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sabato, luglio 12, 2025

La A sbagliata

 Ci sono molti video su youtube dove sedicenti maestri di canto ci insegnano che esiste una A sbagliata, che suona "aperta", voltagare, sguaiata, ecc., e una A "coperta", giusta, un po' arrotondata, un po' oscurata..

In realtà le cose stanno esattamente al contrario! La A deve essere "aperta", cioè chiara, ricca di armonici. Ascoltate qualche cantante di inizio 900, tipo Tamagno, o anche più recente tipo Filippeschi. Dicono A che più A di così non si può. Eppure sono belle, non sono sguaiate o volgari. La A fatta bene è la vocale più bella ed è anche quella che educa di più il fiato. 

Il fatto fondamentale è che la A che loro reputano giusta, e che non è una A, realmente, è indietro, è dentro, non sfoga, è povera e soprattutto non è vera. Perchè sia tale, occorre che sia esterna, cioè che si ampli nello spazio, cosa che internamente non può fare perché di spazio ce n'è pochissimo. Questa, che può sembrare una soluzione semplice, non lo è per niente, perché il fiato deve avere un'energia che in natura difficilmente si manifesta (e da qui il fatto che solitamente suona brutta), pertanto occorre studio corretto sotto corretta guida affinché si evolva, Seconda ma non secondaria cosa, è l'attacco della A. Garcia incredibilmente suggerisce un attacco sulle corde vocali. Follia pura. Intanto dobbiamo rammentare che le vocali non devono mai essere attaccate fisicamente! Sono espressioni di sentimenti e devono avere attacco sul fiato, altrimenti sarebbero consonanti. Ciò che aiuta di più è il sospiro (o alito) che ci permette di sentire che la A nasce esternamente e a distanza. Inizialmente è molto dura evitare che l'istinto ci faccia pronunciare la vocale con i muscoli interni. Ecco perché usare il sospiro (e all'inizio è consigliabile aprire molto la bocca, poi ci si accorgerà che non è necessario), consumando molto fiato, senza la volontà di pronunciare, ma SENTENDO che essa nasce e si diffonde senza la nostra partecipazione attiva. Certe A della Callas erano così. scivolavano, correvano senza un vero punto di attacco. Ultimo consiglio, prezioso: piano pianissimo, anche falsettino. In questo modo è più difficile spingere e la vocale nascerà magicamente precisa; facendo scorrere il fiato SENZA PRESSIONE si potrà intensificarla. Però da soli è quasi impossibile. ci vuole l'esempio del maestro. 

domenica, luglio 06, 2025

Lanciare

 E' uno dei termini che utilizzo maggiormente per far capire (spesso inutilmente) come far sì che la voce sia costantemente sostenuta dal fiato-risonanza. Partire con il sospiro e mantenerlo per tutta la frase, ovvero lanciare lontano da sè, specie in zona acuta. Vi posto il video di un ragazzino che canta una canzone. Ciò che egli fa con la semplicità e l'intuizione di chi non ha ricevuto assurde nozioni, è: lanciare! Cioè non far sì che il suono cada subito fuori dalla bocca, ma si propaghi. All'inizio può dare l'idea di gridare, ma questo è dovuto alla qualità del fiato, che dovrà evolversi, e lo farà se ne avrà le MOTIVAZIONI, ovvero l'esigenza, che noi dovremo trasmettergli. 

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mercoledì, luglio 02, 2025

Monotonia, ninfa infelice...

 Colpevole è e sempre sarà il timbro! Quel piacere superficiale ed effimero che ci può prendere al sentire una bella voce, non ci può togliere la noia, la stanchezza dopo un certo tempo se resta la cosa principale. Il grande cantante ci fa ascoltare la musica, il ruolo, la situazione, la continuità... Una pletora di cantanti ci annoia senza tregua nel farci sentire quel mugugno che sulla prima ci può anche piacere, come ogni cosa che in im primo momento ci fa provare un certo piacere, può essere un suono, un gusto, un profumo... ma poi è l'esperienza che ci guida a provare nel tempo che quel primo assaggio dopo un certo tempo invece del piacere ci fa provare stucchevolezza. Come le cose dolci, ad es. I bambini sono molto attirati dai dolci, ma molti di loro, crescendo, addirittura li odieranno ed eviteranno, proprio perché il tempo porta a sentire il vero, cioè un gusto troppo acceso e incapace di profondità. Nella voce umana il timbro è come l'eccesso di zucchero nella marmellata! Dopo un po' disgusta. Ciò che invece non ci annoierà mai, è la parola, cioè il testo delle arie vestite da una grande musica (spesso nata proprio grazie alle parole). Se chi canta riesce a tenere davanti la parola, ci farà sempre vivere la situazione e la musica. 

Questo pensiero mi è nato casualmente quando in tv è partita una pubblicità dove un notissimo cantante, più avvezzo alla musica pop che alla lirica, attaccava una melodia. Ciò che mi ha subito colpito è stato il "dolciume" di quella voce, più nauseante che coinvolgente e realmente piacevole. I tantissimi ascolti di Schipa, che fossero lirici o canzonettistici, non mi hanno mai suggerito un'idea di impastato, di cupo e greve, ma sempre di luminoso, di leggero (ma non superficiale) e di comunicativo in senso stretto e diretto. Naturalmente non sono lui, però nei tempi recenti, anche cantanti di valore non riescono a produrre simili sensazioni. Manca quella profondità di lettura genuina, semplice ma carica di valori sentimentali vissuti. 

