Non è facile sublimare un atto che a noi consideriamo già buono,
il termine "sublimare" è una felice intuizione del M°, che non usa il termine fenomenologico "trascendere", che può essere più efficace sul piano descrittivo, ma è anche più discutibile su quello gnoseologico o filosofico. In sostanza si dice che persone già in possesso di una buona voce e magari anche di un buon metodo di canto, difficilmente accettano di mettersi in discussione, riprendere gli studi per un obiettivo "sublime", cioè la conquista di un "senso fonico". Il termine "sublimare", poi, è molto azzeccato perché si riferisce propriamente al passaggio da uno stato fisico-solido (che in fisica si riferisce al ghiaccio) a quello spirituale-aereo (che in fisica si riferisce al vapore-gas), quindi togliere al suono vocale il carattere fibroso muscolare per lasciare quello più impalpabile e libero.
ma se si riesce a superare una condizione psicofisica, ferocemente fissata in noi, si può aspirare al grande traguardo.
Il raggiungimento dell'obiettivo passa attraverso il superamento di un ostacolo che è posto dal nostro corpo, ovvero dal nostro sistema di difesa, fissato nel DNA. Questa condizione può sembrare impossibile, visto che il DNA impone una serie di funzionamenti meccanici indispensabili alla nostra vita; in realtà ci sono le possibilità di superamento grazie in primo luogo alla Conoscenza presente nell'uomo che aspira a traguardi elevati che richiedono il controllo del fisico da parte del pensiero o Conoscenza stessa, che passano quindi attraverso una disciplina di appropriazione del fisico da parte della mente elaborante e che possiamo anche definire "coscienza".
Indicare una serie di esercizi per apprendere l'Arte della fonazione è inopportuno, perché ogni allievo e ogni momento richiedono esercizi diversi e attenzioni particolari. Si può tuttavia suggerire qualche orientamento in tal senso, ma il problema non è davvero semplice, come potrebbe a prima vista sembrare. Se fosse possibile educare la voce umana atta al "bel canto" con una serie di esercizi, il problema sarebbe già stato da tempo risolto.
Il M° ribadisce il concetto iniziale, e cioè che nessun trattato di canto può realmente servire a imparare a cantare, ma, tutt'al più, a ORIENTARE chi si interessa o pratica il canto verso una disciplina corretta, evitando di cadere nelle mani di incapaci, più o meno onesti.
Non si può, nella maniera più assoluta, insegnare a cantare artisticamente con la teoria o con le parole scritte, anche se tutto, come complemento, è utilissimo. Ciò vale per tutte le arti, perché quanto più è colto l'aspirante artista tanto più è avvantaggiato su altri che lo sono meno e per un certo fine.
Trattati e metodi sono utili per allargare la discussione e riflettere, nonché fornire utili indicazioni. Basarsi sull'erudizione anche approfondita per manifestare la propria competenza didattica è invece assurdo, perché le parole scritte restano teorie, per quanto felici o pregevoli, ma non decisive ai fini pratici. Anche la scrittura di infinite serie di esercizi è inutile, e infatti quasi tutti i metodi di canto, infariciti di pagine e pagine di esercizi, restano lettera morta, se non giusto per qualche necessità accademica che su di essi basa gli esami. Mancini scriveva che il buon maestro è quello che scrive personalmente l'esercizio adatto a ciascuno dei propri allievi.
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