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domenica, dicembre 29, 2024

Amore e pallottole

 Tosca. I personaggi e l contrasti.

Affinché una storia abbia una vita, deve contenere contrasti, a diversi livelli.

Cominciamo da Mario Cavarodossi. Primo elemento di contrasto: egli è un artista, non sappiamo quanto importante, ma il fatto che esegua un affresco in una importante chiesa romana, ci fa pensare che sia di elevata qualità. Ordunque egli è anche un "volterriano", cioè un seguace delle idee di Voltaire, quindi teso al regime repubblicano e democratico, in netto contrasto con quello aristocratico e anche quello papale. Vive questo contrasto perché deve fare soldi, e sappiamo che anche gli esponenti religiosi mal lo sopportano (persino il sagrestano!), ma lo accettano in virtù delle sue opere. 

Tosca è anch'essa un'artista, una cantattrice, e anch'essa di valore, ma apprezzata sotto tutti i punti di vista in quanto profondamente religiosa, potremmo dire persino bigotta. Il contrasto sta con Cavarodossi che è di idee opposte, ma il sentimento affettivo vince il contrasto. Però ce n'è un'altro che risulterà fatale: la gelosia.

Questi due personaggi potrebbero vivere, comunque, il loro amore senza problemi, se non capitasse inaspettatamente e sfortunatamente, all'improvviso sul loro cammino un evaso, Angelotti, "console della spenta Repubblica Romana", che si rifugia nella chiesa dove lavora Cavarossi, che naturalmente lo aiuterà a nascondersi, essendo della stessa fede politica. 

I contrasti elencati sono basilari per la storia, perché saranno la leva utilizzata dalla polizia per arrivare ad acciuffare, morto, l'evaso. 

Il barone Scarpia, capo della polizia, è notoriamente un essere abbietto, pure lui bigotto, che ha come obiettivo poter possedere belle donne (nel caso presente Tosca), facendo giochi sporchi pur di arrivare alla sua meta, e contando sul potere che possiede, che però dipende sempre dai risultati di tipo politico, per cui potrebbe perderlo se non riprende Angelotti. Come entra in chiesa e raccoglie i primi indizi, nella sua mente prende forma un ingegnoso piano per raggiungere tutti i suoi traguardi, riprendere Angelotti, possedere Tosca e mettere fuori gioco Cavaradossi. E riesce, fino a un certo punto, sfruttando i contrasti, in particolare la gelosia di Tosca e il suo amore fortissimo per il pittore. Infatti sfruttando il dipinto della Vergine con gli occhi azzurri, insinua nella mente della cantante che egli sia amante dell'Attavanti, sorella di Angelotti, che giorni prima aveva deposto un travestimento nella chiesa, per aiutare la fuga del fratello e in quel momento raffigurata da Cavarodossi nel dipinto. Infatti i collaboratori di Scarpia colgono Tosca e Mario nella villa poco distante, ma non trovano l'evaso.

Poco importa, ha ancora frecce al suo arco. Puntando sull'amore dei due artisti, mettendo alla tortura l'amante, giunge a farle rivelare a Tosca il nascondiglio del Console, che per non farsi catturare si toglie la vita. Dopodiché vuol barattare la vita dell'amante con un ora d'amore (diciamo così), che lei è costretta ad accettare. A questo punto Sardou compie il grande contrasto in qualche modo risolutivo. Ciò che Scarpia, che si crede invincibile, non può neanche lontanamente immaginare, è che nonostante la profonda fede religiosa e la delicatezza della sua arte, ella in fondo, grazie anche al suo amore per Mario, possa arrivare ad uccidere, anche spietatamente. E questo succede, e Scarpia, che sulla carta doveva essere il vincitore assoluto, perde. Purtroppo in questa storia perdono tutti, perché nel piano ingegnoso del barone, non c'era la salvezza per Mario, quindi la finta fucilazione promessa, era solo un inganno, e quindi riceverà la scarica di pallottole proprio di fronte alla donna amata, che a questo punto non potrà che togliersi la vita teatralmente, buttandosi da Castel Sant'Angelo. 

domenica, ottobre 20, 2024

L'A sguaiata e l'oscuramento

 Stavo ascoltando un vecchio filmato di Luciano Pavarotti che spiega ed esemplifica che facendo una A e portandola verso gli acuti, diventa sguaiata (cosiddetto suono aperto), sicché la rifà facendo un leggero oscuramento, per cui quella A non diventa più sguaiata. Però, aggiungo io, non è neanche più A, ovvero perde brillantezza, armonici, verità. Gli acuti di diversi cantanti del passato (ad es. Tamagno), erano veri, e piacevoli. Dunque? 

La verità sta in quanto ho scritto più e più volte! Se la vocale nasce internamente nelle frequenze centrali, man mano che viene spostata verso l'acuto, tende a verticalizzarsi e a portarsi verso il grido, Oscurandola, si porta più verso la parte anteriore del palato, diventando più morbida. Ma se la A, come qualunque altra vocale, nasce esternamente, quindi alimentata dalla giusta respirazione, non ha alcuna necessità di oscuramento, resta omogenea su tutte le frequenze (canto aperto). 

Detto così può sembrare piuttosto semplice e rapido, ma purtroppo così non è! Far nascere la vocale esternamente può essere abbastanza semplice, perché il nostro parlato si genera già in quella posizione, ma quando lo si intona, già i riferimenti vengono persi, anche perché psicologicamente si vuole "cantare", cioè creare un timbro e un volume considerevoli, e questo porta a modificarlo e gonfiarlo. Se anche si riesce a mantenerle corrette nel centro, diventa sempre più difficile farlo in zona acuta, anche perché richiede una
qualità respiratoria molto evoluta, che richiede molto tempo per essere raggiunta. 