domenica, giugno 29, 2025

Canto sul sospiro

 E' un mantra che va avanti da un pezzo: cantare sul fiato! Sì, peccato che quasi non esista nell'attuale panorama operistico e soprattutto docente un vero canto sul fiato. Perché quasi tutti (uso il quasi per salvaguardare coloro che non ho mai sentito) pensano che per cantare sul fiato bisogna allenare il fiato, non considerando che il fiato fisiologico non c'entra granché con quello artistico, cioè quello che serve per cantare. E quando dico cantare artisticamente, mi riferisco a un fiato evoluto, cioè di qualcuno che ha lungamente studiato per arrivare a quel sublime risultato. Non solo la voce istintiva appare divisa in due parti, il cosiddetto "petto" e la cosiddetta testa (o falsetto-testa), ma il fiato funziona in due modi diversi, il centro, dove si parla, e dove scorre senza crearci problemi, e la zona acuta, dove non siamo istintivamente abilitati a parlare, e dove, quindi, andiamo incontro a problemi. In questo senso dovremmo eliminare l'uso di un termine come "registri". Non c'è alcun registro, ci sono due zone che in natura hanno funzioni diverse e che pertanto hanno approvvigionamenti aerofoni molto diversi. Nel centro il fiato alimenta il parlato, cioè una funzione altamente sofisticata, propria dell'uomo evoluto. Nel settore acuto, il fiato è "esistenziale", cioè si pone al servizio di esigenze di tipo animale, quindi meno evolute, tipo chiedere aiuto, segnalare allarme, indurre paura, oppure indicare stati sentimentali o patologici. Manca, in sostanza, l'articolazione verbale. Schipa lo disse: bisogna "piegare" la voce a parlare anche sulle note acute. Lui ci riuscì come pochi, forse nessun altro. E' un impegno di concentrazione davvero estenuante. Non finisco mai di ripetere, durante il canto dei miei allievi: "parla! parla!" Ma quando si entra in zona acuta, l'istinto si mette in mezzo e ci spinge a usare i muscoli, a premere, e addio pronuncia. E addio canto perfetto. 

In ogni modo, ciò su cui insisto. oltre al parlato, è il SOSPIRARE! Dire canto sul fiato oggi forse è disorientante, non si sa cosa significa e confonde le idee. Il sospiro, con bocca moderatamente aperta, ci dà la giusta senzazione di apertura, di spazialità, di scorrevolezza. Non si deve trattenere, occorre consumare fiato senza frenare. Abituatevi a fare un'unica frase consumando tutto il fiato, come l'arcata di un violinista.Non fate e non pensate alle note, superate queste divisioni. Fare cinque o più note come se fosse una sola nota e un solo sospiro vi aiuterà a percepire lo scorrimento del fiato ed è ciò che vi deve interessare realmente. Se è errato spingere, lo è altrettanto trattenere. LASCIATE ANDARE!!!

venerdì, giugno 27, 2025

Degli appoggi

 Istintivamente, cantando soprattutto nella seconda ottava superiore, si percepisce la voglia di appoggiare la voce, ovvero fornire una sorta di trampolino per poter lanciare gli acuti. Se da un lato abbiamo una maggior parte di insegnanti che insiste sulla necessità dell'appoggio diaframmatico, indicando una qualche metodologia che faccia premere l'allievo verso il basso, dall'altro dobbiamo constatare che comunque tutti i cantanti o aspiranti tali, perlopiù inconsciamente, vanno a cercare questo fatale punto di appoggio. Il più delle volte, disgraziatamente, è la gola, (vuoi laringe, collo, glottide... sono specificità che poco importano), Il problema di fondo è che quell'azione non fa che stringerla e impedire una corretta fluidità del fiato. In questo senso possiamo dire che il tentativo da parte della maggior parte degli insegnanti di andare a cercare l'appoggio sul diaframma, perlomeno cerca di saltare l'appoggio in gola. Non che questo salvi la situazione! Come dicevo poc'anzi, infatti, voler intensificare l'appoggio diaframmatico, significa per loro premere verso il basso, spingere sulla pancia o sulla schiena, il che in realtà non permette di aggirare la gola che si pone come mezzo concreto per realizzare l'appoggio. Di fatto deve essere l'orecchio dell'insegnante a essere raffinato al punto di percepire la libertà della glottide (o gola in senso più ampio) e porre rimedio affinché essa sia totalmente libera (rilassata) e consenta al fiato di fluire liberamente e, in particolare, di dilatarla naturalmente senza alcun intervento volontario. L'appoggio, che gli antichi non menzionavano mai, è in realtà uno dei tanti fraintendimenti delle scuole del 900. Il fiato deve scorrere placidamente ed evolversi in modo da generare tutta la ricchezza armonica di cui il nostro corpo è capace. E' una questione qualitativa sottilissima, che si sviluppa nel tempo e che non può essere accelerata. E' nello spazio esterno, enorme (rispetto allo striminzito spazio oro-faringeo) che la voce si amplia e produce senza fatica tutto il potenziale sonoro che la nostra straordinaria conformazione fisica è capace. Il nostro istinto ragiona in termini fisici e meccanici, dunque interpreta il canto lirico, cioè che si deve sentire in grandi spazi, e su una gamma di note piuttosto ampia, come uno sforzo da dominare mediante appoggi fisici concentrati e di notevole impegno. Viceversa, prima ci educhiamo alla morbidezza, alla mancanza di spinte e pressioni di ogni genere, al canto sul SOSPIRO, prima capiremo che è sufficiente il flusso aerofono a generare bellezza, sonorità, dinamica, colori, estensione (nei limiti soggettivi, ovviamente). La morbidezza e fluidità danno luogo, esternamente, a quella ampia risonanza che poi, grazie alla parola, aggiunge conoscenza, cioè quel "di più" che rende il canto veramente espressione di verità, ovviamente non generalizzabile, ma legata all'arte del paroliere.

mercoledì, giugno 11, 2025

"... ma è difficile!"

