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giovedì, dicembre 31, 2015

Posizione e registri

Tento ancora una volta di descrivere un fenomeno fondamentale nell'acquisizione di una vocalità artistica di alto livello. In fondo si tratta dei due obiettivi fondamentali: intensità vocale (sonorità) e omogeneità, cui se ne riallacciano altri di non poco conto: possibilità di ogni sfumatura dinamica e cromatica, agilità, precisione e cura espressiva. Contrariamente a quanto vogliono affermare diverse scuole di canto "moderne", cioè dissimilmente da quanto si faceva fino a un Secolo fa, poco più o poco meno, la possibilità di un voce veramente sonora, veloce, espansa nell'ambiente in cui si canta, è legata alla posizione avanzata ESTERNA, anteriore e NON interiore. Qualunque sia il modello e comunque lo si intenda, quando la voce è dentro, è arretrata, indietro, quindi non può dare il meglio di sé e produce difetti e carenze. La posizione anteriore però NON è mai da intendersi in senso pressorio, cioè la voce non va mai spinta, mandata fuori con forza, pressione. Ripeto che è fondamentale distinguere (non in senso divisorio ma di evoluzione) il SUONO dalla VOCALE. Il suono nasce internamente; la sua evoluzione qualitativa acquisisce lo status di vocale, da cui VOCE, pertanto quando ci riferiamo alla voce la intendiamo come produttrice di vocali perfette. Ancor più precisamente, la vocale deve NASCERE fuori dalla bocca, non muoversi dall'interno verso l'esterno, perché questo provocherebbe spinte, schiacciamenti e quindi errori. Salvo rari casi di privilegio vocale, la posizione esterna della voce è molto ma molto difficile da acquisire compiutamente. Quando ciò avviene, si focalizza in un unico spazio esterno la pronuncia di tutte le vocali, pure e impure.
L'altro punto, miraggio per tantissimi cantanti, è l'assoluta omogeneità vocale in tutta l'estensione, il che significa annullamento dei registri. Non starò qui a rispiegare per la millesima volta cosa sono o si intende per registri, come li abbia considerati questa scuola. Ci sono numerosi post che i lettori possono andare a leggere o rileggere in merito. Ciò che interessa qui esporre è il processo di eliminazione e il legame con il suono esterno. Possiamo ben dire che, sempre in quella logica di coerenza e visione olistica del canto e in particolare della vocalità, le due cose sono intimamente legate, anzi possiamo dire che non è pensabile raggiungere l'annullamento dei registri senza una esternalizzazione del suono.
Pronunciare in modo puro, perfetto, le vocali, significa tout cour produrle fuori dalla bocca. Questo però comporta anche una conseguenza non di poco conto sul piano respiratorio; significa infatti che il tubo vocale si allunga di diversi centimetri rispetto ai punti dove solitamente nascono e si "gonfiano" le vocali. Questo "allungamento" del tubo significa un aumento per niente indifferente del "peso" del suono che deve generare la vocale e conseguentemente dell'aria che quel suono produce. E' una catena, come si può facilmente immaginare. Detto e assimilato questo, riesumiamo un altro elemento importante: le masse contrapposte. Come ho avuto modo di spiegare in passato su questo blog, è possibile giungere all'annullamento della sensazione di spezzamento della colonna fiato-suono a livello laringeo (come avviene solitamente parlando) quando la massa di suono che si forma nello spazio oro-faringeo è in equilibrio con la massa aerea (fiato respiratorio) che l'ha generata. Se manca questo equilibrio, la laringe o è premuta dal basso dal fiato (spinta diaframmatica) o dall'alto dal suono. In ogni caso manca quella libertà glottica che è anche svincolamento dalla funzione valvolare. Come si apprende dal parlato, che relativamente al contesto (funzione relazionale) è in equilibrio con il fiato che lo produce, noi abbiamo uno stato di accettabile benessere vocale. Si tratta di elevare a potenza questo stato, sviluppando la sonorità là dove già esiste il fuoco del parlato, e non in altri luoghi, inopportuni. Questa situazione riproduce quella condizione di equilibrio tra le masse che evidentemente il nostro status umano, evoluto, ha individuato come ottimale, per cui nel momento in cui noi riusciamo a cantare come e dove si parla, avendo educato il fiato a generare la massima efficenza respiratoria atta allo scopo. Quando ciò avviene (avverrà...) ecco che si produce un effetto meraviglioso, e cioè la laringe può FLUTTUARE. Fuori da tutte le sciocchezze prodotte da decenni di erronee osservazioni, indicazioni e deduzioni, che in genere vogliono la laringe bassa, essa non ha e non può avere una posizione fissa e immobile, perché questo è in netta contraddizione con il suo funzionamento vocale. Essa DEVE potersi muovere, quindi qualunque pensiero o volontà riguardante lo strumento produttore non può che influenzare negativamente il processo vocale.
La fluttuazione laringea che si può arrivare a possedere quando la vocalità si produrrà completamente fuori, genererà anche la risoluzione ottimale dell'elasticità cordale, e cioè l'annullamento delle due meccaniche contrapposte (intrinseca ed estrinseca), origine dei due cosiddetti "registri" vocali. Le corde risulteranno sempre anch'esse fluttuanti in una condizione di gradualità tensiva ma anche integrale, cioè viene a interrompersi quella dualità tra corda sottile di bordo e corda piena muscolare che è responsabile delle due modalità note come petto e falsetto-testa, e saranno per tutta l'estensione vocale in correlazione e attive.
Questa condizione di assoluto benessere vocale permetterà ogni sfumatura voluta dall'esecutore musicale, dall'agilità all'uso di colori e caratteri particolari (drammatico, affettuoso, comico, eroico...), a ogni gradazione di intensità. Si noterà anche, non in condizioni esecutive pubbliche, la possibilità di eccedere anche notevolmente dai propri limiti di estensione. Bisogna però sempre ricordare che i limiti esistono e vanno rispettati! Anche una disciplina artistica straordinaria, anche condizioni personali straordinarie, non devono consentire, se non del tutto eccezionalmente, di abusare delle caratteristiche del nostro corpo e del rispetto dei sistemi naturali e istintivi di difesa.

lunedì, dicembre 28, 2015

Video - vocali

Ho realizzato un video, il peggiore, credo, dal punto di vista visuale perché ho piazzato male la videocamera e mi sono quasi tagliato via la testa, comunque credo sia sufficientemente eloquente per quanto riguarda ciò che avevo da dire in merito alle vocali.

venerdì, dicembre 25, 2015

Ausili contrapposti

Sotto un certo profilo può sembrare, anche avvalorato da alcuni post presenti in questo blog, che la consontante sia comunque e sempre subordinata alla vocale; del resto in quasi tutti gli scritti sul canto si parla del canto "sulle vocali" e del primato della lingua italiana per la maggior presenza di vocali. Direi che su tutto questo è bene fare chiarezza e anche un po' di tara. Intanto mi piacerebbe sapere cosa intendono alcuni quando puntano il dito verso certi insegnanti che, a loro dire, insegnano "sulle consonanti". Ho sentito diverse volte questa frase, ma non ho mai capito cosa volesse dire. Credo che anche Celletti l'abbia scritto in passato, senza peraltro spiegare.
Possiamo dire che i ruoli di vocali e consonanti sono contrapposti ma entrambi indispensabili. La vocale potremmo definirla "dissipatrice", cioè l'energia che immettiamo per emetterla andrà tutta dispersa; la consonante invece è "ausiliaria", cioè l'energia che immettiamo aiuta l'emissione della vocale successiva. Di fatto se non avessimo le consonanti sarebbe estremamente difficile poter contare su un canto esterno, perché la vocale, a causa della "pigrizia" dell'istinto, tenderà sempre a una certa imperfezione, "mollezza", imprecisione e arretramento. Solo alcuni privilegiati beneficerebbero di questa condizione, e il canto, già ora assai difficile da elevare ad arte, sarebbe a un livello ancora più basso (sembra difficile da credere!).
A causa dell'idea che la consontante è subalterna, spesso viene imputata di non aiutare il canto, e quindi gli insegnanti consigliano di pronunciarla poco. Naturalmente è giusto non enfatizzarla, come anche il resto d'altronde, ma la sua utilità è impareggiabile e inoltre la parola se le consonanti non sono ben pronunciate, doppie comprese, risulterebbe difettosa. Pensiamo all'inizio di un'aria:
"Bella siccome un angelo in terra pellegrino": abbiamo una doppia in quasi tutte le parole che contiene: due volte L, C, R. Si può dire "bela sicome un angelo in tera pelegrino"? Ma alcuni non dicono le I ma u francese, non le E, ma le oe tedesche, non le A (non sia mai) e le O che tendono a U. Cosa vien fuori immaginatelo (o ascoltatelo).
Dunque, partiamo dalla vocale. Noi sappiamo che le corde vocali non producono vocali, ma suoni. Questi suoni successivamente diventano vocali. Si potrebbe presumere che questa trasformazione sia "gratuita", non costi niente in termini energetici, ma non è affatto così! E di queste cose quando mai se ne parla? Si presume che sia solo un diverso atteggiamento delle pareti oro-faringee, il che è vero, ma nel momento in cui esse si predispongono, provocano assorbimenti, ostacoli, frizioni che sottraggono energia. Del resto quando mai un percorso qualificante può richiedere meno lavoro rispetto al materiale grezzo originario? A parte la A, che essendo molto ampia è la vocale che presenta meno ostacoli (ma guarda caso è anche quella che molti trovano più difficile), le altre farebbero più fatica a svilupparsi al punto focale ideale, fuori delle labbra, perché c'è questo difficile e contrastante dialogo tra il mondo dei suoni vocali-canori di qualità e la base del fiato che li deve produrre, per cui se si spinge vengono a mancare le relazioni virtuose tra fiato e apparato produttore e si entra in una dimensione urlante, ma se non c'è sufficiente energia le vocali non arrivano a compimento. Ecco dunque dove entrano in gioco le consonanti e la loro caratteristica impulsiva e proiettante. Grazie all'uso costante delle consonanti all'interno delle parole, la vocalità può mantenere un certo grado di tonicità, e nel momento dello studio del canto possono offrire un valido e naturale mezzo per lo sviluppo armonioso e costante della voce.

