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lunedì, febbraio 27, 2012

Un buon esempio

Vi posto una registrazione in studio del "Sogno" di F.P. Tosti nell'esecuzione di Dino Patrussi. Dino ha studiato parecchio tempo presso il m° Antonietti e ha raggiunto una invidiabile qualità di emissione. Per diversi motivi è arrivato a cantare concerti non più giovanissimo, molto osteggiato perché in possesso di una voce non "tonitruante" come diceva Celletti, un timbro piuttosto chiaro e una dizione perfetta che faceva dire a molti di "non avere imposto lirico". Questo lo ha molto amareggiato, e a un certo punto decise di smettere, nonostante l'esortazione di quanti lo hanno conosciuto e apprezzato. Come si può evincere da questa registrazione, fatta in una sala forse non molto competente in registrazioni di cantanti lirici, l'imposto è incredibilmente "alto", soffice, libero. Ogni parola è calibrata nel suo significato. La mancanza assoluta di gola, cioè il canto sul fiato, darà fastidio a molti, ormai assuefatti ai vari attriti glottici...

sabato, febbraio 25, 2012

"A casa, a casa, amici, dove ci aspettano..."

Con questa citazione introduco un discorso piuttosto importante, cui feci cenni nei primi post, ma che è bene sempre ribadire, anche perché gli allievi chiedono sempre consigli in merito. Cosa deve fare l'allievo a casa, tra una lezione e l'altra?
Prima risposta: dipende dal tempo di studio. Allora facciamo tre ipotesi:
1) inizio dello studio, grosso modo primo anno (ma è molto relativo alle caratteristiche del soggetto): dopo le prime lezioni è bene non fare niente di vocale. Se si registra la lezione conviene riascoltarla più volte, soffermandosi sulle indicazioni dell'insegnanti e cercando di sentire ciò che ha segnalato di sbagliato. Riflettere e leggere ciò che consiglia. Dopo qualche lezione si potrà, con molta prudenza, cominciare a ripetere qualche esercizio di parlato (prima semplice poi intonato), badando bene a rimanere nell'ambito della tessitura comoda. Anche questo non deve essere assunto come un esercizio meccanico, ma sempre di riflessione, riandando col pensiero alle indicazioni emerse durante la lezione.
2) studio più avanzato, in genere dopo almeno un anno, ma spesso di più: si possono fare alcuni esercizi di parlato, sempre con calma, con frequenti riposi, attenzione, riflessione, e si può percorrere, non subito ma dopo qualche escursione del centro, una buona parte della gamma vocale. Si può provare a fare qualche vocalizzo, ma sempre verificando che si entri in una libertà complessiva di emissione. Se si sentono durezze, tensioni, forzature, sospendere immediatamente. In questa fase è necessario studiare i brani. Lo studio dei brani deve essere fatto musicalmente, solfeggiando i brani, rivedendo le indicazioni esecutive studiate a lezione, provando a cantarlo con le seguenti limitazioni: farlo su una tonalità più bassa, farlo su una o più vocali (sempre in tonalità più bassa). Se il brano non è acuto, può essere cantato in tono, ma eventualmente eseguendo all'ottava bassa le note o frasi particolarmente ardue. E' una ottima regola per i maschi anche cantare in tono ma mettendo in falsetto leggero tutto ciò che supera il passaggio.
3) studio avanzato: non tralasciare mai (MAI) il punto 1, cioè esercizi di parlato (semplice e intonato), senza insofferenze. Molti pensano di essere troppo "bravi" per soffermarsi su queste "banalità", ma è sciocco. E' vero che se la coscienza è pronta, dopo poco si avrà la chiara sensazione di un parlato perfetto, di un fiato disposto, e allora si potrà procedere oltre, ma pensare che tutto sia già superato può essere un errore grave, indegno di un artista della voce. L'umiltà deve essere la regola. Non è facendo gli spaccamontagne che si dimostra di essere artisti, ma con la attenta cura dei propri strumenti. Dopo qualche esercizio di parlato, che dovrà comunque sempre essere fatto senza particolare attenzione respiratoria, questa mostrerà il suo sviluppo e allora con assoluta naturalezza si passerà piano piano all'atteggiamento costale e, se siamo nella fase avanzatissima, a quello artistico. Si potranno eseguire pertanto alcuni semplici vocalizzi (magari sempre partendo dal parlato o da sillabe), sempre solo allo scopo di verificare il grado di libertà dell'emissione. Dopodiché conviene passare al canto di un aria di studio. L'aria di studio è un'aria non troppo impegnativa che deve essere sempre la stessa (anche su questo è bene non stufarsi mai), che deve piacere e che si rileva essere particolarmente comoda e adatta alle caratteristiche vocali del soggetto. Se le condizioni sono buone, si può passare poi allo studio di altre arie o opera intera, sempre tenendo conto di quanto detto al punto 2. Studiare avvertendo fatica, voce sporca, difficoltà varie, è sciocco e controproducente! Se per qualche motivo è necessario studiare, lo si deve fare togliendo totalmente il peso, quindi falsetto e ottava bassa. Al di là di qualche patologia (raffreddamento, influenza...), una resa non ottimale della voce non deve troppo abbattere il morale; se lo studio è stato buono, ci sono le risorse per proseguire. Anche in questo caso non bisogna ritenersi degli immortali invincibili, ma un sereno ottimismo, legato a una emissione leggera e fluida permetterà a volte persino di superare le difficoltà fisiologiche di un mal di gola, tosse, raffreddore. Forzare è mortale!!

venerdì, febbraio 24, 2012

Superare il maestro

E' una frase che ho sentito dire spesso: l'allievo ha superato il maestro. La cosa non è impossibile, se il maestro non è un virtuoso dell'insegnamento e non ha raggiunto un limite di perfezione. Dico spesso, e ribadisco, che il maestro non può insegnare più di quanto egli non sappia fare, però c'è un però: in rari casi l'intuizione può portare l'allievo, particolarmente sveglio, dotato (intellettualmente), pronto, ricettivo, spinto da una forte esigenza (chiamiamola anche passione) a portarsi, ad un certo punto, più avanti del proprio insegnante. In quel momento non potrà non rendersi conto di questo superamento, e in teoria dovrebbe interrompersi il rapporto, perché quell'insegnante non ha più nulla da dare, anche se ci possono anche essere aspetti diversi (ad esempio lo studio dello spartito) dove l'insegnante ha ancora una competenza superiore, e inoltre esiste sempre una gratitudine che in moltissimi casi rende saldo e durevole il rapporto anche se poco efficace. Attenzione a non farne una regola: il fatto che gli allievi siano ben disposti, con buona voce e caratteri privilegiati, per cui riescono a vincere concorsi e ad affacciarsi con successo sulla scena lirica, non significa aver superato il maestro (che non ha svolto una carriera, magari), perché quello non è un indicatore di qualità, quindi, se non si è dei narcisi autoreferenziali, è bene sempre avere diverse valutazioni. In linea di massima, comunque, ricordarsi che il superamento è un risultato piuttosto raro (poi bisogna anche vedere cosa si intende; la bella voce ce la dà la natura...).
Anche il M° Antonietti a un bel momento superò il M° Giuseppe Giorgi, ma per un po' di tempo continuò a frequentarlo, anche perché, per quanto inconsapevolmente, era stato l'artefice dello strepitoso risultato di cui noi ancora oggi possiamo godere, e speriamo di poter fare a lungo

giovedì, febbraio 23, 2012

La bocca "naturale"