 E' passato un anno da quando è stato pubblicato il mio libro. Potrei dire che è stato una sorta di "buco nell'acqua" ("un trou dans l'eau", come disse Celibidache), nel senso che quasi nessuno tra le mie conoscenze, compresi gli allievi, lo ha letto, e se l'hanno fatto, è stato in modo superficiale, approssimativo. Nessuno deve sentirsi obbligato a leggerlo, ma la mia riflessione è che se quando studiavo canto fosse uscito un libro del genere, io mi ci sarei fiondato a comprarlo e l'avrei letto più di una volta. Sul fatto che sia difficile, dissento. Può darsi che qua e la ci sia qualche paragrafo un po' più impegnativo, che solitamente ho anche annunciato in premessa, ma nell'insieme ritengo che non sia così. Ma non è questo il punto. Il punto è che i musicisti e in particolare i cantanti sono additati come ignoranti! Penso lo si sappia. E' vero che in tempi remoti i musicisti, ma in particolare i cantanti, spesso non avevano che le seconda o la quinta elementare, per cui potevano avere difficoltà a leggere scritti dove il lessico era un po' più elaborato e c'erano citazioni di tipo scientifico o filosofico. Ma la sete di cultura era elevata. I miei nonni e bisnonni erano analfabeti, erano contadini, però, da toscani, erano orgogliosi di recitare interi canti della Divina Commedia. Lauri Volpi fu una clamorosa eccezione, perché si laureò, e infatti scrisse libri di ottima fattura. Oggi il tasso di alfabetizzazione è quasi del 100% in Italia, eppure gente non solo diplomata ma anche laureata, trova difficoltà e ostacoli nella lettura di un libro "normale", che parla di un argomento che dovrebbe entrare nella passione e nel forte interesse di chi lo ha tra le mani. Come si deve commentare questa situazione? Certo che la "teoria", se così vogliamo definirla, non è essenziale, ma qui abbiamo i fondamenti, cioè quei principi basilari che dovrebbero illuminarci il cammino, che dovrebbero aiutarci a comprendere perché incontriamo difficoltà nello studio del canto e a rendere chiaro il motivo per cui si fanno determinati esercizi, ovvero a non renderli fini a sé stessi, un mero allenamento, ma a dar loro un senso, un significato profondo e a chiarirci le cause dei nostri progressi o meno. Allora, non è che si deve leggere questo libro come un obbligo nei miei confronti, però è palese che nel corso delle lezioni devo ripetere spesso dei concetti che trovano posto nel libro e che gli allievi potrebbero aver acquisito. Bisogna studiare! Gli studenti di tutti gli strumenti passano molte ore tutti i giorni a fare esercizi e studiare i brani per le lezioni e gli esami. Gli studenti di canto si sentono privilegiati. Spesso mi chiedono cosa devono fare a casa. Ebbene, non sarebbe nemmeno il caso di fare esercizi, che spesso può essere controproducente. Invece, come dico, ciò che conta è rivedere gli aspetti di fondo del cantare, e questo può essere facilitato dalla lettura. Insomma, ci vuole concentrazione (moltissima) e impegno, stimolo all'intuizione. Non è necessario leggere tanto, bastano un paio di pagine ogni volta, ed è per questo che il libro è suddiviso in paragrafetti molto brevi, tranne pochi che comunque non sono mai lunghissimi. Leggere e anche rileggere se non si è sicuri di aver capito, e domandare a me ciò che risulta ostico per renderlo più "digeribile". Il libro non è fatto per essere "consumato" oggi, ma auspico che sarà compreso nel tempo. Comunque non penso che un giorno pubblicherò una seconda edizione "semplificata" per cantanti...




sabato, giugno 07, 2025

Sulla cresta dell'onda - video esempio



 Beh, mi sono ritrovato uno spazio per confezionare un po' alla bell'e meglio un video relativo al post precedente e in risposta a un quesito posto da Fulvio. Buona visione.

giovedì, giugno 05, 2025

Sulla cresta dell'onda

 Avrete sicuramente presente quegli eccezionali surfisti che con il loro asse riescono a rimanere in equilibrio per diversi secondi, forse anche minuti, sulla cresta delle altissime onde oceaniche. Ebbene, anche questa è una stimolante e aderente metafora del grande canto artistico. L'onda, con la sua potenza ma anche leggerezza, plasticità, fluidità, rappresenta il fiato che, quando educato secondo i crismi dell'arte respiratoria vocale, è in grado di sostenere una voce che si spande per spazi infiniti senza alcuno sforzo muscolare. E l'analogia è ancor più attagliata se pensiamo che il suono... è un'onda! Dunque la voce sta in un delicatissimo equilibrio sulla cresta di quest'onda, nello spazio antistante il corpo, la bocca, e si diffonde uniformemente e velocemente in ogni ambiente. Rigidità, timore, trattenutezza, pressione, imposizione, non fanno altro che impedire la piena realizzazione dell'evento vocale artistico. Lasciate andare, non frenate, non cercate di "fare". Leggerezza, assottigliamento, scivolamento, sono le caratteristiche per ottenere un canto di elevata qualità. Non abbiate timore di cantare pianissimo, al limite del sussurro! Il sospiro è l'approccio corretto all'attacco. 

mercoledì, aprile 16, 2025

Il fiato che apre

 Forse questo argomento non l'ho mai trattato a fondo. 