domenica, settembre 08, 2024

Non cantar con la bocca

 C'è una questione fondamentale nel canto. In tanti sostengono che si canti con il fiato, ma ben pochi credo dicano che non si canta con la bocca. Però bisogna spiegare. Anche quando si comincia a cantare bene, quindi e tutto il processo avanza verso l'esterno e si tolgono gli ostacoli interni, ne resta ancora uno, cioè la bocca, con cui molti credono di pronunciare correttamente. Bisogna invece considerare che la pronuncia esterna e perfetta è una proiezione mentale, senza quasi alcun apporto fisico. Allora ad esempio dire una bella A aprendo molto la bocca, che può essere necessario durante i primi periodi di studio, a un certo punto diventa invece controproducente. La mandibola può offrire un ostacolo notevole allo scorrimento del fiato e addirittura un punto di appoggio al sollevamento del diaframma, impedendo la corretta articolazione. Il cantante deve arrivare a cantare con la stessa semplicità con cui si parla, quindi con movimenti minimali della bocca. Quando si prova le prime volte a non aprire molto, si ha la tendenza a irrigidire, quindi dobbiamo renderci conto che implicitamente stiamo schiacciando verso il basso, impedendo di fatto la fluidità aerea. Dobbiamo lasciare che il fiato scorra e investa la parte alta della cavità. Il fiato non deve essere in alcun modo guidato o indirizzato, perché di fatto non è possibile, quindi ciò che ci dà questa impressione è la tensione faringea che modifica l'anatomia del "tubo" e quindi della colonna d'aria.Dobbiamo ascoltarci esternamente e non "fare" materialmente la pronuncia con muscoli e ossa, ma lasciare che sia la mente a formulare i fonemi, con minime e inavvertiti movimenti delle labbra e di qualche muscolo, solo a scopo di creare la forma corretta. Non dobbiamo presuntuosamente pensare di insegnare a cantare, o, peggio, pronunciare al nostro corpo. Lo sa benissimo, molto meglio di quanto riteniamo. Dunque lasciamo che sia lui a farlo, senza interferire. Leggerezza e rilassamento sono le parole d'ordine.

giovedì, agosto 29, 2024

"Che di’, questa testa?..."

 Molti cantanti, e sopratutto allievi, hanno la tendenza, specie quando si avvicinano alla zona acuta, di piegare la testa. I tenori hanno le tendenza a piegarla all'indietro, quindi come se guardassero in alto, mentre vedo spesso le donne che tendono a piegarla in avanti. E' una questione che in passato veniva affrontata anche in maniera assai discutibile. Forse non tutti sanno che in un tempo nemmeno tanto remoto, inizio 900 e poi 800, alcuni (pessimi) insegnanti facevano uso di alcuni strumenti che potremmo far rientrare tra quelli di tortura (mi pare che siano anche esposti in qualche museo), tipo l'abbassalingua, ma anche uno strano aggeggio simile a un misuratore di altezza che con la sua asticella superiore aveva lo scopo di far abbassare la testa a coloro che avevano la tendenza ad alzarla. Veniva considerato uno strumento per migliorare gli acuti. La situazione paradossale è che quando la media qualitativa del canto era enormemente superiore a quella odierna, c'erano anche situazioni pessime nell'ambito dell'insegnamento. Pensate che parrucchieri, truccatori e altri artigiani teatrali, si improvvisavano maestri di canto perché erano stati a lungo a contatto con grandi cantanti, di cui facevano nomi e cognomi, e con cui avevano instaurato lunghe chiacchierate. Allora ritenevano di aver colto i loro "segreti" e di poterli applicare ai giovani aspiranti cantanti. 

Tornando all'argomento, come ho già scritto in passato e come ho anche descritto nel libro, la fisicità è sempre in agguato e occorre riconoscerla e affrontarla. L'aumento di pressione del fiato quando si va verso gli acuti, porta la colonna d'aria, che istintivamente è piegata a L, seguendo la piegatura del palato, a cercare di raddrizzarsi e puntare verso l'apice della calotta cranica. Questo fatto, che molti insegnanti e trattatisti ritengono positivo, è invece da scongiurare, perché non solo la voce va indietro, ma perde appoggio, in quanto il punto di riflessione sul palato alveolare, dietro ai denti anteriori superiori, diventa un "puntello" della colonna d'aria che in questo modo frenerà la tendenza a sollevarsi. In più, ricordiamo che quel punto è anche fondamentale per l'amplificazione, perché l'osso mandibolare si comporta come il ponticello di uno strumento a corde, cioè trasmette la vibrazione alla parte superiore del cranio, confutando quindi quelle assurde teorie secondo cui per aumentare l'amplificazione occorrerebbe far passare la voce dal palato posteriore, dove invece proprio la sollecitazione a sollevare il velo pendulo impedisce quel transito, senza contare la montagna di effetti secondari sulla qualità della voce. 

Quindi, sollevare la testa, che ha origine, soprattutto nei tenori e ancor più nei contraltini, nel fatto che la laringe è molto alta, e può dare un senso di fastidio all'attaccatura tra collo e mento, può avere ripercussioni negative nel fatto che la colonna d'aria perde il punto di appoggio anteriore e quindi perde squillo e pienezza. Quindi l'insegnante deve sempre insistere affinché la testa stia posizionata normalmente, senza alzarsi o abbassarsi. Nelle donne, che hanno una maggior tendenza a inclicarla in avanti, il difetto può essere indotto dagli insegnanti, che con la storia della maschera, insistono per far "girare" (mio dio) il suono dietro e portarlo poi (sì, bona notte) verso la maschera. Il problema, come dicevo, è che in questo modo si perde appoggio e amplificazione. In entrambi i casi, poi, si perde anche dizione, perché il sistema articolatorio non può più funzionare correttamente. Quindi rispondiamo alla domanda del titolo come fa Rigoletto: "è ben naturale che far di tal testa": tenetela "normale", guardate in avanti. Se l'allievo prova fastidio nella posizione alta della laringe, deve solo rilassare.

lunedì, agosto 12, 2024

Uomo o animale?