domenica, dicembre 20, 2015

L'interruttore

Sto leggendo in questo periodo un interessante libro sul canto che mi è stato donato e di cui conto di fare commento nel prossimo futuro. Tra le tante cose ho letto un particolare su cui mi soffermerò in questo post.
L'argomento, in sostanza, riguarda le consonanti e in particolare alcune di esse. L'autore non sembra molto favorevole all'utilizzo, in fase di studio, soprattutto iniziale, delle consonanti "esplosive" e labiali in quanto interrompono il flusso (l'interruttore, appunto!). E' quindi più propenso al vocalizzo e all'utilizzo di consonanti più scorrevoli quali la "m" e la "n".
Come accade spesso in questi casi, l'apparenza è del tutto favorevole a questa visione dei fatti, ma, come invece ripeto sempre, occorre esaminare il fenomeno complessivamente e soprattutto avere un fondamento che ci guidi. E' evidente che la maggior parte delle consonanti precludono per qualche frazione di tempo il flusso aero-sonoro, ma questo che significa? Intanto occorre verificare il livello di libertà di questo flusso. E' indubbio che se io emetto un suono continuo apparentemente c'è un flusso e se io inserisco una consonante non sonora (b, k, gh, q, p, t, d, b) avvertirò una istantanea interruzione del flusso, ma in che condizioni si trovano gli apparati? Siamo sicuri che questo flusso sia veramente libero, cioè non vi siano ostacoli? Questo, come sappiamo, dipende dal grado evolutivo della respirazione nei riguardi dell'emissione stessa e il grado di evoluzione si coglie dalla perfezione con la quale è pronunciata la vocale (infatti poco sopra ho usato il termine "suono" e non "vocale"). Come sa chiunque segue questo blog, facciamo una fondamentale distinzione tra suono anonimo o simil-vocale e la vocale pura, laddove quest'ultima, frutto di una respirazione elevata all'arte vocale che sottende, si forma compiutamente solo ESTERNAMENTE, quindi OLTRE la pronuncia di una qualsivoglia consonante. Non è che questo annulli il fatto che il suono subisce una microscopica interruzione, ma questo non significa un bel niente, perché è lo scopo della consonante che svolge un compito ARTICOLATORIO che fornisce alla parola caratteristiche fenomenologiche ma anche tecniche fondamentali. Le consonanti, infatti, e in particolare quelle esplosive e labiali, svolgono un compito PROPULSIVO importantissimo (e quindi di appoggio, che come si può comprendere si svolge non verso il basso, ma in avanti). La vocale, di per sé, consuma più energia e, in particolare, se non ben pronunciata, come pressoché sempre, soprattutto nel parlato, spreca molta aria, per cui se le parole fossero troppo ricche di vocali dovremmo respirare più frequentemente il che disturberebbe il nostro automatismo funzionale. La consonante quindi svolge anche un ruolo di pianificazione ed equilibrio in questo senso. Ma venendo al canto, ecco che se io comprendo bene il ruolo di questa particella, mi rendo anche conto che le cose stanno proprio al contrario di quanto viene espresso in quel libro. Siccome la pronuncia perfetta della vocale è un obiettivo di gran lunga ambizioso, per niente facile (PER NIENTE) da raggiungere nel canto, ecco che io trovo una sorta di "leva" (da non enfatizzare, sia chiaro) proprio in buona parte delle consonanti, che aiutano, senza forzature, a "esplellere" il suono verso la destinazione "vocale", senza ricorrere a espedienti utilizzati da alcune scuole, che con i soli vocalizzi poi invitano a premere (quindi a spingere) in avanti, rischiando di schiacciare il suono e non solo non raggiungendo l'obiettivo ma addirittura provocando una parziale chiusura della valvola (laringe) e quindi una serie di gravi problematiche ai fini dell'educazione vocale. Pronunciando in modo normale le parole che contengono determinate consonanti anteriori, mi ritroverò senza bisogno di alcun tipo di consiglio "tecnico" (schiaccia, spingi, tira, alza, premi...) a migliorare sensibilmente anche l'emissione delle vocali che sono correlate a quelle consonanti (mArtEdI', ad es.). L'inconcepibile errore di tanti "teorici" e "intellettuali" del canto, è che secondo loro nel nostro normale funzionamento ci siano degli errori e che noi intelligentoni dobbiamo correggerli o evitarli ricorrendo a funambolismi che LORO hanno ideato. Le cose stanno esattamente al contrario: i vari esercizi e manovre pensate e trasmesse in gran parte delle scuole di canto (e che definiscono "tecniche") nella malata illusione di raggirare gli "ERRORI" di Natura, sono proprio il brodo di coltura di ogni più grave difetto vocale di ogni tempo. Peraltro, occorre sempre ricordare che la Natura non ci vuole cantanti artisti, è fuori dal proprio ordine di priorità e quindi ci pone ostacoli al raggiungimento di quello stato, il che non significa trovare manovre meccaniche per superarli, bensì inserirsi in un percorso di EVOLUZIONE che non si ponga in contrapposizione con il nostro funzionamento ma favorisca lo sviluppo, l'elevazione, ricordando bene che per far ciò occorre un fondamento, un piano integrale e integrativo delle nostre già presenti funzionalità, presenti nel nostro potenziale umano.
Due piccoli post scriptum: il primo relativo alla posizione della consonante, il seoncdo relativo alla "m" ed "n". L'autore del libro parla in modo generico delle consonanti, ma sembra soffermarsi maggiormente sulla presenza iniziale di queste. Allora occorre anche rettificare un possibile errore. Se io ho una parola ENTRO la quale si trovano determinate consonanti, è indubbio che avrò una momentanea interruzione del flusso, ma se la consonante è in apertura di parola, il flusso deve ancora partire, quindi non v'è interruzione. Al contrario la consonante iniziale esplosiva e labiale risulterà particolarmente utile proprio nel ruolo propulsivo e motore, per cui non solo non è sconsigliabile, ma al contrario consigliabilissima.
Per quanto riguarda la "M" e la "N" ci sono da fare queste osservazioni. La "N" è una consonante decisamente nasale, per cui è da utilizzare con parsimonia all'interno delle parole, verificando che il suono non appaia eccessivamente nasale. Se lo è occorre sviluppare esercizi che accoppiando questa consonante ad altre decisamente più legate al flusso orale, lentamente portino anche la "N" a una emissione più in sintonia con il quadro generale. Sia chiaro che non si tratta di modificare la consontante, di "uniformarla", ecc. La "N" è e resta una consonante nasale, però in molti casi questa assume un carattere eccessivamente improntato che può rischiare di svolgere un ruolo di sollevamento del fiato e quindi della colonna aerea. La "M" è una consonante decisamente meno nasale. La sua corretta emissione avviene con la semplice schiusura delle labbra e quindi è senz'altro consigliabile a patto che venga emessa in purezza, cioè EVITANDO il pre-suono a bocca chiusa tipo "mmmMamma". La M deve partire, piccola, pura, immediata e non essere mai raddoppiata (o triplicata, ecc.) se non all'interno delle parole che lo richiedono (tipo "mamma", ma quella iniziale deve essere assolutamente singola! di M ce n'è una sola!!!).

mercoledì, dicembre 16, 2015

Appoggiar

Anni fa in una sezione dedicata al canto in un forum musicale, un interlocutore scrisse: "prima di discutere mettiamoci d'accordo sulla nomenclatura". E partì dando una sua definizione di maschera. Al che, già mi passò la voglia. La questione è la seguente: qualcuno, un giorno, si inventa un termine, nuovo o esistente nel vocabolario - con altra accezione - per descrivere sinteticamente una sensazione, una osservazione, un dettaglio, una percezione, ecc. Propagandosi tra allievi e amici, il termine a un certo punto può piacere e diventare di dominio pubblico. Rodolfo Celletti, scrivendo frequentemente e abbondantemente su libri, riviste e periodici, inventò una miriade di parole per descrivere le sue critiche a questo e quel cantante, al punto che diverse di esse diventarono "patrimonio" dei tifosi melomani che talvolta ancor oggi li utilizzano (voce anfotera, tonitruante...). Se si può perdonare l'uso giornalistico, molto più seria è la questione in ambito didattico. Purtroppo Celletti, incocepibilmente, percorreva anche quello!. Comunque, una volta adottati determinati termini, gli stessi possono sparire allorquando i colleghi non vi si ritrovano più. Termini come "gorgia" e "garganta" sono definitivamente spariti dal vocabolario vocale; altri come petto e falsetto sono rimasti. Il brutto della situazione è che essendo stati scritti, un tempo, oggi vengono interpretati da chi va a rileggere quei testi; lo fece Celletti e diversi altri l'hanno fatto successivamente. Siccome allora non si creò una sorta di vocabolario che definisse in modo inequivocabile cosa intendesse l'autore con quel termine, hanno buon gioco insegnanti e pubblicisti a dare una propria versione, il più delle volte diverse l'una dall'altra.
La terminologia, le parole, nel canto sono più una spina nel fianco che un ausilio. Ognuno può dirle e interpretarle come meglio crede, le smentite comunque valgono allo stesso modo, non si può imporre una verità terminologica.

Per l'appunto, un giorno chissà chi si inventò l'appoggio. E' un termine mediamente recente ed è diventato un termine-mito! Non se ne è parlato per secoli, oggi se non ne parli ti considerano ignorante e disinformato. Gli insegnanti, quindi, fin dall'inizio del percorso parlano di voce appoggiata. Alcuni intendono voce appoggiata sul diaframma; altri intendono fiato appoggiato sul diaframma, altri dicono voce appoggiata sul fiato, corde vocali appoggiate sul fiato, e diverse altre sfumature. Non entro poi nella dolorosa differenza tra appoggio e sostegno, perché non ne uscirei più, se non con epiteti e ingiurie.
Nella vita quotidiana l'appoggio si riferisce a un oggetto che per questioni di stabilità fa forza su un altro oggetto che offre sicurezza. Molti allievi di canto si appoggiano al pianoforte o a sedie o altre suppellettili per scaricare un po' di peso e stanchezza. A volte si appoggiano su una gamba per far riposare l'altra. Atteggiamenti che andrebbero evitati perché squilibrano gli apparati. In genere, comunque, l'appoggio si rivolge verso il basso, favorito dalla Legge di Gravità. Le solette, le travi, i tetti delle case si appoggiano a muri e colonne. Questo esempio ci richiama propriamente a una scienza fisica, la statica, che già dovrebbe farci un po' riflettere sulla scarsa analogia col canto, perché esso è un procedimento dinamico.
Per la verità in testi più retrodatati, non pochi teorici del canto facevano riferimento a un appoggio diverso da quello oggi imperante, cioè diaframmatico, ma parlavano di un appoggio toracico. Non so se qualcuno, nel tempo, ha anche accennato, con ipotesi favorevole, a un appoggio laringeo o glottico, ma purtroppo esiste, anche se in termini molto sfavorevoli.