La voce in teatro deve possedere una determinata AMPIEZZA per potersi diffondere ed espandere nell'ambiente. Il comune sentire è che si sentono maggiormente le voci POTENTI. La cosa è vera solo in parte. La voce (soltanto) molto forte (per natura) ha poca espansione e poca penetrazione. Inoltre la potenza ha un costo non indifferente se prodotta, come il più delle volte capita, con forza prevalentemente muscolare, che nel tempo può causare problemi fisici e soprattutto di stanchezza. 

La voce artistica è una voce DI FIATO, che si definisce SUL FIATO per giustificare l'appoggio, ma ritengo sia un concetto impreciso. Ciò che determina la vera voce artistica è la mancanza di pressione e forza indotte muscolarmente. Il fiato sapientemente educato in relazione alla voce, esce spontaneamente, almeno per un determinato tempo, e la giusta postura fisica (atteggiamento "nobile" w  quindi respirazione "artistica") consente poi di ottenere il giusto grado di energia anche su tempi lunghi grazie al movimento a "fisarmonica" dei polmoni. 

Non è così facile insegnare a cantare col fiato, soprattutto in relazione ai tempi educativi. Iniziare presto può significare spaventare l'allievo, che si troverà a consumare un mare d'aria, a non riuscire a completare frasi anche di modesta lunghezza, quindi è preferibile aspettare che la voce si trovi già a un buon livello di libertà. Anche in questo caso, però, la possibilità di "traumatizzare" l'allievo è elevata, perché fino a poco tempo prima riusciva a eseguire frasi anche lunghe con un solo fiato, e improvvisamente avverte un dispendio di aria che fa paura, perché non compatibile con il normale fraseggio imparato. L'insegnante deve tranquillizzare il discente e spiegargli che è una fase transitoria e nemmeno molto lunga. Purtroppo molti non riescono a calmarsi e tendono a tornare a un canto più materiale, il che significa retrocedere. 

Per i primi tempi, occorre prendere atto di questo consumo maggiore d'aria, e non solo: bisogna evitare ogni forma di trattenimento, ma incentivare il consumo e le prese d'aria, cioè respirare più spesso, in modo da mantenere LA QUALITà del canto. Se si è in presenza di persone concentrate e determinate, anche solo all'interno di una lezione (di durata non effimera), sarà possibile notare che in poco tempo già si potranno allungare gli intervalli delle prese d'aria. 

Qual è la propedeutica al canto sul fiato? Attenzione, perché ciò che scrivo non è e non deve essere considerato un esercizio da mettere in pratica solitariamente! E' assolutamente necessario che sia il MAESTRO a seguire l'allievo, sempre ESEMPLIFICANDO. L'elemento semplice e fondamentale per iniziare a percepire lo spazio esterno e l'ampiezza vocale, è il SOSPIRO (o sospiro di sollievo), rigorosamente da non confondere con l'H, che è invece assolutamente da evitare. Per un certo tempo ci sarà una condizione anche leggermente erronea nell'esecuzione da parte di chi inizia questo studio, perché tenderà a mescolare fiato e voce. Questo non passerà del tutto fin quando anch'egli non comincerà a percepire distintamente la pronuncia sulla punta del fiato, cioè esterna e a una certa distanza da sé, distaccata completamente dal corpo. Poi, più baderà alla nitida pronuncia, più il fiato si concentrerà sulla produzione vocale, e saranno eliminate tutte le "falle" di fiato insonoro.

Se l'allievo sa ascoltarsi, e si applicherà alla pronuncia esterna, arriverà rapidamente anche a percepire la "gola morta", cioè il totale distacco dalla voce, che invece esternamente prenderà sempre più corpo. Quale altro elemento è indispensabile per proseguire su questo percorso? La RILASSATEZZA. Può sembrare una banalità, ma è una condizione difficile (ai tempi nostri) e che richiede molta concentrazione. Se si seguono bene tutti i passi, la voce sembrerà volare, priva di peso, ma estremamente ricca e risonante nell'ambiente. Questo implica che l'udito sia molto sviluppato, e questo richiede tempo e attenzione. 

Ovviamente più si va verso le note acute, più fiato necessiterà. La tentazione di trattenere si farà sempre più forte, e non si vorrà più spendere troppo continuando ad alimentare, e questo potrà causare la rottura della voce, magari su note che fino a poco tempo prima si eseguivano con assoluta facilità. Sì, perché uno degli effetti collaterali è la minor facilità a salire. Ma, ripeto e confermo per esperienza, se ci si affida con fiducia a questo modo di affrontare la vocalità, in poco tempo si otterranno risultati notevoli. 

In particolare, ed eccoci al punto chiave, il fiato privato di ogni ostacolo e "gettato" lontano con distacco, ci darà la sensazione di un'apertura (e di qui l'ampiezza) straordinaria. E' questo che fa paura, perché per la nostra mente risulterà impossibile pensare di salire agli acuti con la sensazione di aprire (confondendo il suono aperto con il canto aperto, che è tutt'altra cosa). 

Un altro problema da affrontare è il "movimento" delle note. Bisogna sempre considerare che ciascuno di noi è guidato dalla mente, che non percepisce l'astrazione e ci spinge a utilizzare i nostri strumenti fisici, cioè muscoli, tendini, cartilagini, ecc. Se già è un problema fare una nota col solo fiato, risultarà poi misterioso comprendere come muovere le varie note di una melodia, oltretutto su sillabe e vocali diverse. Questo perché questi movimenti intervallari non richiedono alcuna azione muscolare, ma esclusivamente un semplice intervento respiratorio, legato al pensiero che sa che nota e che sillaba emettere. 

