioè perché l'uomo indaga il passato, cosa può imparare da determinati avvenimenti, come ciascuno di noi può leggere e da un contenuto introverso - il passato - farne un motivo di estroversione, cioè un comportamento, un compito, ecc.; perché viaggia, perché legge, ecc. ecc., ovvero da ciascun "perché" farne prima di tutto un processo di tipo emotivo e quindi creativo, infatti ciascuna disciplina dovrebbe contemplare (ma non sempre è così) sia un aspetto di indagine - che coinvolga o possa coinvolgere ciascuno - che uno di creazione. Spesso si sente parlare di "emozioni" nel sentire un brano musicale o nel leggere una poesia o un racconto. Ma quando e come si estroverte questo apprendimento, se lo si limita al solo ascolto, cioè alla fase passiva?
Dunque, di conoscenza qui si parla, non intesa come nozioni e informazioni più o meno specifiche, ma conoscenza profonda, pensiero, che quindi noi tutti abbiamo o siamo in grado di sviluppare se stimolati opportunamente.
Veniamo, o torniamo, al canto. Si può parlare di canto senza considerare la sfera emotiva? No, chiunque studi canto, o semplicemente canti, quindi praticamente tutti, lo fa - più o meno consapevolmente - per estrovertire la propria sfera sentimentale ed emotiva più profonda. Questa sfera però non si limita a partecipare, ma induce e coinvolge anche fisicamente le numerose azioni del cantare. La semplice nostra voce parlata si modifica non solo leggermente quando la persona deve dire qualcosa a qualcuno in particolare, in una certa situazione, in un certo ambiente, quando sono coinvolti i suoi sensi, quando è impaurito, innamorato, felice, triste... Una recitazione o un canto professionale non possono soggiacere alle intemperanze emotive, per cui il professionista deve riuscire a dominare gli aspetti istintivi, ma allo stesso tempo deve riuscire a riprodurli realisticamente per far sì che chi ascolta sia coinvolto da quella stessa emozione, il che si chiama empatia. Anche l'insegnante di canto si trova in una situazione analoga. Perché canta, perché insegna canto? Ma non è tanto la risposta concettuale e oggettiva che conta, ma la risposta interiore, anche silenziosa, quella che comunica facendo, arrabbiandosi, insistendo, facendo andare l'allievo oltre la linea dell'immaginazione, che è la vera sfera dell'apprendimento, quando la mente può prendere atto di qualcosa di nuovo, di non previsto, ma che esiste in profondità, e che ora emerge e può esprimersi e svilupparsi. Detto questo, si può pensare che ci sia un confronto, una contrapposizione tra un "metodo" artistico e un metodo scientifico? No, diamo per scontato che il metodo scientifico ha un tipo di approccio non unitario, diviso, analitico, oggettivo quindi asettico e non coinvolgente, ma comunque importante, necessario, che dovrà necessariamente allargarsi, ampliarsi in una visuale che il canto necessariamente dovrà estendere a una sfera artistica, che, al contrario, non può che rifarsi all'unità, alle relazioni, al dentro e al fuori sempre in un rapporto di energia sottile, non fisica e brutale, non di massa e di peso, ma di volontà e di desiderio, non contigente, ma eterno.
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