L'utilizzo continuato, ritenuto indispensabile, del termine appoggio, si lega a una pratica imperante nelle scuole, che consiste nel premere un qualcosa verso il basso, nell'illusione di ottenere un cospicuo vantaggio in termini di intensità e timbratura. Non è che non sia vero, ma è una pratica considerevolmente dannosa e errata dal punto di vista di un risultato artistico di rilievo. Cosa si preme verso il basso? Non è possibile premere l'aria (o il suono), per cui si premono muscoli e cartilagini. Se davvero si premesse l'aria, essa non uscirebbe, dunque con cosa si canterebbe?? L'ipotesi dunque di "voce appoggiata" è un modo di dire che non può corrispondere alla realtà. Si appoggia, ovvero si fa forza, su muscoli e parti interne per averne un ritorno energetico favorevole. Qualcuno lo descrive come la tensione dell'arco prima di scagliare la freccia. Peccato che in quel caso ci pensino le mani, nel diaframma non è possibile. Questo è il punto debole di tutti i pubblicisti e gli insegnanti. Tutti sanno che il diaframma non è governabile, ma tutti propongono una soluzione (salvo che sono pressoché tutte inventate e errate): premere la laringe, premere con i muscoli addominali oppure al contrario lasciare che la pancia avanzi, premere sulla schiena... ecc. ecc. Tutte, abbiate pazienza, idiozie! Le acrobazie che i cantanti, poveretti, compiono su pancia, schiena, ventre, fianchi, laringe... non fanno che deturpare il loro corpo e distogliere la concentrazione dalla cosa più importante: il canto! Se il canto è oggi un'accozzaglia (talvolta orribile) di suoni senza alcuna verità, è anche dovuto a questo.

Qualcuno giustamente domanderà: ma allora non esiste l'appoggio? In questo blog non se n'è parlato spesso? Nelle lezioni, in questa scuola non si parla e non si persegue l'appoggio? Sì, e infatti chi ha voglia e pazienza può trovare qui diversi riferimenti. La questione sta in termini piuttosto semplici, come sempre. L'appoggio esiste nel senso che il fiato, o meglio i polmoni, si appoggiano delicatamente sulla parete diaframmatica. E' vera anche l'altra cosa, e cioè che una parte del fiato, quando investito dalla pressione conseguente il canto, agisce verso il petto. Questo avviene naturalmente. Non c'è alcun bisogno di provocarlo e accentuarlo. Il grosso equivoco è nato, per l'appunto in tempi recenti, quando qualcuno si accorse che si poteva cadere nel problema opposto, cioè che la voce si "spoggiava", ovvero perdeva caratteristiche di pienezza, facilità, brillantezza e anche di estensione e intensità. Dunque non esiste alcuna necessità di appoggiare, cioè di provocare volontariamente ciò che avviene tranquillamente da solo! Il problema nasce quando le metodiche folli di insegnamento, provocando le reazioni del nostro fisico, richiedono in tempi insufficienti di raggiungere grandi esiti in termini di volume, intensità, estensione e timbro. Allora nasce l'opposizione del diaframma a lasciarsi dominare e la sua reazione e quindi il sollevamento anche repentino che provoca i difetti vocali di cui sopra. Quindi se parliamo di questo, e l'abbiamo fatto, è sempre e solo per illustrare la questione e consigliare orientativamente le persone di buon senso a prendere le distanze da chi induce a varie manovre fisiche per raggiungere un qualcosa che si raggiunge benissimo, e meglio, evitandole!!

Non ho ancora finito, abbiate pazienza. Questa spiegazione probabilmente a molti non basta per togliere dal capo anche un'altra fissazione, cioè che, spontaneamente o artificialmente, l'appoggio si debba avvertire, e lo si senta a livello grossomodo di pancia. Anche questa percezione deve sparire. Che ci sia un coinvolgimento del diaframma è ovvio, ma ancora una volta devo insistere affinché ci si rivolga NON alle percezioni e sensazioni fisiche, soprattutto interiori, ma al CANTO, alla VOCE. Noi possiamo parlare di un benefico riferimento all'appoggio quando avvertiamo che il fiato si è completamente mutato in voce, ovvero quando il flusso aero-sonoro è diventato canto, vocale totalmente sonorizzata nell'ambiente esterno, in totale libertà, quindi, ovviamente, senza incontrare alcun tipo di resistenza, di ostacolo o impedimento. La voce con la consistenza dell'aria giusto un po' più densa, ma ricchissima di vibrazioni interne, di squillo, di armonici e quant'altro è in potere del nostro corpo di renderla viva, elevata e profonda di significato e virtù. Comunque si intenda l'appoggio, la percezione deve sempre avvenire davanti, cantando, la conseguenza piacevolissima, beante, quasi magica o miracolosa, di aver abbandonato il corpo fisico e guidare solo con la volontà artistica, avendo soppresso ogni spinta, ogni appoggio interiore, ogni compromesso.

domenica, dicembre 13, 2015

Integrale

Al pari di canto "olistico", la grande scuola del canto è bene che affronti l'idea di una emissione integrale. E cosa significa? Il pericolo è quello di immaginare un coinvolgimento corporeo complessivo. E' una frase ricorrente dire: si canta con tutto il corpo. Ma questa è una delle tante frasi a effetto che serve a poco e confonde molto, per cui sono dell'opinione di non pronunciarla. Può essere un allievo che a un certo punto possa provare la sensazione di cantare con tutto il corpo; se è così, bene, ne avrà un senso di benessere, dirglielo, al contrario, può dare un senso di frustrazione per il fatto di non sentirsi in quella condizione. Dunque la mia proposta di un'emissione integrale riguarda il rapporto fiato-suono-vocale. Ritenere il fiato una componente slegata dalla voce - comunque la si intenda - non farà che mantenere la respirazione in una dimensione istintiva, animalesca, puramente chimico-fisica, e non la proietterà nella produzione sonora. Le mille e mille parole che riempiono libri, riviste e pagine di social network a proposito della respirazione per ben cantare, non raggiungono mai il nocciolo della questione, e cioè che nel momento di una perfetta emissione, quindi quale meta dell'apprendimento, vi è una integrazione o perfetta simbiosi tra fiato e suono, ovverosia diventano come una cosa sola. Quando diciamo che per ottenere un suono perfetto occorre una respirazione artistica, intendiamo una qualità del fiato elevata, suprema, ma questo che vuole ancora dire? Ad esempio una qualità dell'aria può essere il calore. Indubbiamente l'aria di emissione è diversa da quella di inspirazione in quanto si è scaldata, e quindi ha già modificato la sua natura e la sua fisicità. Ma se la scuola procede su una strada artistica, l'aria polmonare, nel momento in cui diventa alimentazione di suoni puri, si modifica ulteriormente nella direzione di mettere in vibrazione senza un'azione meccanica forzata e violenta le corde vocali, nonché instillare nell'apparato articolatorio-amplificante quelle massime caratteristiche di elasticità, libertà ed eufonia che il nostro corpo è in grado di sviluppare. Leggevo in questi giorni su un libro, che in massima parte non mi pare particolarmente interessante, che se si canta forzando, nel tempo non si riuscirà più a cantare se non forzando. Su questo sono sostanzialmente d'accordo. Alcune scuole si basano su esercizi estenunanti di carattere muscolare; nel tempo i muscoli si rinforzeranno, si ispessiranno e perderanno gran parte della loro elasticità e gradualità. La meravigliosa e paziente macchina umana può, in alcuni casi, superare questa condizione, che in molti casi porterà a patologie e gravi conseguenze, permettendo una vocalità di qualche gradevolezza sonora, se pur lontana da ogni criterio di buon canto, di agilità, di chiaroscuro, di legato, ecc. Viceversa occorre educare con la gradualità che parte dalla nostra condizione naturale, lasciando che il giusto rigore dell'insegnamento perfezionante la parola intonata scateni quell'esigenza respiratoria più elevata e mirata allo scopo, evitando per quanto possibile la reazione del fisico stesso che si sente minacciato da una modificazione profonda dei meccanismi che regolano anche la vita. Più il rapporto sarà leggero, gentile, sottile (come dice Falstaff!), delicato, piacevole, meno sarà interpretato dalle nostre difese in senso provocatorio e quindi da attaccare ed eliminare. L'idea che noi espiriamo nel canto così come nella normale respirazione è un'ottima concezione; notavo in questi giorni che anche Gigli in uno spezzone di lezione di canto usa il termine espirazione per dire canto, per cui aveva ben radicata la concezione che voce è veramente uguale a respiro sonoro. Questo in molti genera perplessità, perché si pensa che il suono "pieno di fiato" sia intanto uno spreco d'aria, con il falsissimo concetto che l'aria andrebbe risparmiata, in secondo luogo che non è voce piena, non è suono "sonoro" e dunque non si sente a sufficienza. Naturalmente non avallo la concezione di un suono davvero che soffi, cioè in cui la componente aerea sia avvertibile. In alcuni momenti di apprendimento questo è possibile, e spiego che quella percentuale di aria che si sente ancora, dovrà sparire completamente. Però preferisco, ripeto, in una fase propedeutica, sentire un po' d'aria, che non una spinta sul suono, sulle corde vocali, che non porteranno a niente di buono. Se c'è aria, abbiamo buone possibilità che essa si integri e diventi suono perfetto. Sentire suono premuto, ottenuto con forza, vuol dire mancanza di arte, mancanza di libertà.

martedì, dicembre 08, 2015

"Non cantare..."