Vi invito calorosamente a NON provare autonomamente a produrre suoni col fiato, a meno proprio di pochissime note nel centro, ma non insistete se non avete un maestro in grado di seguirvi su questo cammino. Però vi invito a riflettere ed eventualmente a porre osservazioni e domande in merito.

martedì, aprile 01, 2025

ANNUNCIO

 Buongiorno a tutti i lettori di questo blog. 

Ho un importante annuncio da fare. Ho deciso di istituire delle borse di studio. Come prima mossa, ne istituisco due, una legata al campo del canto, cioè dei miei allievi di canto, un'altra la dedico agli allievi di direzione d'orchestra e fenomenologia che seguono i corsi dell'Associazione "Celibidache" italiana, ovvero tra gli allievi del m° Raffaele Napoli.

Attualmente entrambe le borse saranno di 2.500 €. ripetibili fino a tre volte. Non hanno una cadenza preordinata, quindi altre ne potranno sorgere nel tempo.

La borsa servirà per pagare lezioni, trasporti, vitto e alloggio presso i propri maestri di riferimento, ma anche per frequentare corsi, concorsi e lezioni di insegnanti che abbiano avuto l'approvazione dei propri maestri principali. 

Istituisco anche delle borse "minori", cioè la possibilità di cancellare le quote di partecipazione alla scuola.

Naturalmente esiste una lista di criteri a cui attenersi per poterne usufruire. L'assidua partecipazione, la collaborazione, lo stato lavorativo, l'età, la partecipazione positiva a audizioni, concerti, i progressi, la pazienza.

Tra alcuni giorni svelerò il nominativo dell'allievo di canto che riceverà la prima borsa di studio della mia scuola, cui seguirà a breve distanza quella della scuola del m° Napoli. Entrambe con le adeguate motivazioni. Al termine del periodo indicato, dovrà essere consegnata una sintetica relazione con la rendicontazione delle spese sostenute.

Il tecnico della lavatrice

 E' vero che i capaci tecnici (della lavatrice, ma anche del televisore, della caldaia, ecc. ecc.), possono essere dei geni, che arrivano, stringono due viti, sistemano un cavo, sostituiscono una valvolina, e voilà, tutto come prima. Il m° di canto non è quella roba lì! Sa come operare, sa dove operare, conosce i motivi per cui non si canta bene, conosce i principi del buon canto e sa come farti arrivare, al di là dell'ultimo... "km", che è una questione che riguarda solo voi, la vostra consapevolezza, la vostra coscienza. Per il resto è sempre disponibile a dare consigli, sollecitazioni, soluzioni, a spiegare perché dice quello che dice, perché determinate cose non funzionano bene, perché tizio canta bene e voi no... e via dicendo... a lungo.

Il canto, il corpo umano, l'arte... non sono meccanismi, non ci sono meccanicismi. Ci sono auomatismi e abitudini, ma sono tutte da estirpare, per lo meno in campo strettamente vocale. Ripetere una sequenza pensando che si radicherà in noi è sciocco, banale, pensare che così "lo ricorderò" è altrettanto velleitario. Ciò che funziona è la concentrazione, è l'ascolto dei fondamenti del canto da parte del maestro e soprattutto l'ascolto più che concentrato dei suoi esempi. Il m° Antonietti raggiunse il suo stato massimo ascoltando reiterate volte gli esempi che elargiva a tutti i suoi allievi, maschi e femmine, bassi, tenori, soprani e mezzi il suo ultimo insegnante: Giuseppe Giorgi. Il quale i fondamenti non li conosceva, ma aveva un'esperienza e aveva avuto una brava insegnante, la figlia del tenore Domenico Donzelli, di cui ripeteva alcuni consigli. Nel canto non ci sono viti da stringere, bulloni, cavi, ecc., non ci sono manuali da consultare e soprattutto non è pensabile di poter sostituire dei pezzi, se non per gravi motivi di salute, che non sono compatibili col canto. 

Quindi, quando ci si rivolge a un maestro di canto, non chiedetegli "ma come faccio a fare quell'acuto, quella vocale, quella nota senza stonare", e via dicendo. Affidatevi a lui, che sa riconoscere subito i problemi e conosce la strada per portarvi in salvo. Non pensate, non giudicate, soprattutto voi stessi. Lasciate andare e cercate solo di bearvi dei risultati via via migliori. Come disse il m° Celibidache al termine di una preziosa trasmissione televisiva della Svizzera italiana, presente su Youtube ("idee sulla musica"), "non credete a Celibidache, ma realizzate voi stessi". Dovete seguire l'evoluzione della vostra condizione vocale e quindi considerare questi progressi NON come la bravura del m° ad "aggiustarvi" come foste una lavatrice, ma la sua capacità di recepire le VOSTRE qualità e capacità e farvele tirare fuori. Se migliorate e perché in voi ci sono le risorse del miglioramento. Mi permetto di suggerire anche la lettura del libro o di pagine di questo blog (frequentemente). Non l'ho scritto per lasciare una traccia di me, per vantarmi di aver scritto un libro (ne avevo già scritti tre) o altre vanità e narcisismi. L'ho scritto principalmente per i miei allievi e per i possibili allievi e maestri di domani. Molti mi hanno detto "è difficile" (altri non l'hanno detto ma è evidente che lo pensano). La risposta è nel libro stesso: il paragrafo: "evolversi o ripetere". O vi impegnate, vi concentrate e riflettete e vi mettete nelle condizioni di evolvere, oppure state buttando via il vostrto tempo e la vostra vita, e, seguendo un principio buddista, dovrete ripetere (come la bocciatura a scuola) e così via finché non avrete capito che sta in voi questo progresso, non nel maestro, che se avete avuto la fortuna di incontrare; dovrete assimilare da lui tutto il possibile, ma che comunque non è voi, ma la soluzione è in voi, non fuori di voi. Ricordate che l'arte... non serve a niente! Quindi se state cercando con determinazione di cantare non è per ilposto di lavoro, ma perché in voi c'è la fiamma dell'evoluzione. Però la dovete alimentare, se no rischia di spegnersi. 