Il tema è già stato trattato, ma lo riprendo. Qualcuno dice, o può dire: ma quando io parlo la bocca si muove naturalmente e assume con morbidezza le varie posizioni delle vocali o delle sillabe. E' senz'altro vero. Dunque, la domanda che consegue può essere: perché devo o dovrei mettermi a studiare le posizioni che assume la bocca nelle varie vocali? A parte che non è così, cioè non c'è bisogno di fare questo studio particolareggiato, però c'è un fatto incontrovertibile: quando noi rallentiamo il parlato e lo vogliamo prolungare, che è un po' una semplificazione rozza del canto, noi ci accorgiamo di non saper più come atteggiare la bocca, perché veniamo investiti da difficoltà sconosciute provenienti dai muscoli della bocca stessa, e del collo, che ci fanno prendere coscienza che la bocca esiste, mentre durante il parlato fluido ciò non avviene. E' come camminare; chi si accorge di avere le gambe? Ma provate, senza tanto allenamento, a fare una lunga scala, ad esempio! Non solo vi mancherà il fiato, ma a un certo punto sentirete le gambe che si induriscono fino al punto di farvi fermare. Lo stesso avverrebbe se invece di camminare normalmente vi metteste a farlo in punta di piedi, oppure col "passo dell'oca", come capitava ai militari nelle dittature. Tutto ciò che esorbita dal nostro minimo consumo, appena intercettato dal nostro istinto, viene combattuto da dentro, cioè mediante forze, resistenze, disagi che ci costringono a fermarci e a "allenarci" se vogliamo superarlo. Quindi, a parte che nel parlato normale noi non usiamo realmente le condizioni più esemplari di forma, però anche ammettendolo, nel momento in cui vogliamo passare a un livello più elevato di utilizzo del parlato o cantato, noi ci troviamo in questa difficoltà. Lo studio, l'apprendimento, la disciplina, ci dovrà portare a RIACQUISTARE la stessa mobilità, elasticità, serenità e apparente noncuranza del parlato anche nel canto. Se poi, come di rado avviene, ci troviamo con un allievo che riesce, per doti sue, a cantare un testo a piena voce conservando la completa naturalezza del parlato ordinario, buon per lui, noi avremo una fase già risolta, e non dovremo far altro che far prendere coscienza l'allievo di questa sua fortuna e metterlo nelle condizioni di conservarla per sempre, il che significa non sottovalutare (MAI) l'istinto e dargli quel bagaglio indispensabile di cognizioni che possa applicare onde tener sotto controllo quella reazione che senza dubbio prima o poi si manifesterà.

domenica, febbraio 19, 2012

Non giudicare

Il primo precetto per chi vuole inserirsi nel giusto cammino artistico, è quello di disporsi con animo sereno e sgombro all'ascolto, senza preconcetti e senza volontà di giudizio, in particolare già volto in negativo, anzi ponendosi in atteggiamento ricettivo e positivo. Intanto c'è da ascoltare la musica, poi chi esegue. Se le cose non funzionano si potrà egualmente tentare di seguire quanto di buono c'è, altrimenti meglio smettere, andarsene. Purtroppo è vero che oggi è molto difficile poter sentire musica, ed esecuzioni valide, ma non si può nemmeno abiurare a questa "malattia". Ieri sera mi sono disposto a sentire un'Italiana in Algeri che davano sul canale Sky classic, diretta da Frizza ad Aix en Provence non molto tempo fa. Frizza, che ho sentito anche un paio di volte in teatro e non mi è dispiaciuto, anche se gesticola poco opportunamente, ho notato che ha degli spunti intelligenti. Purtroppo, di punto in bianco, si mette a correre come un matto. E' vero che il tempo musicale in audio registrato è poco rappresentativo, ma era evidente che non c'era più un senso musicale; per far bene le note, nella sinfonia, la musica è diventata una specie di disco a 33 giri messo a girare a 45!, sembrava il commento sonoro di una comica del cinema muto. Comunque ho proseguito, ho ascoltato con piacere l'inizio dell'opera, ma immediatamente dopo l'aria di Mustafà, cantata anche piuttosto bene dal basso Marco Vinco, alè, riprende la folle galoppata! Ancora una volta lascio passare e ascolto l'aria del tenore, anche questa cantata più che dignitosamente da Mironov. Poi inizia il duetto e ... via! Ancora una gazzella impazzita. A questo punto ho spento perché non avrei sopportato altri spunti del genere (ho riacceso più tardi, l'opera stava finendo, ma le galoppate ancora si susseguivano).
Noto che molte persone sparano un po' a zero su tutto; non dico che non abbiano ragione, ma in questo modo non si è realmente lucidi e spesso le valutazioni non sono corrette, perché inquinate da atteggiamenti troppo radicali e preconcettuali. Seguire una strada di approfondimento artistico può dare euforia e farci credere noi perennemente nel giusto e gli altri dei poveri sciocchi sempre dalla parte sbagliata. Anni fa, a domanda, espressi in un forum alcune critiche, peraltro molto delicatamente e dubbiose, cioè per niente stroncanti, su Nella Anfuso. Dopo pochi giorni saltò fuori un tizio indemoniato che mi riempì di insulti. Risposi molto pacatamente, ma quello non sentiva ragioni, rideva e insultava senza ritegno; non contento chiamò un altro a convegno e si misero in due. Poi la cosa finì. Può anche darsi che lui avesse ragione e io no, ma il problema è che il suo modo di porsi era sbagliato, non c'era possibilità di dialogo perché si riteneva nel giusto e basta. Questo, però, può capitare anche a chi sta effettivamente ad un alto livello, ma... non proprio sull'ultimo. Ecco perché i maestri, sia Antonietti che, in altro campo, Celibidache, facevano spesso la "doccia di chiodi" ai propri discepoli, per far loro capire che spesso l'ego, la presunzione, si annidano anche (e vorrei dire persino soprattutto) proprio dove si fa Arte e si cerca la Verità. Essa non è un'arma, ma uno strumento di conoscenza interiore, e non deve servire, quindi, ad offendere, ma a trovare la pace. Lo dico, anche se ormai non leggerà più queste pagine, al baritono che ho un po' maltrattato qualche tempo fa. A Celibidache il maestro disse: sei un idiota, non hai capito niente, ricomincia tutto da capo! e lui lo fece ed è diventato ciò che è diventato; se proviamo ad ascoltare chi ci critica con maggior senso di oggettività, non mettendoci subito sulla difensiva e con l'atteggiamento "lei non sa chi sono io", forse faremo tutti un passo avanti.

venerdì, febbraio 17, 2012

E' impossibile!

Oggi riflettendo su una lezione di canto di qualche giorno fa, ho avuto la precisa sensazione che nella mente di qualcuno si formasse questo pensiero: "pretendi (o pretende) l'impossibile". Da una certa angolazione questo può apparire vero: la presunta semplicità degli esercizi proposti, si dimostra subito invece, per molti, un ostacolo incredibilmente arduo da superare. Voler fare la lezione "artistica", quindi riflettere, discutere, analizzare, confrontare ogni esecuzione, che è il vero percorso per raggiungere l'Arte, per molti è assurdo, lungo, lunghissimo (o almeno può apparire tale), e a molti può sembrare del tutto inutile, perché disancorato dal livello medio attuale del canto, dunque anche rischioso perché ritenuto troppo diverso. E' vero. In effetti però non è che vivo su un palo e non so com'è fatto il mondo; mi rendo perfettamente conto che alle audizioni, ai concorsi, nelle agenzie, ecc., si richiedono determinate cose, e io sono pronto a mettermi a disposizione, senza compromessi, per raggiungere risultati che possano essere accettabili dalle due parti, cioè artisticamente ma anche dal pubblico e critica medi. Come dico sempre, la mia scuola è come un'autostrada con tante uscite e un capolinea. Ognuno può uscire dove vuole; da un certo punto in avanti io assicuro un canto di alta qualità, oltre un certo punto si entra nel canto artistico, che è prerogativa di pochi; ritenersi tra questi è inutile, nel senso che solo una spinta interiore e il possesso di un'esigenza speciale creerà le condizioni per poter entrare nel circolo ristretto (come lo chiamava Celibidache). I miei post, gli scritti miei e del M° Antonietti, sono destinati a tutti, ma per alcuni suonano come parole vuote. Non c'è problema, ognuno deve fare la propria parte; se fra i tanti che leggono ci sarà uno che si trova in quella disposizione particolare per tentare la scalata alla vetta, riconoscerà in quelle parole la verità che lo porterà dove sa di trovarla. Per lui niente suonerà impossibile. Ma anche per gli altri non c'è davvero niente di impossibile; se qualuno lo ritiene troppo impegnativo, si fa presto ad abbassare un po' il lavoro (in genere me ne accorgo da solo), ma (ripeto, senza scendere a compromessi) il processo di conquista di una qualità vocale superiore è assicurata a chiunque decide di seguirci. Chi non è convinto invece farà bene a cambiare, perché rischia di perdere tempo. Nessuno può essere il maestro di tutti. Tornando al tema, c'è da dire che il maestro pretende l'impossibile quando non è in grado di dimostrarlo. In linea di massima si consideri che non potrà mai insegnarvi più di quanto egli stesso non sappia fare. In compenso, se non ha acquisito la piena coscienza di questa sua competenza, se non è padrone della sua arte, non potrà neanche portarvi a quel punto...