Proseguo un po' il post precedente con qualche riflessione. Mi capita sovente con gli allievi, specie quelli con una formazione pregressa, non particolarmente positiva, di esclamare: "non cantare". A volte soggiungo: "parla" (non "spara", come nel titolo di un varietà degli anni 60!). Cosa significa, qual è il fondamento che sta alla base di questi suggerimenti? Il problema è che per molti, fuorviati da insegnamenti meccanicisti, vanno a cercare la voce cantata indietro, negli spazi interni, perdendo inesorabilmente ogni aspetto significativo del parlato, cioè la pronuncia e il ritmo intrinseco in essa.La differenza, giudicate voi di quale portata, è tra "suoni" anonimi, fasulli, spesso persino grotteschi e la voce vera, personale, ricca, portatrice di significati, di valori sentimentali ed emotivi profondi. Naturalmente il punto caratterizzante il canto è l'intonazione, ed è su quella che gioca l'educazione vocale; ma la cosa stupefancente, che ben pochi credo siano arrivati a comprendere, è che l'intonazione perfetta si può ottenere solo con una pronuncia perfetta. Siccome la pronuncia perfetta è frutto di una educazione respiratoria perfetta, si capisce come il cerchio si chiuda. Così come è inutile "cercare" la voce, il timbro, l'intensità, è altrettanto inutile cercare la pronuncia perfetta e l'intonazione perfetta. Esse sono già in noi. Il nostro compito è riscoprirle, valorizzarle, permettere di esprimere tutta la loro potenzialità. Certo che esagerare la pronuncia può essere negativo, ma non è così difficile comprendere quando essa diventa irreale, enfatica, statica, declamatoria o addirittura urlata o, al contrario, linfatica, inespressiva. Ma, visto che ho usato il termine "statica", vediamo meglio come coniugare questo termine con il canto, già a livello di esercizi.
Mentre un "mattoncino" nell'antologia degli esercizi, può essere rappresentato da una sillaba (Ba, bo, ti, te, ta, bro, la la la, ecc.ecc.), un passo avanti si fa con la parola intera (lunedì, martedì, ecc.), dove occorre già una notevole attenzione agli accenti e a non far "cascare" i punti centrali (dicendo "lunedì", ad es. si punta all'accento finale e non si coglie che magari la "e" non è affatto pronunciata, o, peggio, la "r" in martedì, mercoledì....oppure, al contrario, la si accenta erroneamente perché si tende a dividere la parola in sillabe, tutte accentate - lù-nè-dì). La staticità e il meccanicismo possono subentrare dicendo queste parole con un ritmo irreale, una nenia priva di significato, come se dicessimo parole in una lingua sconosciuta. E' sempre importante eseguire un passaggio dal parlato semplice all'intonato per comprendere cosa stiamo sacrificando, e recuperarlo. Quando poi mettiamo assieme i "mattoni", cioè le parole, ecco che spunta un importante problema, che riguarderà poi il canto vero e proprio. La tendenza è spesso quella di staticizzare, cioè esprimere le singole parole (o addirittura, come dicevo prima, le sillabe) senza dare a queste l'indispensabile dinamismo, cioè comprendere sempre dove la frase punta, sia musicalmente che nel significato semantico. Quindi si potrebbe dire che prima occorre separare i due livelli, per cui capire il senso, la direzione, della frase musicale, comprendere il parlato (dicendolo) e infine mettere insieme i due livelli. Non sempre essi coincidono; a quale dare precedenza? Non si può fare una generalizzazione. Il testo deve essere ben comprensibile nella sua globalità e non è buon costume dare accenti che stravolgano il significato di una parola anche se l'accento musicale così vorrebbe, però il valore musicale della composizione, visto che di musica si parla, comunque, non può essere a sua volta alterato per esigenze testuali, per cui in alcuni casi (piuttosto rari, direi) si deve ricorrere a qualche compromesso. Al di là di queste situazioni (che però sono più presenti in ambito corale che in quello operistico) l'aspetto fondamentale è dare verità non solo alle parole ma a tutti i periodi fino a percepire... la fine contenuta nell'inizio!

domenica, dicembre 06, 2015

Energia-ritmo-parola

Si fa riferimento all'energia come a una forza interiore che può avere diverse fonti. Ho più volte voluto distinguere la forza muscolare dall'energia, perché la prima produce solo una parte limitata di energia, quando abbiamo invece fonti molto più efficaci e mentre possiamo dire che la forza muscolare frena, rallenta e impoverisce l'energia vera. E' importante però comprendere cosa eccita e cosa stimola la produzione di quell'energia che permetterà al nostro canto di spandersi uniformemente e ovunque senza l'impiego di forze straordinarie. Ripeto sin dall'inizio del blog che questa scuola basa gran parte dei fondamenti dell'evoluzione vocale sulla parola. Detto questo, però, possiamo aver detto niente, e infatti molti pongono domande ed espongono perplessità. Qualcuno, più sottilmente, pone gli interrogativi su cosa significherebbe questa evoluzione o perfezionamento della parola, dubitando che si ricorra a una enfatizzazione o declamazione. Niente di tutto ciò. Come ho più volte ripetuto, la parola è portatrice di una verità di significato che quando passiamo all'intonazione astratta perde gran parte della sua forza e prende invece ogni sorta di difetto. Oltre che carenza di significato, nel passare a un esercizio intonato, la parola perde un altro importante attributo, e cioè il ritmo. La sincerità con cui si pronuncia una parola, o una frase, è in gran parte dipendente da un ritmo sottile con cui si articola l'intero termine o proposizione. La vocale tonica, dove cade l'accento, sarà di un quid più lunga delle altre sillabe, per esempio, ma qui il campo in cui ci addentriamo è davvero sterminato, se dovessimo esprimere razionalmente come si articola ritmicamente una qualunque parola o frase. Il compositore mette delle note sotto cui si dipanano le diverse sillabe (non senza, talvolta, difficoltà di comprensione) con un valore di carattere musicale, non sempre in sintonia con l'accentazione verbale. Ma questo è un altro problema. Ciò su cui vorrei puntare l'attenzione è come si pronuncia ritmicamente una parola nella realtà quotidiana e come la si pronuncia cantando. Purtroppo anche su questo argomento dobbiamo denunciare la decadenza verticale di qualunque attenzione e concentrazione. Una certa genericità, a volte, dei compositori, pur geniali, ha indotto schiere di "intepreti" (questa volta sì) a pronunciare a gola "spietata": Gloriààààà, sanctùùùùùs, vaga lunààà che... , nel sonnò almen..., e via dicendo. I mià, miò, tuà e tuò poi si sprecano proprio. Come si può esprimere con sincerità un pensiero se non riconosciamo le parole che stiamo (o stanno) producendo? Ci accontentiamo di rumori e suoni apparentemente piacevoli, e scusiamo (se non addirittura lodiamo) le più becere manipolazioni testuali. Pronunciare perfettamente, nel canto, sequenze di parole in modo da dare SENSO (sia nell'accezione psicologica che direzionale) a quanto si sta dicendo, ovvero conservare nella sua più raffinata ritmicità la stessa comprensibilità di significato che ha nella vita (sostenuto, poi ulteriormente, dal contesto e quindi dalle condizioni psicologiche del momento in cui vengono dette - nervosismo, rabbia, dolcezza, conversazione, bugia, ecc. ecc.) sarà uno stimolo fondamentale e gigantesco allo sviluppo sonoro di ogni genere di canto.

sabato, dicembre 05, 2015

Simulare l'errore

E' piuttosto frequente che l'insegnante simuli un errore per far capire come non si deve fare. Se posso ammettere l'imitazione immediata dell'errore compiuto da un allievo, seguito dall'esempio corretto, mi lascia più che perplesso la simulazione astratta. Si trovano in rete o in video, esempi eseguiti da insegnanti o cantanti, persino allievi, che vorrebbero far capire cosa non si deve fare simulando un particolare errore. La cosa è grottesca, inutile e ridicola.Uno può dire, ad esempio: "per cantar bene non bisogna aprir molto la bocca", e fare l'esempio aprendo molto la bocca ed emettere un suonaccio. Peccato che chiunque abbia un minimo di capacità canora, può far riferimento a qualunque cosa da non fare e pretendere di dimostrarlo emettendo orribili suoni mediante un esempio ad hoc. Infatti la stessa persona potrebbe benissimo dire subito dopo: "per cantar bene non bisogna tener chiusa la bocca", e rifare lo stesso suonaccio di prima! Molto più difficile il contrario, cioè dimostrare di saper emettere suoni giusti con il giusto modo e facendo riferimento a fondamenti verificabili. In ogni caso questo modo di pubblicizzare l'educazione vocale è poco utile e spesso confusionaria. Non si può dire: "fate così che verrà bene!" L'arte vocale è una conquista che richiede tempo (molto), e in questo tempo possono succedere mille cose. Può essere necessario aprire molto la bocca, ad esempio, in una fase iniziale dello studio, ma ci sono alcuni che esagerano, per cui occore chiedere di aprire meno. Ci sono persone che aprendo si irrigidiscono e quindi tale manovra provoca difetti. Qualunque cosa, consigliata come positiva, se non fatta con determinati criteri, può generare difetti. Ad esempio io faccio continuo riferimento al parlato. Se non fatto secondo giuste modalità, non solo non sarà utile, ma potrebbe comportare anche conseguenze negative. Quindi ogni esercizio, ogni consiglio, può avere controindicazioni, e di conseguenza chi insegna può simulare un difetto facendo l'opposto per convincere chi guarda che quel modo di fare è erroneo, ma se non è in relazione diretta con quanto sta facendo l'allievo in quel momento, è un'operazione di facciata, pubblicitaria, e dunque superficiale e poco onesta. Questo modo di fare, poi, è particolarmente utilizzato per mostrare gli errori "degli altri", e convincere che chi sta parlando invece la sa lunga. L'unico modo corretto, anche da un punto di vista etico, di deontologia professionale, è insegnare bene, dire cose sensate e fare esempi corretti.