sabato, marzo 15, 2025

L'altra voce animale

 Ho disquisito a lungo sulla voce animale nell'uomo, sia qui nel blog che sul libro. Non starò a ripetere, invito chi vuole a ritrovare le osservazioni in merito. Ciò che mi accingo a scrivere ora è una particolarità su cui non mi ero soffermato e che non è, però, da sottovalutare.

Ho spiegato che la voce animale o istintiva nell'uomo risponde a diverse esigenze: allertare i propri simili di un pericolo incombente, chiamare aiuto, imporre la propria autorità, offendere, e altre azioni violente e poi: segnalare dolore, segnalare affetto e invocare amore e altre azioni tenere e di piacere. Non ho mai indicato che queste due produzioni comportano diverse modalità di emissione con problematiche diverse, che possiamo sfruttare diversamente in campo canoro. 

La modalità "violenta" comporta sostanzialmente uno sforzo non indifferente da parte degli apparati, con chiusura glottica e sollevamento diaframmatico. Chi la utilizza frequentemente rischia usura e danni. Purtroppo ci sono metodologie di insegnamento che sfruttano questo sistema e che solo in caso di robustissimi fisici possono resistere nel tempo e dar luogo a un canto importante sul piano "tecnico", ma discutibile sul piano espressivo. 

La seconda modalità, quella del dolore intimo e dell'amore, non produce problematiche fisiche. E' un tipo di emissione chiaro, leggero, penetrante, diffusivo. E' quello che viene definito "falsetto" leggero nei maschi e che viene utilizzato dai cosiddetti "controtenori", o sopranisti o contraltisti. Può prodursi mediante un utilizzo più leggero della porzione acuta della voce o mediante il cosiddetto "stop closure" cioè una parzializzazione della corda vocale che la rende di dimensioni analoghe a quelle femminili e quindi utilizzabili in un repertorio analogo. 

A differenza della voce acuta piena, che richiede molto tempo per essere educata similmente alla voce di petto, perché l'istinto la considera uno sforzo, la voce detta di falsetto nei maschi non richiama reazioni importanti e quindi è educabile più facilmente. Naturalmente richiederà comunque un tempo importante per l'educazione respiratoria in grado di renderla artisticamente rilevante.

sabato, marzo 08, 2025

Va dove ti porta il fiato

 Credo sia difficile immaginare la rivoluzione che avviene nel corpo umano quando si raggiunge il vero canto sul fiato. Abbandonare completamente ogni contributo muscolare significa trovarsi con tutto il peso vocale sul fiato, che non essendo (ancora) esercitato a quel consumo, creerà il timore di non riuscire a cantare una frase "normale" senza dover prendere anche più volte fiato. Un vero esborso di fiato che ci pone in un forte imbarazzo. Eppure, se ascoltiamo un vero maestro che abbia conquistato quella condizione, noteremo che invece il fiato dura anche più del normale. Dunque, dobbiamo superare le paure. Le parole chiave sono "alleggerire", "sospirare", "lasciar andare", "rilassare". Occorre debellare ogni spinta, ogni pressione e ogni induzione a tirar su, o a premere in giù. Il fiato deve scorrere, e più si sale verso gli acuti più il fiato dovrà aumentare di portata e di quantità. All'inizio, come ripeto, spaventa, ma è proprio questo iniziale iperconsumo che crea in noi, nella nostra mente, l'esigenza respiratoria vocale artistica che in tempi brevi genererà la condizione sensoria per cui cantare non sarà più considerato un "lusso" saltuario, ma una situazione abitudinaria (ma non totalizzante come quella fisiologica) che non solo riusciremo a gestire con piacevole semplicità, ma che non ci costerà più fatica. Non solo, ma questa corrente aerea costante e priva di interferenze negli apparati, sarà addirittura benefica, salutare. Via ai mal di gola, ai raffreddori e alle tosse. Però si ricordi sempre che questo obiettivo ha un costo elevato di studio, di impegno, di diligenza. Non c'è mai abbastanza concentrazione per curare la dizione maniacalmente, senza premere e mantenendo rilassamento nella gola, nel collo, in tutte le parti della testa. Riposarsi spesso, perché è facile entrare in confusione, non capire più cosa si sta facendo. 

mercoledì, febbraio 26, 2025

Il vero passaggio

 Il vero e unico passaggio è che quello dai suoni sbagliati, ingolati, frenati, nasali, "immascherati", schiacciati, ecc, porta ai suoni giusti, ovvero liberi, fluidi, puri, piacevoli, E ho detto tutto.

mercoledì, febbraio 19, 2025

La non pronuncia

 Ma come? Ci hai massacrato le orecchie a suon di ripetere "pronuncia, pronuncia", "parla, parla", e poi vieni fuori con "non pronunciare"?