Con-vincere!! (... e con-vinceremo!)

Dopo una ormai piuttosto lunga esperienza di insegnamento, ma anche riflettendo su di me allievo (cosa che faccio spesso anche riascoltando registrazioni di mie lezioni), ho maturato l'idea che molto spesso l'allievo vada a lezione con il proposito di convincere l'insegnante che sa cantare, che ha risolto i problemi e quindi sentirsi dire: bravo! Sul bravo sono d'accordo, lo faccio ogni qualvolta c'è il risultato sperato, così come censuro senza pietà ogni sbaglio che sarebbe da ritenersi ormai vecchio, superato. Anche questo aspetto riguarda il nostro super-io, un nostro istinto umano. L'idea di convincere l'insegnante che si è diventati bravi, per quanto umanamente comprensibile, non è un buon segno, e andrebbe discusso a lezione. Infatti l'esistenza, per quanto inconscia, di questa pulsione, può generare due situazioni: l'allievo inizia a cantare (fare esercizi) e il maestro lo corregge su diversi errori. Nell'allievo nasce un senso di frustrazione, comprensibile, perché valuta il giudizio come un insuccesso e quindi come un essere più indietro di quanto pensasse. Il che non è necessariamente sbagliato, anzi, di solito è il contrario, cioè l'allievo si sente molto più avanti, e quindi anche la "bacchettata" non dà l'esatta collocazione qualitativa dell'insegnamento; il senso di carente autostima che ne nasce, però, può essere controproducente, ecco quindi l'esortazione all'insegnante (ma anche all'allievo) a cercare di fare sempre il punto sulla situazione. Il maestro deve essere sensibile, ma anche fermo e sincero nella collocazione del punto del percorso e nel palesare pregi e difetti, possibilità o meno di successo, qualità e oggettive carenze della voce, del quadro musicale, stilistico, potenziale, ecc. E' tanto criminale dire agli allievi: non capisci niente, non hai doti, non farai mai niente, cambia mestiere, quanto illuderlo di avere una voce importante o un talento straordinario, ecc., senza aver soppesato, analizzato, tutti gli elementi che concorrono a una possibile carriera canora. Una grande voce può essere inutile se persistono seri problemi musicali, o culturali, o mnemonici. Una grande capacità musicale, stilistica, culturale, può non bastare ad avere le porte aperte dove la voce è insufficiente; e così via. Cose ovvie, che tutti sanno, ma che la nostra coscienza non libera impedisce di analizzare con la dovuta obiettività. Ho sentito allievi che sputavano veleno nei confronti di qualche docente che aveva sentenziato totale mancanza di talento (so anche di una grandissima cantante che fu stroncata da una maestra "in auge", che si rimangiò tutto quando la giovane arrivò a un traguardo importantissimo e la dichiarò propria allieva, il che non era...) ma il giudizio, per quanto affrettato e duro, secondo me non era del tutto peregrino, per cui l'insegnante ha sbagliato doppiamente perché se avesse espresso con più pacatezza e obiettività il suo parere, forse avrebbe raggiunto meglio l'obiettivo; viceversa è stato preso come una "sparata" e quindi è stato del tutto ignorato e anzi, quasi valutato al contrario. Il sentirsi invincibili, dalla parte della ragione, dei cantanti nati (o artisti, in generale) è più frequente di quanto si creda. Quando feci l'audizione al Regio di Torino, c'era una ragazza che era venuta per avere un parere dalla commissione, senza interesse per il coro. Portò, come brano, l'inno di Mameli, che già lasciò i presenti un po' perplessi. Noi, dalla porta, sentimmo l'esibizione guardandoci esterrefatti, ma persino senza ridere, perché questa non solo aveva una vocetta inconsistente, ma era pure fortemente stonata! Uscì con un parere negativo della commissione, che fu espresso, per altro, con molta delicatezza, nessuno le disse: lascia perdere, sei negata, ma semplicemente che c'erano dei problemi e che avrebbe dovuto studiare. Quella uscì inviperita, ripeté ciò che le avevano detto e disse che non capivano niente e che sarebbe andata a farsi sentire da altri più competenti. Noi annuivamo sempre con grande meraviglia. Purtroppo, a vari livelli, sono tanti che si trovano in questa situazione e non se ne rendono conto, e invece di approfondire criticamente, impongono unicamente la propria convinzione. A volte queste persone riescono anche a vivere felicemente, se la percezione non è diametralmente opposta alla realtà e riescono a trovare qualche occasione di sfogo. Il consiglio, al solito, è sempre quello di fare esami di coscienza, sentire più fonti, parlare con persone sagge, e non anteporre le proprie convinzioni.

domenica, febbraio 12, 2012

musica, canto e... microfonìa.