 Si può cantare in quanto animali, certamente con un buon grado evolutivo, oppure come uomini dotati di un più o meno ampio bagaglio spirituale. La maggior parte dei cantanti odierni e della maggior parte degli insegnanti di canto, perlomeno per quanto osservo, si riferisce al primo modo, cioè considerando gli apparati così come sono in natura. Ma questo non può diventare un canto d'arte, nemmeno se il soggetto è un fenomeno privilegiato. Mi si fa notare che un tenore abbastanza celebre posta spesso dei brevi video in cui propone un suo metodo, che purtroppo è zeppo di errori molto gravi. Lui considera la laringe una valvola, e ha perfettamente ragione (purtroppo tantissimi insegnanti questo non lo sanno e non lo considerano), peccato però che il suo uso in questo modo sia antivocale. Se si vuol fare un canto di qualità, noi dobbiamo far superare alla laringe questa condizione esistenziale e farla diventare, mi pare ovvio, uno strumento musicale. Nel momento in cui assolve la funzione valvolare, si crea un blocco, ovvero un'apnea, come si può facilmente notare dal video. Altro errore: lui dice che le vocali si formano nella laringe. Per dimostrarlo mostra un breve spezzone video della Olivero che chiude una frase della traviata. Intanto farei notare che la voce della Olivero è cinque o sei milioni di anni luce più avanti della sua, il che già la dice lunga. Secondo lui il fatto che la Olivero non modifichi in modo evidente la forma delle labbra è un segno che la vocale viene fatta con la laringe. Allora, mi piacerebbe vedere lui eseguire tutte le vocali correttamente senza muovere le labbra. E' vero che ci sono persone che riescono a parlare muovendo quasi indistintamente le labbra, ma è il faringe, grazie alla sua elasticità e plasticità che riesce nell'intento, per quanto assolutamente non adeguato a un canto, nemmeno di bassa qualità. La laringe può solo emettere suoni "anonimi", cioè privi di una qualificazione semantica. Oltre ai ventricoli del Morgagni, è poi il tratto compreso tra le false corde e il velopendulo che origina un COLORE, chiaro o scuro o variamente sfumato, in base alle esigenze foniche. Dopodiché tutto il complesso apparato articolatorio, composto da lingua, labbra, velopendulo, faringe, mandibola, cioè tutto l'insieme mobile della cavità orale, modellerà la risonanza e produrrà i fonemi. Non entro nei particolari, comunque la sostanza è questa, e pensare che le corde vocali e la laringe abbiano a che fare con la pronuncia, è pura follia. Noi parliamo e siamo in grado di pronunciare con varie gradazioni qualitative fondamentalmente grazie alla nostra spiritualità, che ci ha donato l'uso della parola e che è entrata, ad un livello modesto, nella nostra natura. Ad un basso livello perché richiede energia, e quindi, facendone un uso molto intenso, sarebbe folle consumare molto. Il canto artistico, essendo di utilità specifica nei momenti in cui si utilizza per scopi superiori, può anche consumare più energia, però occorre una lunga disciplina per far sì che il corpo si metta nella condizione di sostenere questo lavoro, alla cui base deve esserci una forte esigenza che posso definire esistenziale, cioè talmente potente da convincere la mente ad accettarlo. Non si tratta di una esigenza di volontà, ma interiore, cioè che proviene dalla Conoscenza stessa che ha riconosciuto in un essere umano la forma e le condizioni per poter raggiungere quello straordinario risultato conoscitivo. Per concludere il commento sui video di cui sopra, aggiungo che questo cantante dice, alla fine, che si canta "sul fiato" e non "col fiato". A parte che si deve per forza cantare col fiato, se no la voce non potrebbe prodursi, è lapalissiano, ma il problema grave del suo metodo è che la voce non è per niente sul fiato (è palesemente ingolata), ma poggia propriamente dove lui indirizza tutto, cioè sulla laringe. Altro che diaframma (che tra l'altro non si capisce esattamente dove sarebbe, secondo lui, così come non si capisce bene dove starebbe il fiato). 

lunedì, agosto 05, 2024

Parola d'arte

 L'umanità ha potuto avvalersi di un raro dono da parte dello spirito: la parola. Un dono che a buon diritto possiamo chiamare artistico. Toccò in sorte molto probabilmente solo a una quantità ristretta di ominidi, che però grazie a questa dote ebbero la meglio su altre specie, che si estinsero, mentre sempre più esemplari nascevano con questa abilità, che si fissò definivamente nel DNA. La parola, che si realtzzò solo a seguito della postura su due gambe e sulla modificazione rilevante del cranio e degli apparati respiratorio e digerente con la discesa della laringe sopra la trachea (precedentemente, come nei neonati, si trovava nella zona del velopendulo), è una particolare qualificazione non del suono prodotto dalle corde vocali, ma della risonanza, cioè dell'eco del suono negli spazi oro-faringei. Qualcuno la definisce una materializzazione del pensiero, ma non mi trova molto d'accordo. Non c'è, infatti, alcunché di materiale. Il pensiero plasma, modella in modo incorporeo; ci sono appena piccoli movimenti anatomici per incanalare e dare la giusta forma alla cavità che dovrà fornire la risonanza adatta a quanto si vuole dire. 

Dunque l'uomo conserva in sé il dono artistico della parola, passando così nel regno della Natura. L'attributo artistico si riconosce nell'unitarietà che si realizza tra fiato, laringe e apparato articolatorio-amplificante. Peraltro, ovviamente, tale prerogativa diffusa su tutta l'umanità, non poteva non avere dei limiti, anche notevoli, per cui si è attestata su una intensità e una estensione legata alle necessità, piuttosto modeste, anche se, in quanto espressione d'arte, in rari casi può manifestarsi a livelli molto elevati, che però il soggetto può perdere se non lo porta a coscienza. 

La parola posso definirla come uno "stargate", cioè un portale che può farci transitare verso il regno della completa vocalità canora. Essendo essa un attributo artistico, ci mostra la strada, le condizioni per far diventare espressione artistica tutta la voce soggettivamente presente in ciascuno di noi. Grazie alla parola già in nostro possesso, esercitandola affinché dia sempre il meglio di sé su ogni semitono, genererà la respirazione idonea a sostenerla per tutta la gamma. Naturalmente sotto la guida di un maestro che sappia riconoscere il più piccolo errore, la più lieve carenza e rimettere l'allievo sui giusti binari e sensibilizzarne l'udito affinché la sua coscienza si arricchisca   

giovedì, luglio 11, 2024

Gli acuti sulla punta

 Man mano che si sale verso le note più acute, qualunque sia la classe vocale, bisogna considerare che la massa di corda vibrante è sempre più piccola, per cui chi canta deve considerare di parzializzare anche l'ampiezza cessaria alla produzione della voce. Per dare una immagine simbolica, è come se, nell'ultima quinta, noi cantassimo con una massa corrispondente a "un dito", poi, man mano che si sale, si passa a 2 falangi poi una falange, poi l'unghia ed eventualmente a tratti sempre più piccoli di unghia. "Cantar sulla punta" è una frase che si diceva una volta, e che ritengo molto valida. In genere chi canta vuol avere una portata sempre più ampia, ma in questo modo produce un'energia che investe senza criterio la laringe e impedisce la purezza e la la giusta sonorità per generare, oltre che suoni, rumori e impurità che affaticano la laringe e impediscono la corretta emissione.

mercoledì, luglio 03, 2024

sillabe e allungamento delle vocali

 Un problema che mi trovo frequentemente ad affrontare con gli allievi, riguarda l'allungamrnto delle vocali, che il più delle volte si traduce in spinta e schiacciamento. E' in fondo il problema originario del canto. Anticamente i maestri descrivevamo il canto come un prolungamento delle vocali. Questo sarebbe corretto se non consistesse, come spesso è, nello spingere, nel premere ogni vocale verso la successiva.