Esatto, la pronuncia può essere realizzata fisicamente oppure... no. In realtà non c'è contraddizione; quando parliamo non usiamo quasi mai una pronuncia fisica, muscolare, e deduciamo questo dal fatto che normalmente parlando riusciamo a essere fluidi e a non provare fatica e sforzo. La prima causa di questa facilità consiste nel fatto che il nostro apparato respiratorio, quando parliamo, è tarato su un tipo di emissione estremamente leggero e poco continuativo, cioè esce un po' a intervalli. Come sempre ricordate che sono questioni estremamente soggettive, quindi variano tantissimo da persona a persona. 

In ogni modo, il problema si presenta quando intendiamo cantare, soprattutto con intenzioni artistiche, cioè canto lirico, operistico, classico, che non necessita di un'amplificazione elettrica o elettronica, e ancor di più quando superiamo la prima ottava della nostra estensione. Ripeto per quanti non hanno seguito i dettami di questa scuola, che mentre la prima ottava è un dono della Conoscenza, fissato nel DNA, che ci consente di parlare fluidamente, la seconda ottava è un residuo ancestrale della nostra animalità, quindi è seguito dalla parte più antica della mente, che non la considera una zona per la comunicazione corrente, ma per l'emergenza e per occasioni specifiche e particolari (aiuto, aggressione, dolore...). Ciò produce una spaccatura non solo nelle meccaniche produttrici, ma soprattutto nell'alimentazione respiratoria. Ciò comporta che nella seconda ottava risulta difficile, a volte difficilissimo parlare, perché il corpo interpreta i nostri tentativi di utilizzare vocalmente quella zona in modo espressivo, come uno sforzo e pertanto si genera una chiusura della glottide e un sollevamento del diaframma. L'errore, involontario, che fanno quasi tutti gli insegnanti, è di considerare la seconda ottava alla stregua della prima, da affrontare solo mediante un "passaggio". Un passaggio che, però, porta in una dimensione limitata, infatti la maggior parte dei cantanti in zona acuta ha soverchia difficoltà di pronuncia, tende a gridare, o comunque a cantare molto forte, e avverte notevole fatica. Infatti i danni che si producono agli apparati vocali, si realizzano più frequentemente affrontando la zona acuta. 

Ma torniamo a noi. Nel momento in cui immettiamo nella voce la volontà di cantare, compiamo più frequentemente distorsioni e modificazioni e soprattutto perdiamo quella spontaneità e leggerezza tipica del parlato fluente e tendiamo invece a spingere e cercare ausili muscolari di vario tipo, in base agli insegnamenti ricevuti o alle proprie idee. 

L'idea che la parola sia la chiave del grande canto artistico, che era presente nelle antiche scuole di canto o vocali comunque sia, oggi non sfiora quasi più alcun docente, mentre ha preso prepotentemente piede l'idea di utilizzare i movimenti interni (velopendulo, lingua, faringe, laringe, diaframma, muscolatura addominale dorsale, pelvica, ecc.). Questo fa sì che mentre un tempo tutte le voci riuscivano in tempi ragionevoli a produrre ottimamente gli acuti (lo possiamo vedere nelle cronache musicali ottocentesche sui giornali presenti anche in internet, quando in centinaia di teatri pressoché contemporaneamente si producevano opere di elevato impegno vocale), oggi abbiamo una vera crisi, per cui molte opere devono essere eseguite abbassando la tonalità, e anche con questo pessimo artificio mandare i cantanti incontro a problemi e prestazioni mediocri. 

Quindi, come ripeto, la chiave di volta per arrivare a una vocalità esemplare, è la dizione, la perfetta pronuncia. Peccato però che anche così non basti!! La tendenza istintiva, infatti, ci fa utilizzare prevalentemente la muscolatura, e la propriocezione di ogni vocale ci fa credere che ognuna di esse abbia un punto o zona interna dove "suona", dove si produce. La questione, purtroppo, è drammaticamente sbagliata! Se noi osserviamo il nostro parlato quotidiano, non possiamo fare a meno di notare che la voce suona e si produce esternamente! Questo però avviene in modo spontaneo, come camminare e respirare. Nel momento in cui vorremmo prendere coscienza del fenomeno, sleghiamo le relazioni esistenti e mandiamo tutto all'aria. Quindi, se da un lato è fondamentale eseguire esercizi i più precisi possibili sul parlato, dovremo arrivare a cogliere la verità di esso per poterlo utilizzare anche nel canto a livello espressivo e nel modo più raffinato e sensibile possibile. 

Questo significa mettere in relazione perfetta fiato e parola. Ma nel momento in cui io vi dico che dobbiamo estirpare la componente muscolare dalla pronuncia, per lasciarla unicamente al fiato, voi giustamente domanderete: ma cosa produce la pronuncia, se è esterna? 

La risposta, molto poco tranquillizzante, è che non vi sarà niente di fisico (o quasi) in questo processo. Labbra, lingua, cavità orale e faringea, potranno atteggiarsi a seconda delle vocali che andremo a pronunciare, ma in modo appena avvertibile e secondo impulsi mentali non dominabili volontariamente. Anzi, è proprio il voler "fare" volontariamente che interrompe quella fluidità indispensabile al buon canto, e quindi alla buona pronuncia.