Post complesso questo perché pone al centro della questione il microfono, e la questione riguarda la Musica e il Canto. Il microfono può avere sostanzialmente due utilizzi: amplificazione e registrazione. In queste due attività ci sono aspetti comuni e aspetti separati da analizzare. Cosa c'è in comune? che il microfono è un mezzo meccanico di "teletrasporto" del suono. Egli capta i suoni da una fonte (mettiamo una voce cantata) e li trasporta in un centro elettronico dove possono essere miscelati con altri eventuali suoni, e spediti a un amplificatore o a un registratore o in entrambi i luoghi. Nonostante i passi da gigante dell'elettronica, è fatale che il microfono modifichi, alteri il suono originale, perché la membrana che capta il suono vibra e vibrando diventa essa stesso uno strumento sonoro e quindi aggiunge qualcosa al suono esterno o lo modifica. In secondo luogo è da considerare sempre questa membrana quanti e quali tipi di vibrazione sarà in grado di riprodurre, in quale spettro, e con quale fedeltà. Da qui poi il processo si fa interminabile: il cavo elettrico influisce sul suono (posso testimoniarlo: anni fa un mio amico appassionato di impianti HI-FI mi invitò a casa sua perché aveva acquistato nuovi componenti e voleva provare diversi cavi di collegamento tra casse e amplificatore; ebbene, ne provammo almeno 4 tipi e vi assicuro che le differenze di timbro, di brillantezza e di esaltazione di particolari frequenze era evidentissimo); il mix influisce sul suono (senza contare che nel mix ci sono una miriade di cursori che influenzano numerosi parametri), poi ulteriori cavi quindi il registratore o l'amplificatore e le casse, le quali sono membrane che replicano quanto già detto a proposito del microfono. Per quanto pochissimo ogni elemento influisca, è evidente che al termine la somma di tutto avrà apportato modifiche sostanziali al suono originale.
Facciamo ora un discorso sulla registrazione. La registrazione può essere un sistema per "fotografare" un'esecuzione. E', quindi, esattamente come una fotografia: piatta, immobile. Il suo scopo può essere quello di rammentare un artista, un'esecuzione particolare, pur con tutti gli enormi limiti che ci possono essere. Così come una persona anche ormai morta da decine di anni continua a rimanere impressa su un cartoncino, anche l'evento musicale può restare a ricordo di una persona o gruppo di persone e i suoni che hanno prodotto. Ma sempre di morti si tratta; nel primo caso, la foto, morte fisica, nel secondo caso morte artistica, la quale non necessita della morte delle persone, perché ciò che muore è la musica, appena terminata l'esecuzione. Impossibile, sempre e comunque, che qualcosa o qualcuno possa mantenere in vita quell'evento. Ci sono una moltitudine di motivi per cui il disco non è e non può essere musica, oltre a quanto già detto a proposito del microfono. Le condizioni di ascolto non possono essere le stesse; chi esegue un brano lo fa rapportandosi al luogo, dunque quanto ascolterò in casa sarà completamente decontestualizzato. Il volume non può essere lo stesso, ma il fatto che io posso intervenire sul volume mediante un dispositivo elettronico, è quanto di più antimusicale possa esserci! Pensate a un oboe che esegue un assolo in mezzo a un'orchestra di 120 elementi; a casa nostra non si può rapportare al suono fortissimo di tutta l'orchestra, perché salterebbero i vetri delle finestre quando ciò avvenisse! per cui già gli ingegneri del suono avranno "equalizzato" la registrazione in modo da creare minori contrasti, il che vuol dire che hanno modificato i volumi originali dell'orchestra... e gli armonici? Già, perché in base alla massa sonora l'orchestra, e/o i singoli strumenti, emetteranno una certa quantità di armonici, che sono la ricchezza del suono, e che, quando il direttore sa ciò che fa, determineranno anche IL TEMPO di esecuzione. Se gli ingegneri del suono modificano i volumi, e se io a casa intervengo sul volume generale, taglio di fatto una gran quantità di ricchezza sonora, e dunque avrò la percezione di un suono lento, perché gli eventi musicali mi arriveranno come se tra uno e l'altro ci fosse un "buco", un intervallo troppo lungo e dunque si perde la continuità fonica (per questo motivo adesso si fa tutto velocissimo). Insomma, potrei andare avanti a lungo, ma credo ce ne sia già abbastanza per illustrare che il disco, se preso con lo scopo di ascoltare musica, è fuorviante e non porta che alla morte di quest'Arte, dunque tenerlo solo come si tiene un album di foto.
Veniamo invece al rapporto tra canto e microfono. In questo caso lo scopo precipuo è l'amplificazione artificiale. Abbiamo già visto che il microfono modifica, indipendentemente dalla volontà degli attori (cantanti, ingegneri del suono...)il suono originale. In alcuni casi questo è considerato positivo; è noto che quasi tutti i cantanti di pop, rock, ecc., vanno in giro con propri microfoni, perché sanno che quel microfono valorizza (o aggiunge) determinate caratteristiche che possono migliorare la voce. In tempi abbastanza recenti, poi, l'elettronica ha permesso anche di inserire filtri e componenti in grado di rendere ancora più "sicura" la performance, sino al punto di correggere l'intonazione (lo si può fare in fase di editor per il disco, ma persino in tempo reale!).
L'uso del microfono è necessario per quei cantanti che si esibiscono su palchi immensi, addirittura in stadi con migliaia di persone. Diciamo che in molti generi ormai il microfono è indispensabile, perchè (fin dai tempi di, ad es., Lucio Battisti o Romina Power) ad un certo punto la musica leggera è diventata fenomeno per grandi masse e per piccole voci poco o nulla coltivate. Qui potrebbe aprirsi una grossa discussione; dal mio punto di vista, tolto che non possiamo parlare di Arte, è un fenomeno di costume che può avere un interesse anche non effimero. Molti cantanti hanno avuto una storia perché hanno inventato belle canzoni e le hanno cantate con una personalità spiccata e magari un timbro originale, particolarmente adatto a contrassegnare situazioni specifiche. Insomma, se ci riferiamo a questi stili, a mio avviso è fatale che il microfono ci sia e venga usato; poi possiamo (ma non ora!) parlare dell'educazione vocale di chi affronta questi generi. Altro discorso invece riguarda il canto artistico, di qualsivoglia genere, compreso un settore "classico-leggero", come possono essere molte canzoni napoletane o certa musica da salotto. Qui il discorso microfono è totalmente fuori luogo e da condannare. Sarebbe come permettere l'uso di un motorino alle biciclette! Non è più ciclismo, allora! L'Arte del canto consiste propriamente nell'amplificazione NATURALE della voce. E' una prerogativa, per quanto difficile, della voce umana, che richiede studio, volontà, applicazione e una guida sicura. Il risultato può essere di valore storico, come lo può essere un dipinto, una scultura o un qualunque altro gesto che dall'ordinario sia proiettato verso una Verità intesa come trascendentale (anche se trascendentale non è). E' vero che il microfono può rendere più "democratico" il palcoscenico, nel senso che la voce naturalmente grande non la fa più da padrone (anche se qualitativamente inferiore) sulla voce più piccola, ma questo non c'entra niente con questa disciplina. Come ripeto, allora anche il ciclismo può essere democratico se do a tutti un piccolo motorino, così il più debole riesce a fare le salite durissime con la stessa facilità. Ma a chi può interessare, questo? E' vero che qui abbiamo aspetti espressivi da mettere in campo, ma l'abilità del cantante sta proprio in quella capacità di riuscire ad esprimere tutto ciò che è necessario senza perdere l'espansione sonora necessaria a farsi sentire in qualunque teatro. Sappiamo che cantanti con voci "piccole" hanno cantato ovunque, anche all'Arena di Verona, senza problemi. Da qualche anno sappiamo che in molti teatri stanno applicando microfoni (con le tecnologie attuali si possono rendere pressoché invisibili), il che non può portare che ad ulteriore e mortale decadenza il mondo della musica, del teatro d'opera e della vocalità. Vuol dire equiparare anche questo settore a quello dello spettacolo televisivo e del varietà, vuol dire che qualunque cantantucolo con un po' di estensione avrà la possibilità di cantare anche la lirica, affossando ulteriormente tutti gli aspetti musicali, oltre che vocali. Già adesso siamo costretti a sorbirci in TV e su internet indecorosi spettacoli ove pseudocantanti urlatori, solo perché dotati di una voce di bel colore, rovinano indecorosamente arie o romanze, senza alcuna pietà per il fraseggio, per il giusto apporto di intensità, di articolazione, di legato, ecc., e sempre con pubblici immensi che vanno in delirio esaltati da presentatori che di solito non riescono nemmeno a pronunciare correttamente il nome dell'autore o il titolo del brano o dell'opera. Quando ero giovane era diventato di moda prendere brani classici e rielaborarli "modernamente". Meravigliose arie di Bach, Beethoven, Mozart... rese vomitevoli e patinate con l'implacabile sommesso martellare della batteria, violini sviolinanti, echi, effetti cattedrali, per creare l'ambiente "night"... io protestavo energicamente e mi si diceva: eh ma in questo modo si attirano più giovani verso la classica. NON E' VERO! e se anche fosse, chi se ne importa! Preferisco 10 giovani che si avvicinano sentendo VERA musica, che 100 che credono che James Last (come oggi Allevi) facciano musica. E' un settore "di nicchia"? ben venga, meglio separati nettamente che questa commistione insulsa. Ognuno faccia il genere che predilige, vuoi come esecuzione, vuoi come fuizione. Non c'è niente di male a non sapere niente di Arte e di Musica classica o lirica. Da quando si insegna storia dell'arte e della musica nelle scuole il livello di questo settore è precipitato... va beh, è un altro discorso.

