Translate

sabato, aprile 14, 2012

Caro mio ben

Riprendendo una sana consuetine, analizzo il brano "Caro mio ben", guida musicologico-vocale. Anche in questo caso mi riferisco all'edizione curata dal Parisotti, datata e discutibile sotto l'aspetto stilistico e filologico, ma tutt'ora molto in uso.
Il brano è di dubbia attribuzione: potrebbe essere di Giuseppe Giordani, detto il Giordanello, come riporta Parisotti, di altro Giuseppe Giordani oppure del di lui figlio Tommaso, tutti napoletani.
Questa versione è scritta in mi bemolle maggiore, in quattro quarti, e si presta ad esecuzioni per tenori e soprani agli inizi degli studi, o baritoni e mezzosoprani già un po' avanti.
Quattro battute introduttive, ricalcanti il tema che sarà cantato tra poco. La prima battuta è acefala dei primi due quarti. E' interessante notare nella mano sinistra, una scala ascensionale dal mib al do, in controtendenza alla melodia che tende a scendere. Nella seconda metà della seconda battuta l'incipit è ripetuto alla sottodominante e anche nella terza battuta inizia in sottodominante (su una posizione più bassa) e varia in forma di cadenza (III, IV e V grado) per riportarsi sulla tonica. Secondo me il brano va iniziato con una intensità piuttosto forte e deve decrescere fino all'inizio della quarta battuta, dove cresce momentaneamente (verso la dominante) per chiudere in pianissimo all'inizio della quinta, dove entra il canto. I primi errori che si riscontrano nell'approccio a questa pagina consistono nel dire "miò bèn", invece di "mìo bèn", a causa della figurazione di croma, più veloce, su quella parola, e lo spezzare in modo cantilenante le prime frasi. Il brano è piuttosto riflessivo, quindi va eseguito a un tempo non rapido, e pertanto anche la croma permette tutto il tempo per pronunciare correttamente la I con la giusta lunghezza. Se pur è vero che dopo "caro mio ben" c'è una virgola, è da ritenersi antimusicale prendere un fiato o determinare una cesura, per cui "caro mio ben credimi almen", è già scritto benissimo e non necessita di alcuna sosta. Anche qui, seguendo la scrittura, l'esecuzione partirà con una discreta intensità, che andrà a decrescere su "almen". Il "senza di te", come nell'incipit, tornerà a crescere per dare rilievo al "te" che si può considerare il punto culminante della prima frase. Il "languisce il cor", su un accordo diminuito prima e poi in settima di dominante, è di scrittura alquanto bassa, ed è da eseguire anche molto piano, nel rispetto dell'"affetto" che si vuol conferire alla frase, evitando di dare troppo accento (per reazione) al "cor". Abbiamo a questo punto la ripetizione-conferma, che esclude però il "credimi almen" e giunge subito al "senza di te" con una variante perorativa, espandendo il "te" a un intervallo ascendente di quarta fino al mib acuto; il termine della frase, "languisce il cor", può essere quindi eseguito con maggior forza ripetto alla prima esposizione, e chiudendosi, pur in diminuendo, non in pianissimo, e permettendo così l'apertura al B, introdotto da una breve figurazione strumentale di due misure. Il B, data la brevità del brano, inizia subito un moto ascensionale e di maggior vivacità e tensione. E' possibile realizzare anche un tempo leggermente più mosso, facendo attenzione a non lasciarsi prendere la mano...! "Il tuo fedel sospira ognor" ancora da eseguirsi senza interruzioni e fiati è decisamente in crescendo (come indica anche Parisotti). La sequenza inizia sul tono di dominante (si), con interessanti contrasti generati perlopiù da ritardi che il pianista dovrà far emergere. Ad esempio su "(fe)del" il piano mantiene il sib in contrasto col do del canto; egualmente, nella battuta successiva, su "(o)gnor", il piano mantiene un do mentre il canto è salito al re sull'accordo di si. "sospira ognor" inizia con un accordo di fa settima (dominante della dominante) e si riporta in dominante per sostenere il fa acuto di "cessa crudel" che possiamo considerare il punto massimo del brano, piuttosto dimesso dal punto di vista della tensione musicale, valorizzato più che altro dall'impeto canoro col quale si chiede all'amante di cessare "tanto rigore"; sarebbe buona cosa, sempre con abilità, trattenere appena il tempo su questa frase. A questo punto però il brano è decisamente modulato a si bemolle, e inizia, quindi il "ponte" che ci riporta "a casa". Il secondo "cessa crudel", ovviamente meno ieratico (per non offendere!), scende al mib quindi ancora più piano, il "tanto rigore", che viene ripetuto con più forza (notare il gioco testuale molto delicato: la ripetizione declamata non è più su "cessa crudel", che potrebbe diventare quasi un'imposizione, ma sul "tanto rigor", una affettuosa richiesta). Il termine della frase, ancora in sib, ma ridiventata dominante grazie all'accordo di fa 7^, realizza il collegamento alla ripresa di "caro mio ben" grazie a una legatura espressiva - che viene perlopiù eseguita con delicato portamento. La ripresa non è calligrafica, perché dopo due battute si apre (sull'accordo di do maggiore, cadenza d'inganno) una coda; pertanto non ritengo fuori luogo l'uso di cantare la prima frase tutta in pianissimo. La coda, come spesso avviene, ripropone un suo percorso tensivo, che ovviamente non può superare quello del brano, ma è comunque da seguire e valorizzare. La presenza della coda è senz'altro da considerare un elemento di qualità, perché evita la ripetizione fine a sé stessa, difficile da orientare, se non con variazioni non sempre idonee e di buon gusto. Sulle frasi "caro mio ben, credimi almen" abbiamo una ripetizione, sulla identica armonia Re minore 7^ - Si bemolle 7^ - Mi bemolle. Ciò che orienta l'esecuzione è la direzione del punto massimo (della coda) sul mib di "senza di te" sul bellissimo accordo di mib con la sesta al basso (e anche qui non può sfuggire che il punto forte - diciamo pure finalmente - non è più una perorazione o un'accusa, per quanto amorevole, ma una dichiarazione d'amore!). Quindi da "caro mio ben" si dovrà crescere (senza respiri fino alla pausa) fino al "senza di te", che non dovrà diminuire se non sulla, nuovamente, espressiva legatura sulla "e" finale al mib acuto, da farsi molto piano. Piacevole nella sua sospensività, anche se ingannevole (infatti molti ci cantano sopra, oppure sbagliano l'attacco sul sol successivo), l'accordo di la bemolle isolato che precede la conclusione "languisce il cor", ovviante "a chiudere".

Nessun commento:

Posta un commento