Non si tiene, invece, conto dell'importanza della pronuncia della sillaba. Questo, come al solito, fa capo all'ego, ovvero a quella presunzione di ognuno di dettare le regole, quindi di non affidarsi alle propria creatività e capacità spirituale di saper fare le cose senza mettersi in mezzo. Ma, ancora una volta, non soffermandosi a studiare con attenzione ciò che già sappiamo fare per indole naturale, cioè parlare. 

Quando parliamo non schiacciamo, non spingiamo, ma emettiamo sillabe unendole con leggerezza. Se dico "quando parlo", in realtà pronuncio "QUAN-do par-lo". Qui avrei bisogno di utilizzare diverse gradazioni di misura per i caratteri per farmi capire meglio. "Quà" ha un accento tonico, quindi è logico che la maggior energia insista su questa sillaba. A meno che io non sia arrabbiato, e quindi dia accenti su ogni parola, e su ogni sillaba, si noterà facilmente che neanche su "par" ci sarà un accento altrettanto forte, anche se è logico che su "lo" ce ne sarà ancora meno. Quindi, volendo esprimermi con una numerazione, io potrei indicare per le quattro sillabe: 5-3-4-2. Se facessi cantare in una zona medio-alta, su un'unica nota, queste parole, il forte rischio sarebbe di sentire un 8 continuo. Cioè non viene quasi mai in mente di riferirsi alla stessa logica del parlato, e quindi di togliere energia sulle sillabe meno importanti. Quando dico meno importanti non voglio affatto togliere validità a quella sillaba, ma dare il giusto peso COMUNICATIVO: Il fatto che le parole siano divise in sillabe che solo su una ci sia un accento, è fondamentale alla comprensibilità e quindi alla correttezza comunicativa (articolazione). Se mettessimo accenti su tutte le sillabe dopo un po' saremmo fortemente infastiditi e non seguiremmo più. Ma ancor prima, il problema sta nel non cogliere il fatto che la parola è composta, articolata. Si considera sempre troppo il canto come legato al mondo dei suoni, per cui se noi vediamo quattro note uguali, tendiamo a uniformare, quindi a pronunciare la parola come un unico suono, ed escludiamo la corretta pronuncia delle sillabe e i diversi valori dinamici. Si può obiettare che si rischia la suddivisione e quindi uno spezzettamento delle parole e delle frasi, il che succede. Ma se succede è perché ci manca la consapevolezza dei giusti valori, cioè non riusciamo a trasportare nel canto la stessa discorsività che usiamo abitualmente nel parlato. In alcuni casi, ad es. gli articoli, invece ci può essere un legame: "inqué-sta-RE-ggia" dove la scansione numerica potrebbe essere: 13-2-5-3.(da "in" a "que" ci vuole un aumento di intensità, perché su "que" c'è l'accento, mentra occorre diminuire su "sta"). La domanda però potrebbe essere: ma il legato come si relaziona con questo discorso? Certo, può essere un po' più difficile mantenere il collegamento tra le sillabe pur dando rilievo alle singole sillabe con il giusto peso. Ma è ciò che possiamo fare, e magari facciamo, parlando, e che assolutamente possiamo fare nel canto di qualità. E' un esercizio fondamentale! Il mio consiglio è che quando volete studiare perfettamente un'aria, se non addirittura un'intera opera, vi mettiate con santa pazienza e una matita a mettere sotto ogni sillaba il numero che ritenete opportuno ai fini della dinamica. Fatelo parlando, e poi riproducetelo nel canto.

mercoledì, giugno 12, 2024

La sopresa... svelata!

 Cari amici, è giunto il momento in cui svelo la sopresa. E' stato pubblicato il mio libro "la voce svelata" a cura dell'ottima casa editrice Zecchini di Varese, specializzata in opere musicali e che ringrazio sentitamente per aver apprezzato il mio lavoro e degno di pubblicazione. E' una grande gioia, il coronamento di un lavoro durato molti anni, grazie anche all'attività di questo blog, per cui siete un po' tutti coinvolti. Il libro è disponibile subito sul sito della casa editrice e anche su alcune piattaforme librarie on line. E' già anche disponibile su Amazon.  Un caro saluto a tutti, chi avrà la voglia e il tempo di leggerlo (sono quasi 400 pagine!), mi farà piacere se vorrà commentarlo, anche negativamente. Grazie.

https://www.zecchini.com/la-voce-svelata-trattato-orientativo



domenica, giugno 09, 2024

Gala Trinchetto

Non resisto all'impulso di dire la mia sul Gala andato in scena all'Arena di Verona in mondovisione il 7 giugno. Non lo faccio sui social e nemmeno su gruppi in cui sono iscritto, per evitare una guerra. E' più che sufficiente quella in corso. 

Dunque, non perdo tempo e dico subito che per me è stato uno spettacolo di bassa qualità, al limite del penoso. Bassa qualità, supportato da spese alquanto ingenti, che potevano essere impiegate in modo molto ma molto più intelligente ed efficace.

Cominciamo dall'inizio. Prima parte, repertorio lirico-sinfonico diretto da Riccardo Muti con orchestra e cori giganteschi, presi da teatri di tutt'Italia. Scelta, diciamo così, politica, ma artisticamente molto discutibile, perché mettere insieme soprattutto in orchestra musicisti di diversa esperienza senza un adeguato periodo di affiatamento, significa fare un minestrone; i singoli cibi (diciamo le prime parti) possono essere di notevole caratura (ho apprezzato molto i legni, molto meno le altre parti) ma l'insieme orchestrale può venire piuttosto eterogeneo e non di rado impreciso. Cosa che è accaduta spesso, anche perché molti non avranno avuto esperienza di suonare su un palcoscenico anomalo come quello dell'Arena, oltretutto non soppiamo con quale amplificazione. Il coro, essendo una massa più uniforme, ha risentito meno dei problemi, anche se qua e là l'insieme con l'orchestra non c'è stato e qualche problemino di intonazione è parso affiorare. 