domande

E' vero che i baritoni, in genere, hanno un'estensione maggiore dei tenori (non contraltini!!) ma non sostengono la tessitura?
Sì, è vero. Può succedere che i baritoni abbiano un'estensione anche di tre ottave, superando in acuto il famigerato do4, ma poi all'atto pratico non siano in grado di reggere una tessitura tenorile nemmeno centrale. Questo è dovuto al "peso" della voce, che nel baritono è molto maggiore. Questo peso è dovuto alla massa delle corde vocali (lunghezza e spessore) ed è anche la causa del fatto che il passaggio al registro superiore avviene un tono prima. Persone con un fisico eccezionale possono saltuariamente emettere anche in esecuzione qualche nota particolarmente acuta (Cappuccilli faceva il sib nella cabaletta dell'Attila per non parlare di Warren, che aveva i la "in tasca" e in un Rigoletto arrivò a "urlare" un re!). Ciò non toglie che se sono realmente baritoni non possono sostenere una tessitura tenorile, perché accedendo al falsetto una nota prima, trovano già un peso maggiore fino dal mib3, per cui la scrittura tenorile, anche non particolarmente acuta, ma che batte insistentemente su fa e sol, che sono gli acuti del baritono, è di fatto inaccessibile. Qualcuno può chiedere: ma se si spostasse il punto di passaggio? Sarebbe una sciocchezza e una stupidaggine inutile. Il punto di passaggio non è una invenzione di qualcuno, è il punto di equilibrio tra due registri. Se faccio passare un baritono oltre il mib, si sentirà subito lo sforzo e l'innaturalezza, dopodiché il passaggio un tono sopra risulterà "singhiozzante", brusco e non amalgamabile. In sostanza non si può risolvere il problema in questo modo perché produrrei solo gravi difetti, ma la tessitura continuerebbe a essere ostica, perché la consistenza delle corde vocali, per lunghezza e spessore, continuerebbe a essere troppo pesante per il fiato che è sempre (o quasi sempre) rapportato alle c.v. Intanto che ci siamo parlo anche del percorso opposto; potrebbe un tenore cantare da baritono? In questo caso, pur essendo sempre no la risposta, le possibilità sono maggiori. Intanto se parliamo di un contraltino, la cosa potrebbe risultare maggiormente possibile, e anzi diciamo pure che nella storia del canto abbiamo testimonianza di diversi contraltini che hanno cantato da baritoni. Un tenore "classico" avrebbe grossi problemi perché è quasi sempre "corto" in basso, ma l'ostacolo principale è la corda "sottile" che rende molto esile, privo di carattere, il settore centrale. Gli acuti baritonali, poi, sui fa-fa#-sol, per un tenore risulterebbero troppo facili e privi di quel mordente che li adegua alla situazione drammaturgica per cui in genere si eseguono (e si inventano, persino). Anticipare il passaggio per un tenore è persino peggio che posticiparlo per un baritono, perché si chiude la gola, si perde appoggio, ricchezza, e quindi si avrebbero alcuni suoni del tutto privi di energia, e si rischierebbe anche di fallire gli acuti, così come capitava a Bergonzi nei pochi mesi trascorsi, all'inizio della carriera, nella classe baritonale. Qualche possibilità in più può esserci al termine della carriera per varie ragioni sia anatomiche che respiratorie, ma sempre di un camuffamento e di un'alterazione si tratta.

venerdì, febbraio 10, 2012

Naturale o artificiale?

Anni fa ebbi una discussione in un forum; definii "sopranista (o contraltista) artificiale" un falsettista, come ho spesso letto su libri e riviste, per fare una distinzione col castrato, che viene definito sopranista o contraltista - e basta - oppure: "naturale". La discussione fu piuttosto lunga e sostanzialmente inutile. Oggi, e da un bel pezzo, i "naturali" non esistono più, dunque è fatale che un sopranista sia per forza "artificiale", nel senso che è un maschio con laringe maschile che sfrutta alcune prerogative per cantare un repertorio da castrato o da soprano. L'obiezione era che non è possibile fare "artificialmente" una voce, ma è sempre e per forza naturale. L'obiezione è sostanzialmente corretta, perché il nocciolo della questione è che per artificio in genere si intende qualcosa di imitato con mezzi diversi; un computer può fare musica o canto artificiale, una persona no. Ciononostante rivendico la possibilità di uso di questo termine in alcune circostanze che vado a specificare. La voce ventriloqua posso definirla artificiale; la voce di, mettiamo, Mike Buongiorno fatta da Sabani o Noschese, è definibile artificiale, non perché creata con mezzi artificiali, ma perché non è la voce "naturale" di quella persona, cioè non è la voce che utilizza quotidianamente e normalmente. Non c'è niente di negativo o di penalizzante in questo, anzi, in molti casi può essere un utilizzo piacevole e anche virtuosistico, per quanto la valutazione sia piuttosto soggettiva. Nel campo dell'insegnamento del canto, ci si scontra spesso con questa terminologia, anche a livello di scuole. Ho già parlato in passato del pessimo utilizzo del termine "impostazione", contrapposto a "naturale"; così come viene inteso da molti, il concetto di impostazione sarebbe identificabile con "artificiale", il che va contro i più elementari fondamenti di un canto artistico, ma con naturale si intende, per contro, una voce totalmente priva dei requisiti minimi di educazione. Ecco dunque che anche qui non ci siamo, perché una voce ineducata è ineducata e basta, non c'è alcun riferimento al "naturale". Ancora passando ad altre scuole, si vuole che il percorso di studio per educare una voce incolta si definisca naturale, per contrapporlo alle scuole di tecnica e metodologia improntate soprattutto a lavoro fisico. Anche qui c'è da ribattere, perché il concetto è sempre da rapportare al contesto. Allora provo a scrivere un modesto contributo per cercare di fare chiarezza.
Una persona che parla quotidianamente senza alcun interesse al canto o alla parola ricercata, ha una voce naturale e che possiamo definire PERFETTA relativamente al contesto, cioè alle esigenze esistenziali di quella persona.
Se un bel giorno quella persona viene contattata mettiamo per presentare dei concerti, per cognizione propria o sentendo qualche amico o persona competente, si renderà conto che la propria voce risulta, invece IMPERFETTA relativamente a un nuovo contesto che si è aperto. Dunque in qualche modo dovrà superare il nuovo ostacolo che si è frapposto. Se poi quella persona decidesse di darsi al teatro di prosa, troverebbe che anche la "seconda voce" che ha educato, e che magari dopo un certo tempo risulta perfetta rispetto alla situazione, si presenta ora deficitaria, e anche gravemente, rispetto al nuovo impegno. In un terzo momento, poi, la persona vuol mettersi a cantare, e nuovamente la condizione, ammesso che sia stata raggiunta, risulterà inidonea, e quindi si aprirà un nuovo scenario in cui IL FIATO, sempre e solo IL FIATO di questa persona, renderà necessario un ulteriore sviluppo; se si tratta di canto artistico, è necessario lo sviluppo più estremo relativamente al contesto vocale. Bisogna quindi riconoscere che esiste una condizione di perfezione RELATIVA al contesto istintivo, cioè quello di esigenza di vita, di sopravvivenza del singolo, di perpetuazione, di relazione e di difesa della specie e una perfezione che va OLTRE le esigenze di sopravvivenza, e che è ovviamente inconoscibile e inimmaginabile da chiunque in quanto anche la nostra mente è organizzata istintivamente, e non può conoscere ciò che va oltre il suo limite soggettivo. Attenzione, però, non è che questo limite sia invalicabile, ma è soltanto dormiente in quanto non utile, esattamente come la voce perfetta o l'udito di un cane o la vista di un'aquila. Una persona che ha in sé l'esigenza di promozione ad un livello superiore, e che mette in atto le strategie necessarie, o meglio ancora trova il maestro o i maestri che possono guidare le sue azioni a superare quella condizione limitata, si troverà proiettato in un campo sconosciuto dove la sua mente si arricchirà di nuovi elementi, così come la voce si sviluppa e si a amplia di nuove componenti. Questo campo di crescita ha però uno STOP soggettivo; per qualcuno sarà di poco superiore a un traguardo "tecnico" (che è comunque una condizione di perfezione soggettiva), per qualcuno può arrivare a quella condizione INSUPERABILE, cioè che deve arrestarsi perché rischierebbe la DISUMANIZZAZIONE, cioè una condizione che va oltre le possibilità organiche, fisiologiche e anatomiche del soggetto. Questa la possiamo definire una perfezione OGGETTIVA, che non ammette giudizi e valutazioni esterne, perché la può comprendere appieno solo chi si trova in una condizione analoga o prossima, e sarà un tipo di espressione che sarà valutata come fenomenale, strana, assurda, impossibile, dalla maggior parte delle persone, e osteggiata e combattuta da molti, perché incomprensibile e quindi "pericolosa". Sono andato un po' oltre il discorso che volevo fare, ma ormai mi ero buttato...
In effetti ciò che mi premeva scrivere è che a lezione io spessissimo dico agli allievi: questo suono non è "tuo", è artificiale. Spero sia chiaro, dopo tutta la chiacchierata, cosa intendo: cantare con la propria voce, emettere le parole, le vocali, esattamente con la voce che si usa quotidianamente e costantemente, cioè non permettere (si fa per dire!) che il salto energetico imposto dall'intonazione o dal diverso volume che si vuol dare alla parola, impedisca di pronunciare con la stessa NATURALEZZA, cioè utilizzando la NOSTRA VOCE. Quando riusciremo a capire, cioè a fare, questo, ci renderemo anche conto che è il fiato che si sta sviluppando naturalmente per consentirci di raggiungere questa esigenza soggettiva(non di specie).

