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domenica, maggio 21, 2017

Chi rimane indietro?

Con l'espressione "è rimasto indietro" si intende generalmente una sorta di involuzione rispetto a un livello raggiunto da altri. Nel caso del canto l'espressione si attaglia anche a una posizione reale, fisica. Da che mi interesso di canto (diversi decenni), indistintamente tutti al sentire un canto difettoso commentano: "ha i suoni indietro". Sarebbe interessante capire cosa intendono i tanti che concepiscono soltanto suoni interiori, cioè indietro, per quanto alti o bassi. Se "indietro" è indice di suoni non corretti, perché rifiutano di insegnare o di cantare fuori, cioè avanti? Perché pongono come limite dell'avanti la cosiddetta maschera, cioè le ossa facciali. Quindi secondo costoro l'avanti e l'indietro è questione di pochi centimetri. In realtà noi dobbiamo considerare indietro tutto il canto che non sboccia all'esterno, e per noi è più di un semplice avanzamento fisico, è un avanzamento evolutivo. Saper parlare con proprietà, con elevata alimentazione respiratoria e ancor più saper cantare, vocalizzare, in modo puro, genuino, vero e sincero, senza spinta e senza trattenimento, fuori dal corpo (ovviamente avanti la nostra bocca), significa aver percorso anche uno spazio temporale, essere andati in un nostro ideale futuro, di uomini più saggi, più raffinati. E in questo processo noi dobbiamo cercare di vedere noi e di vedere il nostro canto come staccato e indipendente dal nostro corpo (con cui mantiene una relazione), come un'entità che risponde alla nostra volontà. Se il canto inteso come parola elevata a canto perfettamente alimentata da un respiro che si è trasformato in alimentazione strumentale, chi è rimasto indietro? ovviamente il suono. Il suono è la radice archetipa, la componente arcaica e ancestrale, che continua a vivere nella "grotta" negli spazi interni e che non può farne a meno in quanto ancorato alle componenti fisico materiali che lo producono. La vocale è la parte depurata di questo suono che viene arricchita dalla saggezza e dalla coscienza artistica. Questo filtraggio ho idea che sia sempre più difficile da raggiungere perché la saggezza e l'ambizione all'unità sono sempre meno presenti, mentre la tendenza è sempre più a dividere e a razionalizzare. Voler cantare nello stesso luogo del suono, cioè internamente, vuol dire non liberare le potenzialità più elevate dell'essere umano e mantenersi su un piano più arretrato, rozzo e materiale. Significa anche non condividere. Il canto esterno, come è avvenuto per gran parte dei cantanti almeno fino alla Prima Guerra Mondiale e per altri ancora fino alla Seconda, era un canto molto più accettato e vicino al pubblico, non solo quello degli appassionati, dei cultori, ma di tantissima gente che comunque apprezzava l'opera e il canto classico in genere, perché non lo percepiva come una sofisticata ingegneria, ma come una condizione umana possibile, seppur molto impegnativa e necessitante di qualche dote speciale. Se io sento un cantante che mi fa vivere affettivamente ciò che canta, perché capisco perfettamente ciò che dice e me lo riesce a trasmettere, lo spettatore si trasfonde e in un certo senso trascende la realtà e vivrà per un breve tempo un'avventura all'interno di quel canto. Se si comincia a non capire niente, al di là del comprendere le parole, ma se il suono è impedito a uscire e quindi le parole più o meno comprensibili, ma non possono raggiungere realmente lo spettatore, sarà forse bello, ci potrà essere emozione per la musica, le scene, il luogo... ma sarà impossibile incontrarsi nel canto, vuoi del cantante, vuoi di tutti coloro che partecipano. Rimarrà un evento fine a sé stesso, di cui si potrà anche conservare un buon ricordo, ma esteriore, non avrà partecipato realmente con l'anima.

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