Veniamo all'attore principale, il direttore. Comincio col dire che l'ho trovato alquanto appesantito, imbolsito. Da poco tempo noto anche un cambiamento nella gestualità, più contenuta ma anche più vaga e imprecisa. Infatti ritengo siano da addebitarsi ai suoi "non" attacchi molte imprecisioni negli attacchi. Viceversa mi chiedo dove abbiano reperito gli ottoni per l'inizio del Prologo del Mefistofele che l'hanno piuttosto massacrato! Tra l'altro non ho capito la scelta stessa di questo brano senza il protagonista e senza il coro di bambini. In ogni modo, l'apice della modesta prestazione del Maesctro è stato il teatrino finale col microfono. Spero che sia stata una sua improvvisata che nessuno è stato in grado di fermare in tempo. Dopo poche parole già mi venivano alle labbra le parole di Scarpia nel II atto della Tosca "Ma fatelo tacere!", Lascio stare tutta la retorica, ma forse non si è ben reso conto di dove stava. Uno dei problemi che lui ha evidenziato, cioè il fatto che l'opera, specie all'estero, viene trattata con sufficienza ed eseguita con scarsa attenzione, proprio in questa sera ha trovato ampia conferma, come scriverò in seguito. Muti vuol anche fare il simpatico, fa le risatine, e finisce con una battuta che nessuno ha capito, cioè che il problema è il direttore d'orchestra. Avrei altro da dire, ma su questa parte la chiudo qui.

Seconda parte con i solisti. A concerto finito chiedo: perché alcuni cantanti hanno usufruito di qualche sparuta scenografia, costumi, comprimari di supporto, ballerini, e altri invece hanno cantato "da concerto" in frac? Non si sa. Ma veniamo a quesiti ben più pesanti, e che avrei voluto che commentasse il m° Muti. Perché Casta diva e Una furtiva lagrima sono iniziate dal canto, senza l'introduzione? Troppo lunghe, bene, non si fanno, ma tagliare è un'operazione da teatrino di provincia, non da gala con tanto di Presidente della Repubblica e alte personslità presenti per un'onoreficenza di livello mondiale. Ma l'interrogativo può essere più ampio. Questi gala vogliono mettersi in competizione con concerti tipo Capodanno a Vienna. Ma... stiamo scherzando? cioè vogliamo ridurre l'opera italiana al livello dei Valzer di Strauss e di altri (talvolta anonimi) valzeristi? Non è che voglio sminuirli, anzi, ne ho altissima stima, ma sono brani di pochi minuti, che vengono eseguiti da una delle più grandi orchestre del mondo. Ma vogliamo mettere cosa sia un melodramma di diverse ore di durata, basato su un libretto, che poi richiede un apparato musicale e scenico alquanto complesso. E noi riduciamo tutto a una decina di brani, sempre gli stessi, ormai stereotipati ed eseguiti con il tran tran routiniere anch'esso della più vieta conformazione. Anche su questo chiudo per non allungare troppo.

Veniamo al canto. Non conosco tutti i cantanti, ma quasi. Purtroppo non si poteva iniziare peggio. Credo sia nota la mia allergia per Kaufmann. Il suo livello di ingolamento mi è intollerabile, che si nota anche chiudendo l'audio. Che smorfie! Basta. Altrettanto intollerabile è parso Nicola Alaimo, che bercia Figaro in modo intollerabile, anche se, incredibilmente, qua e là, alleggerendo, lascia trasparire che una voce corretta potrebbe presentarla. In ogni modo anche l'esecuzione risente della peggiore tradizione, rozza e approssimativa. Purtroppo molti cantanti della serata hanno manifestato evidenti problemi di intonazione e solfeggio. Piuttosto bene la Feola in Liù, anche se l'avrei preferita in altro repertorio. Benino Florez nel Rodolfo, scelta forse legata all'anno pucciniano, ma che non è nelle sue corde. Salsi non mi piace perché non ha alcuno stile e presenta anche problemi sugli acuti. Non ho potuto apprezzare il mezzosoprano della Carmen, con la voce eternamente vibrante, il tenore del Vesti la giubba, rozzissimo e urlante, il soprano dei Capuleti e Montecchi (Sicilia, mi pare), con la voce indietrssimo e del Babbino caro. Ritengo valido il tenore della Pira (anche qui: ma che scelta è di fare una cabaletta senza l'aria e senza il soprano di supporto?) con una buona vocalità in zona acuta (il primo Do era splendido). Meli ha scelto l'aria di Nemorino per starsene tranquillo, visto che l'oscillazione in zona acuta è piuttosto manifesta. In ogni modo i problemi, anche notevoli, non sono mancati. La Pratt in casta diva l'ho trovata piuttosto esangue, poco carica, ma la ritengo un'aria non per lei. Più che pessimo il basso che si è esibito in Vecchia zimarra. Beh, Grigolo in Nessun dorma e nel brindisi della Traviata, ha manifestato ampiamente la sua accesa gestualità e l'impeto, ma certo non le qualità di un buon tenore. Alcuni ritengono Tezier un grande baritono. Sono rimasto molto male al suo "Nemico della potrio". Esecuzione esecrabile. Per fortuna c'è stato Bolle a salvare un po' la serata, peccato che c'entrasse poco con l'opera lirica. Mi sono sfogato!

venerdì, maggio 17, 2024

Le dualità

 (ancora un po' di pazienza)

In fondo basta fare qualche semplice osservazione per capire molte cose sulla voce:

nel tempo si sono radicati due approcci respiratori, diaframmatico e costale;

si osservano due registri, petto e falsetto-testa;

due meccaniche produttrici, intrinseca ed estrinseca.

Per fortuna abbiamo due corde vocali che, salvo patologie, lavorano sempre come una cosa sola.

Ma c'è un'altra condizione meravigliosa: fiato, laringe e sistema articolatorio-amplificante, quando parliamo lavorano anch'essi come una cosa sola!!

Dunque, si tratta di UNIFICARE! Il che non significa inventare dei sistemi e dei trucchi per rendere unificato ciò che separato, ma di seguire le condizioni già esistenti per mantenere l'unità. Se nel parlato gli apparati lavorano unitariamente, basta proseguire anche nel canto con la stessa modalità. 