lunedì, novembre 30, 2015

L'antitecnica

 Chiunque si sia avvicinato alla scuola di vocalità e canto di cui sono esponente, può benissimo testimoniare la "antitecnicità" che essa rappresenta. Antitecnica per tutto quanto emerge dalla maggior parte delle scuole oggi presenti, cioè movimento volontario di qualsivoglia parte interna all'organo vocale, qualunque posizione, movimento, postura o attività che comporti come riflesso una tensione muscolare interna, qualunque implicazione psicologica legata a posizionamenti volontari del suono vocale in posti interni, e in particolare indirizzamenti verso parti del capo diversi dalla bocca, coinvolgimenti della laringe, del faringe, della lingua, tentativi (vani) di movimentare in qualche modo il diaframma, tentativi di esercitare la respirazione senza coinvolgere, in modo semplice e intelligente, la fonazione. Ho fatto un succinto elenco di alcune cose da eliminare dal vocabolario del buon insegnante e buon allievo di canto, già si sa cosa invece deve entrarci, basta sfogliare questo blog: pronuncia semplice ma perfetta (quindi da perfezionare per chiunque apprende) di parole, di frasi, di sillabe e di singole vocali sia in modo colloquiale che intonato, espandendo tale pratica su tutta la gamma propria del soggetto; uso di ogni dinamica dal sospirato più impalpabile al fortissimo, comprese le particolarità coloristiche che prendono il nome di falsetto, falsettino e falsettone, voce chiara, voce scura, gradazioni, cambi di registro sulla stessa nota. Con questa sola annotazione c'è da studiare per anni! In particolare chi ha già seguito corsi di studio di tutt'altra "indole" e si trova inguaiato e vorrebbe correggersi, la prima cosa da fare è tentare, ma sotto una guida esperta, perché da sole combinerebbe solo altri guai, di rimettersi a "parlare"! Questo indurrà a eliminare la cosa più dannosa e più frequente, cioè LA SPINTA! Tutti spingono come dannati, la voce viene assimilata a un prodotto denso da estrudere con un pistone!!! La strada virtuosa è quella che passa per l'espirazione, cioè la totale mancanza di materialità e l'assimilazione del suono al fiato, da far scorrere fluidamente senza alcun contrasto fisico, fibroso, materiale. Chi non ha mai cantato e non si è fatto troppi castelli in testa sulla "voce lirica" sull' "impostazione operistica", sull'imitazione di questo o quel cantante, sulla mitizzazione di questo o quel metodo e di un determinato tipo di suono. La voce non ha corpo, contrariamente a quanto dicono molti insegnanti, il corpo (inteso come pienezza, sonorità e ricchezza) che risulterà quando sarà ottimamente educata, sarà il risultato finale di un processo che non deve e non può coinvolgere direttamente nessun muscolo. Voler atteggiare l'anatomia interna nella ricerca o con l'illusione di ottenere un importante risultato, è velleitario e fallimentare, per chi cerca il sublime e l'artisticamente elevato. Può essere accettato e accettabile da chi cerca un risultato "tecnico", cioè perfezionabile, sostanzialmente rozzo, impreciso, incoerente. E' naturalmente una posizione molto più comune e diffusa, dunque hanno buon gioco quegli insegnanti che basano il loro insegnamenti su sentito dire, su ipotesi astratte, su consigli letti o provati ma con risultati discutibili. Una scuola d'arte si pone obiettivi molto ambiziosi, che molti non accettano o che ritengono utopistici o supponenza e presunzione, non rendendosi conto che i primi presuntuosi sono loro, visto che suppongono di essere dalla parte della ragione, senza nulla sapere di ciò che stanno giudicando. Una scuola si può valutare solo nel momento della lezione, dell'incontro, dello scambio di idee, e non per quanto viene scritto, detto o comunicato con mezzi mediatici, anche se questi sono un importante mezzo di orientamento.

sabato, novembre 28, 2015

Il trattato - 19 - L'imposto della voce

Salto il 3° capitolo, almeno per ora, che riguarda registri e passaggi, perché è un tema fin troppo inflazionato e passo al 4°, che riguarda l'imposto della voce.
"Non si educa la voce a parole o con metodi sbagliati o difettosi; chi educa la voce umana deve dimostrare, con la propria voce la differenza che c'è tra una "voce perfetta", cioè emessa perfettamente, ed una emessa con qualsiasi difetto; deve, cioè, poter dimostrare con la propria voce il difetto in atto e la differenza che c'è col perfetto. Chi non sa fare questo non può educare la voce ed è, anche se in buona fede, un cattivo maestro. Si sentono spesso citare i termini: "mandibola a ciabatta; voce In maschera; tubo beante; appoggio; voce sul diaframma, respirazione diaframmatica; respirazione costale; voce ingolata; voce indietro; voce nasale; voce gutturale; voce caprina; voce di petto; voce di falsetto; voce di testa; unione dei. registri; colpo di glottide; posizione della lingua, posizione della laringe; gola aperta; velopendulo alzato e abbassato; suoni stretti e larghi; palla di suono, suoni girati; suoni alti e bassi; suoni chiusi e aperti; appoggio sulle reni"; ecc, ecc, ecc. Non vi è certo penuria di trattati e di termini, anche se alcuni utili come orientamento e certamente scritti in buona fede. Ma come abbiamo già accennato, il segreto, se di segreto si tratta, è la serietà di studio: un tutto coerente, unito ad una certa predisposizione che consente una ricerca conforme ad una certa logica, che vuole l'alimentazione (respirazione) perfetta, affinché tutti i termini dell'argomento canto diventino propri per quel "belcanto" che, nell'Intento di tutti, dovrebbe essere il migliore. Per ciò che riguarda la terminologia come "voce in maschera, appoggio, ecc., sarà bene chiarire che sono tutti termini soggettivi e che non dicono e non insegnano niente a nessuno. Questi termini vengono usati e abusati anche da cantanti che godono di una certa popolarità: ognuno ha un'idea personale del termine, perché la subordina alle proprie esperienze e al proprio modo di cantare. Sarà quindi prudente non accettare questi termini, anche se sono noti e sono stati tramandati credendo di agevolare chi si dedica allo studio del canto, mentre, in realtà, creano confusione e convinzioni che poi sono o diventano impossibili da sradicare. Generalmente, per educare la voce, si ricorre a cantanti o ex cantanti che godono o hanno goduto di una certa popolarità. Anche in questo caso la prudenza deve mantenersi entro certi limiti che, purtroppo, vengono spesso trascurati. Infatti, sono moltissimi coloro che hanno cantato su un certo pregio naturale più che su una buona scuola, e ne consegue che non si adattano e sono impropri per un insegnamento esemplare. La voce si educa con gradualità e mai con l’agilità. Chi usa questo metodo fissa, indiscutibilmente, dei difetti che sono poi difficilmente eliminabili."
Sulla maggior parte di quanto scritto non credo di dover chiosare. L'ultima affermazione forse sì. In realtà il maestro ha in diverse occasioni scritto e detto che uno dei sistemi educativi efficaci è la velocità (per ingannare e aggirare l'istinto, se ne parlerà in seguito), che non dia tempo e modo all'istinto di organizzarsi e reagire. Diverso può essere un metodo basato sull'agilità, cioè esercizi di notevole complessità, cadenze, brani tratti da opere con escursioni nella zona acuta e sovracuta, che in mancanza di una solida base, possono provocare spoggio della voce.
"La voce va trattata con delicatezza e l'istinto va aggredito con astuzia e intelligenza. Non si dovrà mai mettere l'istinto in condizione di vincere l'intenzione. L'istinto si può aggredire di forza, ma è necessario trovarsi in piena efficienza fisica e nel momento più opportuno. L'istinto si può aggredire togliendo il peso alla voce, ma è difficilissimo, perché è necessaria una preparazione di scioltezza dell'organo che non è possibile spiegare senza incorrere in false interpretazioni. L'istinto può anche essere aggredito in velocità, ma in questo caso occorre una sicurezza da parte dell'educatore veramente non comune (martellando i suoni o picchiettandoli lentamente, specie quando si. tratta di voce femminile). Suggerimenti di come si devono atteggiare le labbra, la lingua e il "tubo vocale" in genere, o di come si deve indirizzare la colonna aerea, o dove deve "battere il suono" o di come si deve respirare, possono essere validi solamente nell'intenzione del trattatista, ammesso che sia valido. L' Arte o la sublimazione di un atto si può ottenere o insegnare solamente seguendo la logica che la conquista richiede, con una feroce disciplina e in un tempo che, pur variando da soggetto a soggetto, è sempre lungo, e in alcuni casi lunghissimo, con progressivi e lenti risultati, sempreché l'insegnante sia valido e l'allievo estremamente disciplinato e sensibile.
È indubbio che la bellezza e la qualità della voce siano elementi essenziali per indirizzarsi verso la vera Arte della fonazione, ma è altrettanto vero che, spesso, queste buone qualità diventano una trappola, perché inducono chi le possiede a trascurare i forti studi, per elevare la predisposizione a conquista sensoria."
Sono veramente rari i soggetti che pur avendo una voce ragguardevole, sotto diversi punti di vista, si sottopongono a una disciplina che porti a una piena presa di coscienza di come essa si sviluppa e si fissa nel tempo. Da un lato è scusabile l'urgenza, l'impeto e l'entusiasmo giovanile, ma il più delle volte è la "corte" di amici, parenti e "consigliori" che getta nelle mani (o "in pasto") al pubblico e agli agenti privi di scrupoli questi giovani (spesso anche i bambini), indirizzandoli o al fallimento o a una vita che poi potrà rivelarsi deteriorante anche sul piano psicologico.
"È noto come il colore rotondo-oscuro sia efficace per rendere di grande effetto certi passi di un testo. Ma, a questo proposito, vorremmo mettere in guardia chi tenta o cerca di estendere questo colore oltre un certo limite; perché, anche se vi sono delle possibilità in certe voci di estendere questo colore di qualche semitono, rispetto ad altre voci, generalmente, tutte le note che si considerano acute, tendono, e devono tendere, al chiaro, cioè a schiarire (senza sguaiare). Infatti, non seguendo la logica della anatomia e fisiologia dell'organo, si incorre inevitabilmente nell'ottenere suoni peggiori o pessimi."
Questo è un argomento delicato, perché su esso si concentrano polemiche e schermaglie non di poco conto. Chi dice o pensa che il canto lirico sia un canto "scuro" è decisamente in errore e fuori da qualunque logica. Chi pensa che il colore scuro sia indispensabile, ovvero l'unico modo, per educare la voce, lo è altrettanto. Vero è, invece, che una voce ben educata debba possedere tutti i colori propri di una voce umana, compreso quindi lo scuro, che è o può essere uno stratagemma espressivo utile e anche importante per rendere coerentemente e convenientemente alcune pagine canore o anche solo alcune frasi. Altrettanto vero è che occasionalmente il colore oscuro possa essere un utile stratagemma educativo per affrontare alcuni difetti o difficoltà di un alunno. I colori possono rivelarsi utili ma posseggono anche tratti di "pericolosità"; il color chiaro tende a sollevare e quindi può incorrere più facilmente nello spoggio vocale, mentre il color scuro può incorrere nell'affondo, ovvero nell'intubamento, opacizzazione e vari altri difetti che si indicano genericamente col termine di "voce indietro". Però mentre il colore chiaro non produce, di regola, alcun tipo di ripercussione sulla pronuncia, anzi il termine "chiarezza" è proprio di una esecuzione ben comprensibile, il colore oscuro viene disastrosamente eseguito con modificazioni importanti, del tutto improprie e illogiche, sulla buona dizione, per cui non pochi insegnanti e cantanti giungono a consigliare di non pronunciare in modo chiaro la A, la I, la E e persino le altre vocali. Ci sono persino scuole (diciamo così) che sostengono che la pronuncia non sia importante e che il testo non importa se non è ben comprensibile. Queste sono da ritenere bestemmie vere e proprie, e chi dice questo non è degno di rappresentare a nessun livello il canto, e non può che produrre danni e involuzione. Sono persone da evitare e da abbandonare, anche se celebri, se hanno una importante carriera e se vengono ritenute da molti dei buoni cantanti o buoni insegnanti. Pure un grandissimo e validissimo cantante come Aureliano Pertile, da elogiare per quanto ha compiuto sul palcoscenico, ha poi scritto cose discutibilissime e che sconsiglio di seguire. La voce ben educata ha un proprio colore specifico che potremmo definire "chiaroscuro", cioè ci sono elementi di entrambi i colori, che denotano un uso completo ed equilibrato delle componenti fisio-anatomiche e che si rivelano in un flusso pieno e gradevole. Chi ha privilegiato in modo squilibrato il color chiaro finisce per avere tratti della gamma "vuoti", come sospesi per aria, zone della gamma inespressive, e non di rado per cercare di rimediare finiscono per ingolare o creare artifici. In ogni caso deve sempre vincere il consiglio di non imitare, non scimmiottare, non mitizzare in modo idealistico, ma partire e sviluppare sempre la PROPRIA voce, accettandola per come è e facendo quanto dice il maestro in tema di SVILUPPO ed EVOLUZIONE, non modificazione, non trasfigurazione, ma ELEVAMENTO.