La frase che più frequentemente pronuncio soprattutto con chi è già un po' avanti nello studio, è "lascia andare" o "lasciati andare". Non ci deve essere volontà di pronuncia. Noi dobbiamo "sentirla", viverla come spettatori. Non è un "emettere", un "proiettare", perché questo induce pressioni e spinte, ma come una sorta di magia, allorché le parole, o vocali, o sillabe, nascono davanti a noi e si muovono scivolando, senza impulsi e "botte", solo grazie al consumo di fiato e dove gli apparati si lascino percorrere inerzialmente, senza collaborare, soltanto rilassandosi. 

Dunque la pronuncia non esiste fisicamente, è un prodotto astratto della mente. Non si può chiedere "come faccio a fare quella "A", o "E", ecc. non esiste alcun modo pratico. Devo lasciare che avvenga. Poi naturalmente ci sarà anche una seconda fase: come faccio a intensificare o ridurre l'intensità? Tutto è legato al fiato, alla sua continuità, al suo consumo. Ma anche su questo dobbiamo porre attenzione: non si deve premere sul fiato, lo si deve lasciare fluire. L'unica parte del corpo che noi dobbiamo controllare è il torace. Mediante la postura "nobile", cioè col torace alto e avanzato che non ricade durante il canto, noi faremo sì che il fiato stesso "galleggi", cioè non sia premuto e non prema a sua volta su niente. La leggerezza e la purezza. La magia sarà quando riusciremo, senza volerlo praticamente, a produrre il canto con una perfetta pronuncia che si espanderà davanti a noi occupando tutto lo spazio possibile. E' l'espansione dell'amore, del coinvolgimento degli altri. Non si canta per sé, ma per la felicità condivisa.

Se non vi è chiaro qualcosa, chiedete, ma soprattutto: leggete il libro!

sabato, febbraio 08, 2025

La gola morta

 "Gola morta" è un termine che veniva usato anticamente dagli insegnanti di canto. Ritengo sia un attributo eccellente per caratterizzare lo stato interno degli apparati durante l'emissione. Purtroppo non è così facile da conquistare, ma è ciò che provo e che sento in chi canta esemplarmente quando la voce dà il massimo delle sue possibilità. Tutta la voce risuona esternamente e dentro si ha la sensazione di una incredibile rilassatezza dei tessuti e degli organi, compresa la laringe, il faringe, il velopendulo, la lingua... E' come se non avessero più alcun ruolo attivo, puri testimoni passivi di un evento demandato unicamente al fiato, che andrà a generare il canto nell'acustica esterna. Alleggerire, diminuire, togliere, ecc. sono i termini che devo utilizzare di continuo con gli allievi per far sì che evitino di partecipare e far partecipare il fisico al processo di emissione, al di là delle sole componenti respiratorie. L'atteggiamento o postura "nobile" è l'unica indicazione fisica che può essere consigliata per far sì che il fiato "galleggi", cioè non sia compresso o spinto in nessun mondo. Per il resto... basta la parola (senza riferimento all'antica pubblicità televisiva)! 

martedì, gennaio 07, 2025

Dosare il fiato

 Uno dei problemi che i trattatisti del canto si sono sempre posti, fornendo varie soluzioni, è stato quello del dosaggio del fiato durante l'emissione. I primi grandi e celebri maestri hanno identificato l'origine della forza propulsiva col petto. Mancini, in particolare, ne parla spesso nel suo trattato, Questo avveniva già in precedenza, mentre successivamente il petto ha perso centralità nell'attività respiratoria, mentre è andato assumendo sempre più importanza il diaframma. Nel primo e nel secondo caso, comunque, questo ruolo ha sempre occupato un posto fortemente attivo. Che fosse il petto o che fosse il diaframma, i maestri han sempre ritenuto che l'uno o l'altro dovessero premere, provocare pressione sul fiato, che poi si ripercuotesse sulla voce. 

Una forza esterna al fiato stesso, ovvero ai polmoni, genera una pressione incontrollabile, o comunque difficilmente controllabile, e sempre maggiore rispetto quella effettivamente necessaria. Questa è la causa principale della spinta, che non può che avere ripercussioni negative sulla voce. In particolare questo genera la perniciosa confusione con lo sforzo, cioè quella attività istintiva che si genera quando compiamo determinate attività, fisiologiche (come il parto o la defecazione o il semplice riacquistare la posizione eretta quando ci si piega in avanti, specie se sollevando un peso) o lavorative. 

Petto e diaframma non è che non abbiano un ruolo, ma... passivo! Passato un certo periodo di tempo dall'inizio della disciplina, quindi superate le reazioni istintive più violente, quando è consigliabile utilizzare una respirazione diaframmatica leggera, si potrà integrare quel tipo di respirazione con una costale, che significa sostanzialmente aprire le costole e tenere il torace alto e avanzato, omde permettere la massima espansione polmonare, sostenendolo con la muscolatura toracica, ma senza farlo richiudere, il che significa che non ci sarà pressione sul fiato stesso, il quale "galleggerà". Ciò che servirà al fiato per avere la giusta dose di energia, è il polmone stesso, che è dotato di una elasticità sufficiente al bisogno. Perché il suo apporto sia efficace, è necessario che la respirazione avvenga orizzontalmente, cioè tra le due ascelle. Questo comporta una dilatazione del polmone (e del suo involucro), che subito dopo vorrà riprendere le dimensioni iniziali, fornendo una modesta pressione sull'aria, senza le forze squilibrate dell'intera cassa toracica. Quanto al diaframma, come ho spiegato più volte, è importante che non abbia movimenti istintivi repentini. Esso ha un moto regolare che permette ai polmoni, appoggiati su di esso, di mantenere un ampio contatto e di fondare su di esso un efficace appoggio, che non deve essere aumentato, a costo di reazioni molto controproducenti.