La divisione dei registri e delle meccaniche è invece dovuta a una carenza respiratoria. Siccome il canto si allontana dalle necessità esistenziali, la mente riduce la portata al minimo necessario. Esercitando fiato&voce (non separatamente!), sempre sul parlato e non solo con vocalizzi, che non possono essere compresi dalla mente, perché mancano di motivazione e contestualizzazione, la respirazione si porrà nella condizione di svilupparsi per seguire la nostra esigenza. In questo modo si produrrà una evoluzione del sistema capace di permetterci un parlato, anche intonato, su tutta la gamma propria del soggetto.

Respirare coinvolge sempre e solo gli stessi apparati, quindi è assurdo che si parli di due respirazioni. Però è vero che apparentemente si possano sostenere due atteggiamenti respiratori differenti, ma occorre realizzare che uno è l'integrazione dell'altro (quindi, in definitiva, solo uno). L'atteggiamento "diaframmatico" è quello più naturale e rilassato, e quindi ottimale per i primi tempi di studio. L'atteggiamento costale è quello più vantaggioso per il canto professionale, ma richiede che si sia superato il periodo delle reazioni del corpo. Successivamente si può raggiungere un tipo di respirazione che definiamo "galleggiante", decisamente artistico. 

Quindi la riflessione, la meditazione e l'ambito della ricerca relativa alle soluzioni per superare le difficoltà del canto, consistono sempre nell'individuazione del perché determinate funzioni sono separate, duali o più, e quali soluzioni si possono adottare per UNIFICARE ciò che non lo è.  

domenica, maggio 05, 2024

La stratificazione

 Per quanto riguarda la "sorpresa", ancora un pochina di pazienza...

Il tema che tratteggio oggi riguarda i registri. La descrizione e la percezione che si ha normalmente dei registri, è quella di una giustapposizione di meccaniche. Prima, in basso, un registro (che abitualmente chiamiamo petto) seguito da un secondo registro (che suol chiamarsi falsetto o testa), e che qualcuno fa anche seguire da un terzo registro (testa). La ricerca e lo studio portati avanti dal M° Antonietti, poi da me, hanno evidenziato che i registri esistono e sono un'esigenza istintiva. La scuola d'arte può annullare questa esigenza esistenziale comune e unificare le meccaniche. Questa sarà anche la percezione che si proverà. Però c'è un periodo intermedio in cui si sentiranno ancora delle differenze e questo può creare dubbi e incertezze. Non posso entrare nei particolari di questa situazione, che può solo essere affrontata dal vivo, però un piccolo consiglio mi sento di poterlo suggerire. Bisogna "ruotare" la sensazione. Cioè non ritenere più i registri come  una successione o giustapposizione, ma come una stratificazione. Vale a dire che il registro più leggero, il falsetto, come lo strato (o la "fetta") più alto/a. La corda vibra interamente, ma lo strato più sottile e superiore, più di quelli sottostanti. Con l'aumento o la diminuzione di energia, si andranno a coinvolgere o meno gli strati inferiori. Questo per dire, anche, che quando il respiro funziona artisticamente, non ci sono passaggi, e non ci sono registri esclusi, ma sempre tutti coinvolti, ma con gradazione.

mercoledì, aprile 17, 2024

Sorprese...

 Buongiorno a tutti. Abbiate pazienza se ho scritto poco negli ultimi mesi, ma sono stato parecchio impegnato in qualcosa che vedrete presto! Ancora un mese o poco più e ci sarà una grossa sorpresa. Continuate a seguire!!


lunedì, marzo 25, 2024

A cosa servono i vocalizzi?

 Come credo sia noto, questa scuola utilizza come esercizio prioritariamente il parlato. Quale deve essere lo scopo dell'esercizio? Quello di favorire una transizione respiratoria da fisiologica ad artistica. La contestazione più forte che si può fare al puro vocalizzo, cioè esercizi basati unicamente su vocali, è la mancanza di contesto. Se si eseguono note con una vocale, la mente non può capire cosa sto facendo. Non parlo, non esprimo niente e non mi riferisco a niente; non c'è alcun obiettivo concreto. Questo genera difficoltà notevoli perché il corpo sarà portato a opporsi a questo lavoro privo di senso. Da qui potrebbe scaturire la domanda: allora non si devono fare? Non è proprio così. Per l'appunto, si deve partire dalla conclusione che il vocalizzo produce difficoltà e difetti. Quindi la prima risoluzione deve essere di non cominciare con questo tipo di esercizi, perché problematici e su cui non abbiamo ancora sviluppato alcun tipo di difesa. Quindi partiamo da sillabe e parole ben chiare ed espresse con sincerità, con verità. Queste cose la mente le comprende e non le avversa. L'avvicinamento al vocalizzo deve avvenire gradualmente; in primo luogo le vocali che sono comprensibili per sé stesse: le due E (è ed é), in quanto contestualizzabili (io "e" te; lui "è" bravo), ma anche la A (vai "a" casa), e la O (bello "o" brutto). Peraltro sono situazioni su cui non si soffermiamo mai, per cui non sono così comprensibili. Allora si deve passare a un livello diverso, cioè la vocale all'interno della parola. Se ripeto correttamente una o più parole, so che (se il maestro ha verificato positivamente) ogni vocale interna sarà giusta e vera. Dunque, senza soffermarsi, eseguiamo più volte una parola dopodiché proseguirò solo con una vocale, scelta a caso. Ad es. Bravo, bravo... bra-a-a-a-a-a-vo., oppure: buono, buono, buo-o-o-o-no. Perché l'esercizio possa portare benefici, non si deve anticipare e decidere quale vocale vorrò vocalizzare (l'esempio era quasi obbligato, quindi meglio scegliere parole con diverse vocali). In questo modo io andrò ad esercitare una vocale che, essendo all'interno di un contesto accettato e compreso, sarà facilmente di buona qualità, che non provocherà reazioni. Non è questa una "tecnica", e non si può pensare che solo con questo esercizio si riuscirà a superare completamente l'opposizione, perché quello è riservato al nascere del nuovo senso. Possiamo individuarla come una fase intermedia, ma già di elevato livello, perché possiamo contare su un'accettazione quasi completa della vocale da parte dell'istinto, partendo da vocali vere, che poi dovrò essere in grado di replicare nello stesso modo anche fuori dal contesto.