lunedì, novembre 16, 2015

"Bei tempi" - L'illusione

Non so se sia più specifico dell'età moderna, non credo, fatto sta che all'uomo non piace vivere nel presente. E' perennemente in bilico tra un passato - che non c'è più - e un futuro - che non c'è ancora. Indubbiamente il presente, ovvero la realtà, ci può dare l'idea di essere difficile da vivere, fatto sta che questo altalenarsi tra passato e futuro ci fa vivere in una perenne illusione! Vorremmo fuggire o sfuggire alla realtà, configurandola negativamente, rifugiandosi nei ricordi, nelle ricostruzioni di un passato spesso artificiale, per sognare un futuro migliore. Alla fine tutto ciò ci porta alla sofferenza. Purtroppo c'è poco da fare, perché lo stile di vita attuale è talmente costruito e imperniato sull'illusione che per uscirne occorrerebbe una rivoluzione personale insostenibile se non da pochissimi. Cioè o una parte (sostanziosa) dell'umanità comincerà a orientarsi diversamente, escludendo gradatamente determinati aspetti in cui si è cacciata, o dovrà esserci una vera rivoluzione, oppure andrà a perdersi in chissà quale degrado. Ma lasciamo stare, non è argomento da trattare in questo blog. Perché, invece, l'ho tirato fuori? Perché in qualche modo ci riguarda. Se è vero che anche in questo mondo (quello del canto e della vocalità) guardiamo sempre indietro (qui facciamo continui riferimenti a cantanti del passato e anche a maestri antichi), c'è modo e modo di affrontarlo. Un conto è associare uno o più modelli, che ci possono dare un'idea di un obiettivo raggiungibile (quindi non un miraggio), un conto è rivolgersi a un passato virtuale. Mi riferisco in particolare ai cultori degli antichi trattati. Se io sento Gigli, Schipa, Stabile, ecc., posso farmi l'idea di un'estetica vocale e musicale peculiare. Se mi riferisco a un "libro" che parla di un certo modo di cantare, non mi riferisco a niente! Sono parole, liberamente interpretabili e che non mi forniscono alcun modello cui riferirmi. I primissimi trattati, poi, Tosi e Mancini, sono stati addirittura concepiti da cantori castrati, di cui vocalmente non possiamo ormai più immaginare niente di significativo, le cui caratteristiche fisio-anatomiche erano talmente distanti da qualunque altro cantante odierno da considerare quegli scritti cimeli da museo. Ma anche escludendo quelle prime opere, non possiamo non considerare che uno o due Secoli, considerando i mutamenti genetici, da non sottovalutare, le condizioni ambientali rivoluzionate, che non hanno certo lasciato immutate le nostre capacità e caratteristiche sensoriali, modificano profondamente il rapporto con la nostra sfera percettivo-espressiva, perlomeno dal punto di vista della narrazione scritta, considerando poi anche alcuni mutamenti sul piano lessicale e semantico. Con ciò non voglio dire che la trattatistica vocale vada messa in soffitta e rivolgersi solo a quella presente, anche perché faremmo un bel magro guadagno, ma dico di rivoltare il canocchiale. Guardare agli insegnamenti scritti nel passato, vedendoli ingranditi dalla nostra lente di ingrandimento, perché "il passato è bello", ci fa prendere abbagli, ci porta sulla strada dell'illusione. Chi si occupa virtuosamente di canto, di vocalità, deve avere un fondamento, una base intuitiva solida, confrontabile, relazionata, coerente, sintetica e olistica. Se questa poetica, non teorica ma sostenuta da esempi e da pratiche di evidente positività, ecco che può confrontarsi anche con quanto ci ha lasciato il passato, vuoi di tipo teorico che esemplificativo. Però, ripeto, il focus non può e non dovrebbe essere un baule di parole che non si possono più discutere e ampliare perché legate a un tempo passato. Il maestro o è "qui e ora", sa quel che fa, sa quel che fare e far fare, sa dove va e dove arriverà, o altrimenti non sa niente, non può dire: in base a quanto disse tizio e caio si deve fare così e si arriverà là, perché lui si è come deresponsabilizzato e carica di significato parole, concetti e pratiche non sue, e che quindi non può garantire. Molte scuole, compresa questa, apprezzano poco o niente di quanto si sta facendo e vendendo sul piano scientifico in tema di insegnamento artistico e specificamente vocale. Non è poi così diverso vendere competenza vocale di tipo storico-leggendario non proprie, se non c'è una evidente e dimostrabile competenza vocale e didattica fondata su principi e coscienza propri. L'arte si deve giocare sulla pelle propria, non va delegata.

domenica, novembre 01, 2015

"Zitti zitti piano piano" - video

Inserisco un video di commento al precedente post sui suoni piano. Ho poco tempo a disposizione e forse anche poca pazienza, quindi ho girato di getto; alcune cose avrebbero meritato di essere rifatte, ma credo che nella sostanza il tema sia stato trattato.

venerdì, ottobre 30, 2015

Decadenza e insegnamento

Ogni fenomeno ha la tendenza naturale a decadere. La decadenza può essere fisica, quindi il fenomeno si esaurisce o cessa la sua attività in un tempo più o meno lungo, oppure può essere di tipo psicologico: se un fenomeno si ripete eguale nel tempo, non incontra l'interesse, per cui pur proseguendo nella sua attività fisica, è come se morisse, in quanto nessuno, o pochi, ne vengono attratti. I fenomeni che perdurano nel tempo, non continuativamente ma in varie forme, vanno comunque sempre incontro al rischio di decadimento specie se richiedono un particolare, impegno, energia. E' l'istinto stesso che ci porta a dare meno importanza alle materie che si prolungano nel tempo, ovvero a cercare strade per ridurre l'impegno e quindi l'energia impiegata. L'insegnamento, in ogni sua accezione, corre seriamente questo rischio, perché rappresenta il perdurare di una pratica ripetitiva. Naturalmente scrivo questo non perché io credo che SIA realmente una pratica ripetitiva, ma di fatto lo è nella stragrande maggioranza dei casi. Purtroppo lo è anche nel caso del canto. Gli insegnanti tentano di presentarsi con aspetti di novità, di originalità, di sorpresa, ecc., ma di fatto perpetuano stereotipi già decadenti di per sé, cioè il ripetersi di esercizi tecnici senza reali fondamenti. Per quanto bravi dal punto di vista semantico e affabulatorio, la mancanza di solidi riferimenti a come funzioniamo e quindi a ciò che è necessario sapere per poter conquistare l'arte vocale (e respiratoria) non può che produrre delusione, dubbi, incertezze, "transumanze" da un insegnante all'altro, non sempre necessariamente da uno meno bravo a uno più bravo, ma semplicemente da qualcuno che non ci accontenta a qualcun altro che qualcun altro (!!) ci consiglia come bravo. Da qui espressioni come "bisogna prendere un po' da tutti", "a ciascuno il proprio insegnante", e così via. Su questa seconda asserzione non sono del tutto in disaccordo; ci sono aspiranti cantanti con obiettivi talmente distorti già in origine, che devono per forza trovare insegnanti altrettanto "distorti", cioè che avallano idee assurde, ma dove considerarle assurde può essere considerata un'idea di parte, dunque può anche essere rispettabile. L'idea di innovare l'insegnamento per poter essere più originali e interessanti, ha una base e quindi una giustificazione, perché il tempo rischia di portarlo ad esaurimento per scarso interesse, ma il modo di innovare non deve essere formale e apparente, ma si deve basare sui contenuti. Lo stesso discorso vale per il canto nel suo insieme e per il teatro. Invece di mantenere alto il livello con nuove produzioni, nuovi stili, si cerca la via facile della spettacolarizzazione, dello scandalo, degli effetti speciali, quindi di tutto il contorno, senza entrare nello specifico, nel nocciolo dell'arte cui fa riferimento, anzi abbandonandolo e quindi consentendo il suo inesorabile decadimento.