giovedì, febbraio 09, 2012

Testate nel muro...

Mario Antonietti, il mio insuperabile Maestro, diceva: ho date testate al muro per 18 anni, poi un bel giorno mi sono ritrovato al di là del muro. I motivi per cui si ritrovò al di là del muro sono da ritrovare in parte nei 18 anni di testate, ma anche nella infaticabile ricerca della Verità, che ebbe coronamento perché, possiamo dire, già potenzialmente in lui. Furono 18 anni di amarezze profonde, di fallimenti, di insegnanti (considerati bravi, si prenda nota) che sistematicamente sbagliavano. Diceva ancora: "se uno di questi insegnanti si fosse accorto dell'errore - cioè continuavano a classificarlo tenore, essendo invece egli baritono - è possibile che io avrei cantato, e forse si sarebbe interrotto quel percorso che mi ha portato alla conquista di questo risultato artistico". In un certo senso, quindi, egli dovrebbe ringraziare la sorte per tutti questi fallimenti. Questo lo diceva anche Celibidache: ho imparato tantissimo dagli imbecilli! Ed è ormai un po' un motto di queste scuole: andiamo a vedere (o sentire) come NON si fa. Ora bisogna fare qualche ulteriore considerazione. Noi potremmo dire che un po' tutti coloro che affrontano il canto secondo una tecnica non artistica, e in particolare chi affronta un canto a connotazione fortemente fisica, potremmo dire che "dà testate nel muro". Dare testate nel muro non significa e dà nessunissima garanzia che si passerà al di là del muro, anzi possiamo dire che esclude questa possibilità. Quello che ha reso possibile la "sublimazione" è il fatto che esisteva interiormente una componente di ricerca di perfezione; in fondo anche al M° Celibidache capitò qualcosa di analogo, anche se a un livello di visibilità milioni di volte superiore, ed è in fondo ciò che Antonietti scrisse mille volte: Farinelli già famoso, sentì il Bernacchi, che lo criticò e lui smise di cantare e si perfezionò ancora 2 anni con quel maestro. Celibidache, già direttore dei Berliner da 5 o 6 anni, conosciuto in tutto il mondo, fulminato da una critica stroncante del suo maestro, Heinz Thiessen, si rimise a studiare da zero, approfondendo e dando vita a una disciplina che per chi la conosce e pratica è altrettanto straordinaria quanto una emissione libera e perfetta. Questo fu anche la causa fondamentale per cui lasciò i Berliner e le più grandi orchestre per oltre 20 anni. Quante persone avrebbero questo coraggio? Questo coraggio cos'è, se non la forza di dire no all'esteriorità, al narcisismo, al facile successo. Non è necessario che capiti ciò che capitò a Farinelli o a Celibidache, bisogna sapersi leggere dentro, interrogarsi e saper rispondere se si avrebbe questa forza. Se c'è la necessità di raggiungere quel tipo di perfezione, forse ci sono le condizioni di accesso. Altrimenti è sciocco perdere tempo; molti vogliono studiare in una scuola "difficile" per poter dire di essere perfetti, ma senza che ci sia una reale volontà e necessità di questo risultato.

mercoledì, febbraio 08, 2012

Il buco nella pancia...

Quando ero piccolo, c'era una pubblicità con protagonista un pirata cartone animato con un buco nella pancia, e un bambino (vero) che cantava: "mamma, lo voglio anch'io il buco nella pancia...". Mi è tornato in mente questo spot riflettendo su una frase presente nel trattato del Garcia, e spesso citata anche dal M° Antonietti. Premetto che questo post è sostanzialmente inutile, farei molto meglio a non scriverlo (come buona parte di quelli passati), ma il nostro stesso M° diceva: facciamo ciò che dobbiamo; il nostro è uno scopo orientativo, ribadiamo sempre che non si può imparare a cantare leggendo alcunché, e dunque metto questo, come altri post, per una riflessione (in gran parte personale), ma anche perché potrà servire un domani a qualcuno che avrà raggiunto il livello del canto esemplare, o prossimo ad esso, e potrà avvelersene, così come in questi anni posso dire di aver trovato grandissimo giovamento nel rileggere i tanti appunti del m° Antonietti, che pur avendo consultato chissà quante volte, ho potuto compiutamente capirli e metterli in pratica solo in tempi piuttosto recenti. Dunque, il termine "incriminato" è: fontanella dello stomaco. Come credo sia noto, Garcia, a proposito di atteggiamento respiratorio, invita a una postura che possiamo identificare con quella suggerita anche dalla Antica Scuola Italiana del Belcanto, che identifichiamo in genere col termine "costale", ovvero con la parete addominale superiore anteriore leggermente depressa (sottolineo il leggermente!), contrapposta alla respirazione diaframmatica che invece vuole la parete addominale leggermente (ri-sottolineo...) avanzata. La nostra scuola (diciamo pure sinceramente: il M° Antonietti) ha scoperto che la seconda non è una postura respiratoria diversa, ma è L'INTEGRAZIONE della prima. Si può dire inoltre che la respirazione diaframmatica, se non esaltata nei suoi aspetti, può condurre egualmente ad un ottimo canto, la costale invece è pericolosa da assumere nei primi tempi di studio. Come ripeto, la costale può intendersi come integrazione della diaframmatica, e quindi da assumere dopo un certo periodo di studio, quando le reazioni istintive siano state in gran parte mitigate; viceversa si andrà incontro a un pericoloso spoggio della voce. La respirazione costale, peraltro, non provoca il "buco nella pancia", o fontanella dello stomaco. Questa si forma solo in una successiva e più marcata respirazione/postura, che definiamo "artistica", e può essere raggiunta solo in una fase di estremo perfezionamento, quando ogni e qualsiasi vincolo fisico/valvolare sia sparito. In questa fase non abbiamo più alcun tipo di appoggio, di peso rivolto verso diaframma, petto, sterno, clavicole (!) o altro luogo fisico, ma con una modificazione sostanziale di tutta la linea respiratoria, si passa a una respirazione a livello sottoascellare (quindi altissima e laterale), dove il petto resta totalmente sostenuto dalla muscolatura e quindi non esercita più alcuna pressione sul fiato, che resta così libero di alimentare i suoni. In questa situazione, il diaframma scende senza pressione, e crea nella parte anteriore, quella piccola fossetta a livello di plesso solare; questo ci porta a pensare che, più o meno (diciamo meno) coscientemente, ai tempi del Garcia, e soprattutto prima, si raggiungeva un livello respiratorio di altissima efficacia, anche se non esente da rischi se non governato nei tempi e nei modi dettati da una sana prudenza e da insegnanti di provata capacità. Suggerisco a tutti i lettori-cantanti, di riflettere ma di non fare e non provare a respirare in questo modo nel canto, a rischio di serissimi guai, ma sognate di arrivarci, perché quando si presenteranno le condizioni sarà come stare in paradiso!