martedì, marzo 05, 2024

Degli esseri viventi animali

 Quando mi riferisco ai problemi nel canto, ma anche a quelli più generici di chi si accinge a un'attività realmente artistica, faccio spesso riferimento a una questione di contrapposizione tra l'uomo e l'animale. Lo dico, ad es., a proposito dei pianisti o dei pittori, le cui mani non nascono per poter suonare o dipingere in modo esemplare, perché la loro funzione esistenziale è limitata a quella di pinze, palette, martelli. L'uso raffinato delle dita è stata un'evoluzione, nata dal dover intrecciare liane, all'inizio, e poi su su fino a suonare con grande destrezza. Nel canto si vuol produrre arte con il fiato, che esistenzialmente serve alla ventilazione polmonare. Questo aspetto a molti non va a genio, e spesso mi si chiede se c'entra l'evoluzione darwiniana, o cose simili. A me del possibile passaggio scimpanzé-uomo non interessa niente! Parto da un altro presupposto. Tutti gli esseri viventi del regno animale hanno determinate caratteristiche in comune, e l'uomo non sfugge. Il fatto di volerlo o non volerlo associare ai primati come una loro evoluzione, è del tutto fuori da questo discorso. La singolarità dell'uomo non ne fa qualcosa di talmente speciale da non ricadere nelle caratteristiche di tutti gli altri animali. In particolare, come ho ricordato più volte, c'è un cervello che abbiamo in comune con tutti, che possiamo chiamare antico, rettiliano, ancestrale o come meglio si crede, ma questo è pressoché lo stesso in tutti e guida molte delle nostre azioni. Attorno a questo sono poi cresciuti altri cervelli più giovani e specifici di ogni specie. Ma anche il corpo di ogni essere comunque ha aspetti in comune con noi, perché siamo sullo stesso pianeta e ricadiamo sotto le stesse leggi (a parte gli esseri che vivono in acqua, che devono sottostare a leggi specifiche). Quindi la questione su cui riflettere non riguarda l'evoluzione "da" animale a uomo, ma solo le caratteristiche animali presenti e insopprimibili nell'uomo, come gli istinti. Il fatto che ci chiamiamo uomini non ci esime dal ricadere sotto il giogo di alcuni istinti, perché sono comunque indispensabili alla vita. Purtroppo le grandi arti è come se si contrapponessero alla vita animale, il che è vero se le consideriamo come un portato dello spirito, cioè di una forza che non ricade sotto le leggi fisiche. Il canto e la musica sono le uniche arti che più si avvicinano a questo assunto, non producendo beni materiali, ma astratti o al massimo sonori, quindi debolissimamente materiali. In questo senso possiamo definire il canto e la musica le espressioni più alte dello spirito, laddove prodotte con strumenti elevati alla massima purezza.

giovedì, febbraio 15, 2024

Cosa sono "gli acuti"?

 L'essere umano emette "suoni"? Non propriamente. Il nostro apparato vocale produce, genera suoni, ma questi, grazie alla Conoscenza, si possono trasformare in voce, o meglio, in vocali. Voce e vocali sono una straordinaria qualificazione del suono. Il suono è racchiuso nella caverna, il faringe, dove  sta la voce primitiva. La voce e, ancor più, la vocale, esce dalla caverna, e gode della luce e dello spazio infinito. Parlare di suoni è erroneo, perché parliamo di una vibrazione muta, anonima, priva di anima. La vocale è vera, ha un carattere, una personalità e una capacità comunicativa molto superiore, perché contiene anche il suono, ma ha un'ulteriore potenza. Andate a leggere "la parola che espone", capirete meglio. 

Al di là di questo, quando diciamo "gli acuti", così come diciamo "il centro" o "i gravi", a cosa facciamo riferimento? E' evidente che il soggetto sottinteso sono "i suoni", ma noi dobbiamo far riferimento alla nostra parte più elevata, quindi alle vocali. Se dico che un/una cantante "ha begli acuti", mi sto riferendo soltanto a dei suoni. E infatti è vero che ci sono tanti cantanti con dei begli acuti, il che significa che emette dei suoni piacevoli, magari ricchi di armonici. Ma sono propri di un essere umano evoluto? O appagano solo il gusto esteriore, superficiale del suono piacevole, che accarezza le orecchie? La voce, in quanto portato della musica, non dovrebbe suscitare qualcosa di più profondo e sensibile? Allora dobbiamo far sì che compia una rivoluzione, che si evolva, che venga elevato dalla Conoscenza che è in noi a vocale vera e sincera. E' ciò che sono riusciti a fare in sommo grado Tito Schipa e diversi altri cantanti del primo Novecento, che non dovremmo mai stancarci di ascoltare e seguire. Le vocali si possono fare su tutta l'estensione, così come le parole. Se non lo riusciamo a fare (e questa è la domanda fondamentale che dovremmo sempre porci e a cui ogni insegnante di canto, specie se vuole qualificarsi Maestro, dovrebbe saper rispondere oggettivamente) è perché non abbiamo una respirazione in grado di sostenerlo. Quindi, proprio grazie alla parola, vera e sincera, noi possiamo far sì che il fiato si evolva e gradualmente ci consenta di estendere la parola cantata su tutta la gamma. Il nostro istinto ci osteggia perché non conosce l'arte e l'astrazione, ma è la parola, che si pone come portale tra il mondo dell'immanente e quello del trascendente che può farci transitare a quella possibilità. 

martedì, gennaio 30, 2024

Futilità delle classi vocali

 Questa scuola ha sempre raccomandato la pronta e sicura classificazione delle voci. Classificare è un'operazione delicata e spesso difficile. Non si deve esibire troppa sicurezza in questo compito perché si può andare incontro a sbagli che possono compromettere il futuro di un cantante. Sto leggendo un bel libro su Boris Christoff, che fu classificato baritono non da uno qualunque ma nientemeno che da Riccardo Stracciari, suo insegnante. Fu la sua cocciutaggine a prevalere; disse risolutamente al maestro che lui non se la sentiva di cantare da baritono, che si era sempre sentito basso e che se avesse insistito, lui avrebbe smesso esarebbe tornato in Bulgaria. Per non creare un "incidente", Stracciari consigliò di sentire il parere di Titta Ruffo, il quale ritenne opportuno provare a farlo cantare da basso. Dopo qualche mese Stracciari chiese scusa a Cristoff, essendosi evidenziato che lui era realmente un basso. Anche Rossi Lemeni credo abbia avuto problemi analoghi. In ogni modo non è questo il tema di questo post.