venerdì, ottobre 23, 2015

"Zitti zitti piano piano"

Da sempre il m° Antonietti ha segnalato il "piano" in tutte le sue forme (mezzavoce, sospirato, falsetto, falsettino, flautato, ecc.) come un efficace mezzo di educazione del fiato ovvero di aggiramento dell'istinto. In tempi successivi scoprì e quindi divulgò una verità ancor più sorprendente: il suono "piano" è la base della voce. Nel tempo ho potuto sperimentare su me e sui miei allievi che è proprio così. L'utilizzo di esercizi in piano, pianissimo, falsettino, sospirato sono quanti mai efficaci per individuare il punto di nascita delle vocali; è utile in quanto non stimolando la reazione del diaframma per la mancanza di peso, permette per l'appunto di percepire lo scorrere del fiato-suono fino al punto in cui la vocale si forma realmente e pienamente. Questa consapevolezza, che può determinarsi in tempi non lunghi, consente anche di realizzare quella "alimentazione" della voce, la cui carenza è quel diffusissimo difetto che possiamo descrivere come staticità, sia vocale che musicale; il "tubo beante", di cui parlano anche maestri antichi, consiste appunto in una totale libertà dello spazio oro-faringeo, dove la pronuncia, perfetta, non crea tensioni, contorsioni, difficoltà, forzature, ma esce limpida e fluida grazie per l'appunto a una scorrevolezza e costanza mirabili (libera risonanza esterna). La naturale percezione (interna) di vocali anteriori e posteriori deve sparire, in quanto falsa e ingestibile in un obiettivo di omogeneità a ogni livello, compreso quello del sillabato rapidissimo. Solo il flusso mentale, cioè la nascita esteriore del suono come creato dalla mente, da osservare come spettatori, è da considerarsi meta artistica; il suo raggiungimento passa obbligatoriamente dal suono piano. Ma anche il suono forte e fortissimo sono da considerarsi come portati del piano, assolutamente non trattenuto, al contrario, fluido, che per parecchio tempo è quasi da vivere come consumo e persino spreco! Dire "spreca fiato" può sembrare folle, specie se considerariamo che quasi tutti gli insegnanti ci mettono in guardia sulla necessità di "risparmiare" fiato. Beh, è una questione da chiarire. Quando si canta non è possibile sprecare fiato realmente, se non ci sono vistosi errori (tipo emettere spesso le "acca" aspirate), perché le corde vocali impediscono una uscita considerevole di aria. Ma l'idea di sprecare fiato non crea pressione sottoglottica, perché la percezione del fiato è diversa da quella comune del suono vocale, quindi questo consiglio evita il difetto opposto, cioè il TRATTENERE il fiato, staticizzarlo e creare tensione e chiusura glottica (che è invece la spinta meccanica che si realizza pensando al suono, che invece è più legato ai muscoli). In ogni modo consigliamo vivamente a tutti, cantanti in erba e avanzati di esercitarsi spesso in modalità piano, fino al sospirato più ridotto, facendo bene attenzione a che non ci sia alcun rumore, alcuna frizione in bocca o gola, in totale rilassatezza. Il sospirato deve essere il portato di un sentimento di sollievo, di riposo, di stupore, di affetto. Naturalmente non ci riferiamo solo a vocali, ma a intere frasi, da farsi con o senza intonazione.

venerdì, ottobre 16, 2015

Matrix

L'ipotesi di vivere in una realtà virtuale appartiene alla fantascienza, però possiamo constatare, con un po' di attenzione, che stiamo vivendo comunque in una realtà piuttosto alterata. Che sia stata la TV a portarci su questa strada è cosa scontata, però questa patina si è ormai diffusa un po' a tutto il mondo che ci circonda, in particolare quello dello spettacolo, laddove poi si è cercato di trasformare tutto in spettacolo, e dove le persone ormai inglobate in questa pseudo realtà fanno da diffusori di questo virus.
Se si vanno a riguardare le trasmissioni televisive degli anni 50/60 (su youtube è semplicissimo),  si può notare che gli attori, i cantanti, i presentatori che apparivano in quegli anni erano persone come noi; personaggi di bravura stratosferica, apparivano in televisione con la semplicità e la presenza che potevano avere nostro zio, il nostro vicino di casa, l'uomo che si incontrava per strada, insomma. Si percepivano nelle loro performance l'emozione, la tensione di un evento che richiedeva impegno, studio, disposizione, tanto lavoro, e al termine si percepiva anche la liberazione finale. Ma, in quelle condizioni, gli errori, le distrazioni, gli imprevisti, erano sempre in agguato. Quanti avevano fatto teatro, e quindi convivevano con quella possibilità, sapevano trarsi d'impaccio e non di rado creare situazioni ancor più interessanti. Ma sappiamo che la pigrizia è perennemente nostra compagna, da un lato, e una certa classe dirigenziale, particolarmente abile a uccidere l'arte, ne è il supporto ideale. Perché vivere in quello stato di timore quando i mezzi tecnici potevano consentire di eliminare ogni errore. E così in poco tempo la TV abolì totalmente la ripresa diretta (tranne gli eventi sportivi, qualche spettacolo teatrale - ma sempre meno - e qualche episodio di cronaca) per passare alla registrazione su ampia scala. Questo ha inferto un colpo micidiale a quanto di buono aveva prodotto la tv nel periodo precedente. Tutto standardizzato, modulizzato, ripetuto, anestetizzato. Per un po' di tempo hanno tenuto duro un po' di bravi attori e conduttori, che in virtù della loro precedente attività sono riusciti a sopravvivere e a far sopravvivere qualche trasmissione, ma in un decrescendo inarrestabile. Le conseguenze le vediamo facilmente in quegli spezzoni che qualcuno forse considererà divertenti che sono gli errori o "papere" durante le riprese. Praticamente questi sedicenti attori non hanno più alcun interesse a far bene, giusto, perché le scene si possono girare decine di volte, e ridacchiano e fanno ogni genere di verso, tanto si taglia, si rigira, si monta. La potremmo definire anche questa una "maschera": da un lato il prodotto finale, che si definisce "professionale" (!!), dall'altro il monte ore di riprese che nascondono una totale mancanza di reale professionalità, intesa come impegno, studio, dedizione. Ma se la tv ha creato questo disastro, non è che al di fuori le cose vadano tanto meglio solo perché non c'è il montaggio, ovvero la possibilità di rigirare le scene. Il concetto di professionismo che è andato diffondendosi ha creato altri tipi di mostri. Ascoltiamo i cantanti d'opera degli anni 50-60, se non prima, ma anche pianisti, strumentisti, orchestre, e noteremo le stesse differenze! Possiamo dire che allora non fossero professionisti? Spero di no, ma i pianisti sbagliavano le note (Michelangeli lo chiamavano "marziano" perché era uno dei pochi che riusciva a fare un intero concerto non sbagliando quasi niente), i cantanti stonavano, steccavano, sbagliavano le parole. Non è che non succeda più per niente, perché comunque, e fortunatamente, le persone sbagliano e sono preda di emozioni più o meno forti che portano a errori vari, ma l'industria dello spettacolo cosa ha fatto, cosa ha voluto, cosa ha finanziato e premiato? tutto ciò che si distanziava da un possibile concetto di "dilettantismo" inteso come sbaglio, imprevisto, modifica del progettato. Tutto deve andare come è stato deciso. Allora si confezionano spettacoli dove tutto è calibrato al millimetro, soprattutto grazie a macchine ed elaboratori. L'incognita è l'uomo, naturalmente. Ma si può far selezione. E la selezione cosa premia? L'affidabilità. Cosa significa? Che se un cantante, o un musicista, o un attore o altro, che riesce a vincere determinate forze che possono portarlo a sbagliare, è considerato vincente rispetto a chi non raggiunge gli stessi risultati. Questo INDIPENDENTEMENTE dalla qualità! Il che ha significato una lenta ma inesorabile spersonalizzazione. E' logico che la macchina, e quindi l'uomo macchina, colui che riesce a staccarsi dalle emozioni, dalle paure, riuscirà a vincere la propria scommessa nella società dello star system, dove il bravo artista, anche affidabile, ma più comunicativo, quindi che può destare meno sicurezza appunto perché comunica anche quel certo timore, avrà molte meno chances.
E' questo il pensiero che mi ha destato Salvo in un commento di qualche giorno fa, e che ho ritenuto di dipanare più ampiamente qui.