domenica, febbraio 05, 2012

In quale direzione

L'Arte unifica. La scienza è una disciplina che indaga la realtà. Il suo funzionamento non può prescindere dalla necessità di analizzare e pertanto separa, divide, spezza ciò che è grande in parti sempre più piccole. Lo fa nel macrocosmo, spezzando l'universo stellare che vediamo nelle belle notti limpide in ammassi, galassie, costellazioni, stelle, pianeti, ecc., lo fa nel microcosmo, spezzando molecole, atomi, elettroni, protoni, ecc.; lo fa col corpo umano indagando il funzionamento di ogni organo, fino alle cellule ed oltre, lo fa con la storia, indagando il dna di animali e vegetali preesistenti all'uomo e così via. La scienza opera unioni riparatrici, ma in realtà si affida alla Natura (una gamba spezzata non è la scienza che la ripara, ma l'uomo stesso; la medicina mette solo l'arto nelle condizioni migliori per guarire meglio). Le Teorie possono unire? Possono essere Arte? Evidentemente no. Una teoria è la volontà di indagare descrivere e ipotizzare il funzionamento di una realtà che ci appare difficilmente comprensibile. Certo alcuni grandissimi scienziati hanno lavorato prima con l'intuizione, seguendo un percorso artistico, poi hanno cercato di razionalizzarla con formule e teorie, ma questo non ha portato ad una unificazione, per quanto l'idea è sempre quella di unificare gruppi di teorie già esistenti, ma spesso ad ulteriori divisioni! Si veda, anche recentemente, le controverse teorie e opinioni sulle stringhe, sulla materia e l'energia oscura, e persino su accadimenti più a noi vicini, come l'effetto serra, le glaciazioni, ecc. Naturalmente anche le teorie sul canto seguono la stessa fine, infatti anche in questa scuola seguendo quanto sempre affermato dal m° Antonietti, ribadiamo sempre che non abbiamo teorie, non seguiamo metodi, ma pratichiamo una disciplina artistica che si basa su intuizioni e insegnamenti di altri artisti venuti prima di noi, da cui abbiamo ereditato un bagaglio di elementi che ci hanno consentito di sviluppare la coscienza pura del libero operare. In questa opera, e nella limitatezza concessaci dai linguaggi e dalle possibilità espressive, anche tutti i nostri scritti, purtroppo, rientrano, nonostante la volontà, più nell'alveo di un discorso scientifico che artistico, e infatti decine sono gli argomenti che si articolano (e quindi in un certo senso dividono) intorno all'unica verità di una voce artistica, che solo la disciplina pratica può arrivare a formare. Anche una mediocre scuola di canto, dove l'insegnante abbia comunque una pallida idea di cosa sia un canto di qualità, sarà sempre più efficace di una scuola "scientifica", che manchi totalmente dello spirito unificante e intuitivo di un maestro cosciente.

sabato, febbraio 04, 2012

Percepire

...non le parcelle, eh...! Qui non si parla mai di denaro.
Il mondo in cui viviamo, ma non parlo necessariamente solo dell'uomo di oggi, anche se in particolare di questo, è estremamente complesso. La nostra percezione deve fare forzatamente delle semplificazioni e delle "potature" per non portarci alla pazzia. Se noi percepissimo tutto con lo stesso livello di importanza, la nostra mente si saturerebbe, i nostri nervi salterebbero. Ciò, poi, avviene ugualmente, ma in tempi e modi, di solito, non troppo violenti e irreparabili. Mi spiego meglio. Pensiamo di camminare lungo un sentiero di campagna di qualche Secolo fa: avremmo visto e sentito campi, cielo e tempo atmosferico, animali, la strada stessa, qualche agricoltore con qualche semplice attrezzo... Oggi nella stessa situazione saremmo, già solo in una situazione così semplice, attorniati da una moltitudine di rumori: trattori, decespugliatori, motoseghe, automobili, aereoplani, oltre alle cose già dette. Tutto questo potrebbe mandare in tilt un uomo che apparisse improvvisamente dal passato, ma per noi è normale. il "normale" è che la nostra percezione di tutta una serie di fenomeni tende ad annullarsi; non è che non li percepisca: se in mezzo al traffico passa un'ambulanza, la notiamo, ma anche altri piccoli, o meno piccoli, rumori, suonano alla nostra coscienza come evidenti, e quindi la risvegliano, mentre altri vengono messi tra parentesi (pensate se in una strada affollata, con decine di persone che parlano, voi sentite una voce conosciuta!). Questo preambolo per dire che la nostra sensibilità è in parte innata, in parte "elastica", cioè governata dal nostro istinto. E' chiaro che chi vive in un ambiente relativamente tranquillo e silenzioso avrà una sensibilità uditiva diversa da chi abita e frequenta un luogo caotico e rumoroso; la prima persona nel secondo posto per molto tempo avrebbe problemi anche seri, ma nondimeno anche la seconda persona non riuscirà subito ad abituarsi al primo posto. Dunque l'istinto regola il nostro livello di percezione sempre in base al noto principio del "necessario a vivere e sopravvivere". E' chiaro che a nessuno serve avere l'udito di un cane nel nostro modello di vita, che, anzi, potrebbe forse dare fastidio! Molti si illudono di avere un "orecchio" strabiliante, e vogliono anche convincere tutti gli altri, ma nella maggior parte dei casi non è vero. Come per la voce, anche l'orecchio ha un margine di tolleranza, e può essere sviluppato a sentire cose che l'uomo "normale" non sente (sempre che non abbia in natura una sua eccezionalità uditiva). Oltre, invece, non si va se non c'è una esigenza che vada oltre la comune esigenza di specie, e questo non può servire al normale ascoltatore, che potrà sviluppare solo nel margine di tolleranza, ma serve al cantante che deve poter cogliere dall'insegnante e da ogni sorgente possibile, compreso sé stesso, il difetto, il pregio e la differenza tra giusto e sbagliato per potersi adeguare. Lo stesso vale per la vista e, ovviamente, per la voce. Quindi, quando qualcuno vi dice: "ma le orecchie le ho anche io", rispondete: dimostramelo!!

mercoledì, febbraio 01, 2012

L'effetto "phon"

Quando si dice "canta col (o sul) fiato" spesso si corre il rischio (ma succede anche indipendentemente) di stimolare una fuoriuscita di aria insonora. Questo effetto è più particolarmente evidente nel registro grave (molti bassi e mezzosoprani ricorrono incosapevolmente a questo stratagemma per evitare che il peso del suono (aumentato dalla ribellione istintiva) premendo sotto la laringe impedisca di fatto l'intonazione e la riuscita delle note gravi. Lo chiamo effetto phon perché in bocca si ha proprio la sensazione del suono tipico di questo elettrodomestico, dove il motorino emette un suono di base, mischiato con quello dell'aria che si frange nel tubo e nella griglia di fuoriuscita. Mi chiedevo come mai alcuni fenomenali cantanti, come Schipa, ma anche alcuni bassi, incontrassero problemi nel registro centro grave. La spiegazione è che loro, sapendo cantare e non cercando di ricorrere a trucchi e stratagemmi che diminuissero la qualità intrinseca del suono, che a quei tempi in cui contava maggiormente la capacità di diffusione in sala era prioritario, non ricorrevano a questo effetto. Più nel dettaglio, dobbiamo notare che se una parte dell'aria esce insonora, le c.v. funzionano male, perché restano parzialmente aperte, cioè l'adduzione non è perfetta. Questo, che se generalizzato all'intera gamma potrebbe portare a effetti devastanti sulle c.v. stesse, fatto su poche note non è da segnalare come un grave pericolo (per quanto...), però cosa comporta? Ovviamente una minor pressione sulla laringe, per cui essa può lavorare più elasticamente e consentire l'intonazione di note che la reazione istintiva non consentirebbe o con maggior difficoltà, ma anche una sensibile diminuzione dell'appoggio, per cui il suono, oltre che piuttosto brutto e vuoto, non si espande nell'ambiente. In conclusione, se sentite questo effetto (su di voi) lo dovete eliminare all'istante, ricorrendo a una pronuncia molto più reale e concreta, senza fiato perso; se lo sentite in qualcuno che canta capite che sta cercando il modo di superare, come può, un ostacolo che percepisce come molto ostico. Tutto sommato una leggera difficoltà di intonazione o di alimentazione perfetta del settore centro grave, è il segno di una salute vocale migliore, anche se non ancora maturata.