Mi capita molto sovente di sentire commenti durante l'esecuzione di opere, dove si afferma: "ah, ma questo non è un tenore, questo non è un mezzosoprano, non è un basso, non è un baritono, ecc.". Su cosa si basano queste affermazioni? in primo luogo sul colore, e in particolare il colore chiaro. Se un baritono, un basso, un mezzosoprano o anche un soprano o un tenore drammatici non esibiscono un colore almno un po' scuro, vengono subito etichettati come inappropriati o appartenenti alla classe superiore. 

Nei bei tempi andati, cioè quando le grandi opere di Mozart o anche di Rossini e dei loro contemporanei nascevano, nel libretto non c'era scritta la classe vocale dei cantanti, ma solo il loro nome. Anche negli spartiti non c'era scritto, la classe si evinceva dalla chiave in cui era scritta la parte, ma non sempre con assoluta sicurezza. Sappiamo della grande confusione che avvenne all'inizio dell'Ottocento, quando i ruoli che venivano assegnati a cantanti definite "contralti" piano piano andarono sparendo e nacquero i soprani drammatici d'agilità, ruoli occupati dalle stesse che si definivano contralti. Del resto anche una cantante celeberrina come Marilyn Horne ha svolto la prima parte della carriera come soprano, passando poi a quello di mezzo, da molti ritenuto di contralto. Paolo Silveri ha svolto una prima parte della carriera come basso, poi la maggior parte come baritono e terminando come tenore. 

Se ascoltiamo le incisioni di moltissimi cantanti del primo Novecento, troveremo sovente baritoni e persino bassi di una chiarezza estrema, che però svolsero la professione con successi strepitosi, senza censure. Allora arriviamo al punto. Tolto che ogni cantante deve avere una classificazione certa, con le caratteristiche e i limiti cui deve sottostare, ciò che conta è se ha le carte in regole per affrontare determinati ruoli. Se è credibile ed efficace. Io di un baritono o un basso che scurisce artificialmente la voce per non sembrare un baritono o un basso, non so che farmene! Voglio sentire come canta quel ruolo con al SUA voce. E' logico che una voce da soubrette non può fare Norma e un tenorino di grazia non sarà credibile in Otello di Verdi, però senza esagerare. Lauri Volpi aveva voce chiara, come Loforese, eppure hanno vestito i panni dei personaggi più drammatici, Turiddu, Canio, Andrea Chenier... Smettiamola di correre dietro ai colori, e ascoltiamo davvero come un cantante sa entrare nei personaggi e renderli nella loro realtà drammaturgica. 

sabato, gennaio 20, 2024

Falsetto, falsettino, Stop closure

 Il tema trova parecchia confusione nel linguaggio popolare ma anche in quello più ricercato degli addetti ai lavori. L'ho trattato diffusamente nel blog, ma forse è meglio se faccio una sintesi.

Comincerò col dire che il falsetto NON E' quella voce simil femminile che utilizzano i sopranisti maschi.

Il falsetto ce l'hanno uomini e donne. Nelle donne, in ogni classe vocale, il falsetto occupa oltre un'ottava di estensione, ma trova la sua migliore sonorità tra il Fa3 e il Do#4. Dopodiché prosegue SENZA PASSAGGI fino in zona sovracuta, prendendo il nome di "testa", ma la differenza con la parte precedente consiste solo in un maggior impegno, in quanto la corda si parzializza e la maggior tensione richiede più energia per manifestarsi correttamente. Nei tenori è frequente che quella stessa gamma si presenti in due modalità, cioè leggera e rinforzata. La differenza è in un maggior "peso", maggior impegno respiratorio, ma può dare anche problemi di appoggio. Alcuni tenori utilizzano la componente leggera per fare mezzevoci e piani e pianissimi, il che può essere corretto se la voce mantiene l'appoggio, il che non sempre riesce.

Secondo alcuni insegnanti e trattatisti del passato, baritoni e bassi non avevano il falsetto, quindi niente passaggio, secondo loro cantavano tutto di petto. La qual cosa è decisamente errata. Però la motivazione di questa impressione sta nel fatto che baritoni e bassi hanno un falsetto molto più intenso e sonoro di quello dei tenori, per cui non prende l'inflessione femminea che fa dire essere falsetto. Infatti oggi viene definito, erroneamente, testa. Nella componente "testa" ci entrano correttamente solo i contraltini, che possono proseguire il falsetto anche fino al Fa4 e forse oltre (ma sconsigliabile).

Il falsettino non è un registro, è il primo armonico, e credo abbia qualche rilievo solo nelle voci maschili. Assomiglia alla voce femminile, ma è alquanto esiguo, di scarsa estensione e non può essere rinforzato, pena il cadere all'ottava bassa, cioè sul fondamentale. Può essere utile il suo utilizzo in fase didattica, non lo è quasi mai professionalmente, se non a qualche caratterista per fare suonacci a scopo ironico.

Veniamo invece a sopranisti e contraltisti. La loro voce femminile è dovuta a una caratteristica personale, che si attiva per imitazione, ma, per quanto io sappia, non è trasmissibile, non è insegnabile ed è stato etichettato come Stop Closure (figuriamoci se non si usava l'inglese). In pratica avviene una sorta di piccola paralisi di una porzione delle corde vocali che le rendono un po' più corte, rapportandole appunto a quelle femminili. In questo senso c'è una somiglianza non indifferente con quelle degli antichi castrati, ma senza alcuna operazione. In quelli, come in questi, c'è però un grosso problema: le corde vocali, in questa condizione, non sono più rapportate alla capacità respiratoria, che è di gran lunga più sviluppata, il che determina una incongruenza, per cui capita spesso che questa voci non riescono a esprimere correttamente un canto piacevole, e non di rado vanno incontro a difficoltà di intonazione, perché il flusso d'aria è esagerato rispetto alle dimensioni delle corde. Però sentiamo che oggigiorno non sono pochi i sopranisti che cantano con successo. La valutazione, poi, la lasciamo a chi ascolta.

Spero di aver chiarito il quadro, ma potete fare domande e osservazioni se qualcosa non vi torna.