Il pesce artista

Un giorno di parecchi milioni di anni fa, un organismo acquatico uscì dal suo elemento e iniziò una vita anfibia e poi terrestre, e da lì prese avvio (o meglio continuò) tutta l'evoluzione che portò fino a noi. Quell'organismo aveva in sé un livello evolutivo superiore a quello dei suoi simili che lo spinse a quel passo incredibilmente coraggioso. E' scontato che quel passo non fu dettato da volontà "mondane", ma da necessità, esigenze di sopravvivenza (non aveva altri mezzi per sfuggire ai suoi predatori oppure le condizioni climatiche o fisico-chimiche dell'acqua non erano più accettabili, o chissà cosa...), per cui quella fuoriuscita non rimase un fatto isolato, ma si è perpetuata nei suoi discendenti e fissata nel DNA. Affinché quel passo fosse possibile, quell'organismo doveva avere in sè una POTENZIALITA' di sviluppo evolutivo, altrimenti lui, e la sua specie, avrebbero corso il rischio di estinzione. La potenzialità è una ricchezza che ogni organismo vivente possiede e lo scopo è quello dell'ADATTAMENTO al mutare delle condizioni di vita della specie. Queste potenzialità, di tanto in tanto (diciamo pure rarissimamente), emergono in qualche soggetto, pur in assenza di motivazioni ambientali, e gli uomini, in genere, danno a queste apparizioni isolate l'appellattivo di "fenomeni paranormali". Ci sono fenomeni più "appariscenti", come piegare oggetti con la volontà, che suscitano molto scalpore e quindi salgono agli onori della cronaca, ma ci sono anche fenomeni molto meno interessanti per l'opinione pubblica, che restano nascosti; esistono centri di ricerca dove si fanno studi e si ricercano persone in grado di fare cose "non normali", vale a dire si cercano persone che hanno una potenzialità o predisposizione manifesta. La realtà è che tutti gli uomini (anzi tutti gli esseri viventi) possiedono queste potenzialità, ma nella maggioranza restano a livello potenziale. Un esempio semplice è dato dalla vista o dall'udito: ci sono persone che hanno una vista superiore ai 10/10, e persone con l'orecchio "assoluto". E' evidente che se è stato fissato un parametro standard (il 10/10), è perché le esigenze di vita umane non necessitano di andare oltre a quel 10/10. L'aquila invece morirebbe se avesse solo una vista umana, perché dalle altezze del suo volo non riuscirebbe più a individuare le prede. Ma anche l'uomo possiede una potenzialità di vista "aquila", che si renderebbe necessaria se le condizioni di vita mutassero; alcuni soggetti, pur senza necessità vitale, sviluppano questa potenzialità (la predisposizione deve dimostrare che c'è!) e quindi ci vedono oltre le esigenze di vita comune. Il fatto che anche la voce rientri in questo discorso, probabilmente non interessa nesssuno, non è un dato appariscente o sensazionale, e quindi nei centri studi non si cercano e non si esaminano persone con voci particolarmente sviluppate (e forse è meglio così!). Il fatto è che ci sono persone, come sappiamo, che fin da giovani presentano qualità canore eccellenti (e non per nulla anche queste sono definite: fenomeni), per espressività, bellezza, estensione, sonorità, intensità. Spero sia chiaro che questo fenomeno rientra perfettamente nel quadro delineato. Ora però dobbiamo analizzare un altro particolare. L'istinto è un "programma" con una finalità ben precisa, e cioè difendere, perpetuare la SPECIE. Esso non prevede e non consente che possa avvenire un mutamento (e infatti in genere la specie, se riesce a superare l'estinzione, continua ad esistere, nonostante una piccola parte abbia dato origine ad altre specie più evolute), non solo, ma combatte ogni tentativo di cambiamento, perché ne infirmerebbe il futuro. E' ciò che avviene anche nel canto. Quando noi studiamo canto, implicitamente tentiamo di sviluppare una potenzialità presente in noi oltre le esigenze di vita comune. In alcuni questa potenzialità si presenta più evidente e manifesta, e sono la maggior parte dei cantanti che di fatto calca le scene nei maggiori teatri, perché possiede in natura gran parte dei caratteri che ne fanno "fenomeni" e che la gente segue in quanto meraviglia per la capacità di eseguire ciò che l'uomo comune non sa fare (naturalmente giudicandoli in base all'udito "di specie", che segue lo stesso ragionamento ed è quindi molto modesto). L'istinto non contrasta la potenzialità manifesta finché resta un'utilizzazione sporadica, ma la combatte ferocemente quando diventa di utilizzo molto frequente. Questo spiega, per intanto, il motivo per cui tanti cantanti dotatissimi in gioventù vanno incontro a decadenza più o meno precoce e evidente. Spiega, inoltre, che la cosiddetta "tecnica" (intesa come impostazione della voce) non è un mezzo grazie al quale si canta, ma è (pur nell'ignoranza di chi la pratica) un contrasto che permette di allargare le maglie di tolleranza dell'istinto onde permettere un canto accettabile. Ovviamente un canto tecnico, che risponde al 99% dei soggetti che praticano questa disciplina, è un canto perennemente soggetto agli attacchi dell'istinto che vuol riprendersi il concesso, per cui l'allenamento è l'unico sistema, vita natural durante, per mantenere un certo livello qualitativo. Più raramente esistono soggetti che pur non avendo necessariamente quella dote particolarmente manifesta, (cioè anche senza una voce straordinaria), possiedono però qualcosa di molto più importante, e cioè una ESIGENZA VITALE soggettiva che richiede lo sviluppo di quella potenzialità. Sono coloro che, indipendentemente dal tipo di disciplina, possiamo definire i veri ARTISTI. Il concetto di ARTE, quindi, può definirsi "la necessità di alcuni singoli di sviluppare oltre le esigenze comuni di specie, una potenzialità presente in ogni essere umano". Perché c'è questa esigenza? E qui torniamo al pesce primordiale; anche l'uomo avverte quella necessità di promuoversi a un livello superiore (in un certo senso, anche lui vuole "uscire dall'acqua"). Il problema è che il livello superiore, nel nostro caso, sarebbe un livello divino, e quindi una "disumanizzazione", pertanto un'Arte può raggiungere un livello di perfezione inteso come NON OLTRE alla fisiologia umana, ma poi basta. Studiare canto, come qualsiasi altra disciplina artistica perseguendo una esigenza interiore ineludibile, che ci spinge verso la perfezione, non significa educare l'istinto, ma aggirarlo, ingannarlo, renderlo meno aggressivo e convincerlo che questa potenzialità sviluppata è per noi vitale. Ovviamente non si potrà perpetuare nei nostri discendenti perché non è una esigenza di specie, per ora. Da qui dovrebbe risultare anche chiaro perché chi parla di Arte, di perfezione, di conquista sensoria, è spesso avversato e anche ferocemente; l'istinto non agisce solo nel singolo soggetto contro il tentativo di commutazione, ma anche nei gruppi contro il tentativo di uno o più singoli di promuoversi a un livello superiore.