sabato, ottobre 10, 2015

Della libertà

Come avviene un'appropriazione? informazioni, sotto forma di vibrazioni, vuoi luminose, vuoi acustiche o di altro tipo, penetrano in noi attraverso vari canali sensibili e raggiungono i nostri centri neurologici. Fin qui tutto noto e normale. Però non siamo ancora all'appropriazione vera e propria, ma solo alla comunicazione di un fenomeno esterno all'uomo. Se questa comunicazione fosse continuativa e omogenea, specie se di natura ponderosa, non sarebbe appropriabile. Cioè, ad esempio, un suono lungo e molto forte o una sequenza di suoni uguali e forti, non potrebbe essere appresa, rimarrebbe allo stato di percezione esteriore. Lo stesso vale a diversi livelli. Una persona che parla sempre con lo stesso cadenzare, con un certo ritmo costante nel parlato, stessa intensità di voce, dopo poco annoia e non lo si ascolta più. Anche le persone che gridano, tipo certi insegnanti, non si rendono conto che fanno un buco nell'acqua se pensano di essere più incisivi; anche molti genitori, per altro, non comprendono che gridare sempre rende inefficace l'azione educativa. Questo principio equivale a un fenomeno legato alla forza di gravità: una trave per reggere una soletta non può essere lunga più di un tot (a seconda dei materiali), perché c'è un limite oltre il quale la trave si rompe, si divide, perché non regge più il proprio peso, oltre a quello che deve portare. In compenso a un certo punto della Storia ci si rese conto che si potevano costruire travi di lunghezza straordinaria mettendo insieme tanti pezzi! Si è scoperto, semplicemente, che in questo mondo molte cose funzionano meglio ARTICOLANDO! Tutto è articolazione; il parlato è articolazione, il corpo è articolato, ecc. MA!, attenzione, affinché l'articolazione funzioni, deve permettere la relazione tra le parti e dunque una ri-unificazione. Articolare significa avere dei "pezzi" comprensibili ("digeribili"), proprio perché più elementari, semplici, rispetto al tutto, troppo pesante e "ingombrante", ma ciò che interessa apprendere è il tutto, e questo obiettivo lo si può raggiungere solo se unifico, cioè assimilo, il primo elemento, che dovrà unificarsi col secondo, divenendo a sua volta unità, poi col terzo e così via. Se ci sono le condizioni, a un certo punto arriverò all'ultimo elemento, che se si unificherà coi precedenti e diventerà un'unità complessiva; in sostanza avrò unito l'inizio con la fine. Questo procedimento, nella filosofia Husserliana (fenomenologia), è definito trascendimento. Ma cosa significa più approfonditamente? Ogni volta che la coscienza ha assimilato - o unificato - un elemento, si è liberata, e questa è la condizione necessaria affinché si possa assimilare il secondo elemento. Se questo accadesse per tutto il fenomeno, noi al termine, oltre ad esserci completamente e perfettamente appropriati del fenomeno, ci troveremmo in una paradisiaca condizione di libertà! E' ciò che avviene, o può avvenire, quando ci appropriamo veramente di un'opera d'arte: un libro, un manufatto, un brano musicale. Ma molto spesso (quasi sempre) cosa succede in questi "interstizi" tra l'unificazione di un primo e di un successivo elemento (cioè il momento della liberazione), prima di aver completato l'apprendimento complessivo? Subentra il pre-giudizio. In genere, ma pressoché sempre, noi non siamo in grado di attendere, vogliamo giudicare, ci facciamo un'idea, vogliamo intervenire, interrompere e dire qualcosa. Un giorno lessi un piacevole raccontino-metafora: Un uomo occidentale si mise a parlare concitatamente con un saggio orientale, forse per protestare rispetto a qualcosa. Andò avanti a parlare per parecchi minuti, senza che l'altro dicesse alcunché. A un certo punto terminò. L'altro rimase ancora in silenzio, sicché, quasi istantaneamente, l'uomo occidentale gli gridò: "Beh? non hai nulla da dire?" e l'altro rispose: "volevo aspettare nel caso avessi ancora qualcosa da aggiungere". Secondo me è emblematico di tutto ciò che manca oggigiorno (non so se in oriente sono ancora così pazienti...). Provate ad analizzarvi quando parlate con qualcuno, provate a osservare cosa succede nelle conversazioni, specie quelle oscenità televisive! Nessuno attende mai che un altro termini, anzi, spesso e volentieri quasi non si attende nemmeno che l'altri inizi un pensiero, che già si interrompe, si fanno facce, ci si alza e urlando si esce, e così via. Manca la pazienza, ma soprattutto manca la coscienza della vera percezione, dell'apprendimento. Se oggi dilaga l'ignoranza non c'è da meravigliarsi. Si pensa che non ci sia ignoranza perché si studia molto, si conoscono nozioni e informazioni di tipo culturale, si legge. Ma tutto ciò è in gran parte una rudimentale e informata ignoranza. Mancano le relazioni tra le parti, manca la coscienza di un tutto, manca la capacità di mettere insieme "i pezzi", il pregiudizio è sempre presente, e blocca o riduce le capacità di assimilazione e apprendimento profondo ed efficace, e questo pregiudica la libertà! Se vengono a mancare i requisiti di libertà, viene a mancare la gioia, la serenità, il piacere che da essa scaturisce. E' indispensabile, non con la forza, quindi non reprimendo, ma con il sentimento, con la pazienza, svuotare la mente, provare a vivere la felicità della percezione priva di giudizio, cioè della purezza e della visione interiore della realtà vera, priva di quelle sovrastrutture che noi stessi creiamo con i nostri retro pensieri costruiti e immotivati.
Questa lezione vale anche per l'apprendimento del canto, come di qualunque altra cosa. Ogni volta che facciamo un esercizio rischiamo, dopo le prime note o sillabe, o altro, di distrarci rispetto a ciò che stiamo facendo, nella volontà di giudicarlo. In questo modo non sappiamo veramente come l'abbiamo fatto, perché non ci siamo liberati, ma rimaniamo in uno stato di tensione dovuto al giudizio e a quanto ne consegue. Quindi l'esercizio più difficile è quello di eseguire svuotando la mente, cercando di eseguire senza giudicare, ascoltando neutralmente e attendendo ciò che dirà l'insegnante. Se si riuscisse a fare questo, le probabilità che l'esercizio abbia successo sono enormemente maggiori rispetto al consueto. E questo, lo ripeto, vale per qualunque cosa si voglia imparare.

venerdì, ottobre 02, 2015

Libri di canto

In questi giorni ho avuto modo di compulsare un trattato di canto, di cui preferisco non citare titolo e autore. E' un libro che ha già una ventina d'anni, anche se io ne sento parlare solo adesso. Il libro ha subito pesanti critiche, e solo leggendo copertina e prime pagine si comprende il motivo; piuttosto autoreferenziale e composto con un linguaggio molto ricercato, direi spesso del tutto incomprensibile. In genere questo tipo di libri, dopo una scorsa veloce, si mettono via; alcuni si divertono a bersagliarli in rete, altri ne fanno oggetto di culto. Ho cercato invece di leggerlo con distacco e oggettività. Comincerò col dire che ogni volta che mi capita in mano un libro sul canto, due sono le cose di cui vado in cerca: un fondamento, quindi anche una poetica unitaria e una completezza di argomenti. Raramente trovo il primo, non molto frequentemente il secondo! Anche in questo caso direi che latitano alquanto fondamenti, unicità e completezza. Però vorrei iniziare con una nota, almeno in parte, positiva. L'autore, o meglio autrice, non è una sciocca, non è certo una di quelle insegnanti che tramanda le solite cose più o meno arruffate e stereotipate, ma ha fatto della ricerca e si è basata su osservazioni e intuizioni non disprezzabili. Che questo abbia portato a conclusioni sostanzialmente folli, è purtroppo la tragica realtà, però mi ha piacevolmente sorpreso che abbia ragionato e inquadrato correttamente alcuni problemi. Il nodo fondamentale che affronta il libro è la respirazione. L'autrice giunge alla constatazione che l'aria "pressata" non è una valida premessa a un buon canto, e, ancor più acutamente, fa un distinguo fra aria di sopravvivenza e aria utile al canto. Questo, secondo lei, porta a due conseguenze: il canto "inspiratorio" e il canto sulla riserva. Canto inspiratorio non inteso che si canti inspirando, ma in una condizione simile, cioè allontanando il fiato respiratorio, eccessivo e pressato e mantenendo una condizione aperta come quando si inspira. Come questo si ottenga è arduo comprenderlo dalla pubblicazione, perché a queste premesse, interessanti e stimolanti, seguono rappresentazioni sensorie, mentali, a me sinceramente del tutto incomprensibili e anche intimorenti. Posso capire un certo indirizzo a coinvolgere tutto il corpo, per quanto velleitario, ma consigli a pensare tutto dietro, tutto al contrario (inspirazione in su, espirazione in giù), rotazione oraria verso il dietro, ecc., non solo collidono con ogni buon principio della mia scuola, il che non significa che non possa essere valido, ma non trova alcuna giustificazione nel libro stesso! Come dicevo, per seguire una certa scuola, ho bisogno di riscontrare un fondamento che giustifichi le scelte e i consigli offerti. Che questa cantante, che non è certo da censurare, ha fatto una buona carriera e possiede una buona vocalità, proponga certe immagini e certe tecniche che a lei possono essere state utili e le abbiano permesso di cantare validamente, non significa che sia una strada utile a tutti, per cui non può rappresentare una scuola, un modello condivisibile, ancorché comprensibile. Un altro punto che mi ha meravigliato è stato il definire la vocale attaccata duramente "consonantizzata", come ho fatto anche io tempo fa in questo blog. Sono contento che siamo arrivati allo stesso punto, con la medesima definizione, vuol dire che a certe osservazioni ci si può arrivare con una stessa impressione. Invece ho trovato estremamente deficitario il testo sugli argomenti svolti, e in particolare non prende minimamente in considerazione il tema dei registri. Da un lato potrebbe essere meglio così, ma in definitiva manca un capitolo essenziale nella comprensione delle strategie educative. In conclusione questo libro non è utile a niente; forse l'autrice non si è resa conto che gran parte dello scritto è pressoché incomprensibile, quasi illeggibile! Forse avrebbe dovuto farlo leggere e ricevere qualche consiglio sull'opportunità di utilizzare un altro linguaggio. Al di là di quello, però, non si comprende ugualmente lo scopo di tale manuale; non si può certo utilizzare per cantare, come del resto nessun testo lo è, orientativo nemmeno, perché non prelude a prese di coscienza (nonostante questa frase sia più volte esplicitata) significative, mancando ogni riferimento a "come siamo fatti". Non è poi nemmeno chiaro il rapporto tra scienza e arte. In alcuni capitoli il riferimento scientifico è stringente, con interi passi copiati da manuali, ma sembra di capire che l'autrice non nutra tutta questa fiducia nella scienza, per cui in conclusione può essere un libro da leggere per curiosità rispetto un modo alquanto bizzarro di affrontare la vocalità ma non privo di spunti intelligenti, ma che sconsiglierei di seguire.

martedì, settembre 29, 2015

Dell'energia

Se già non lo si sapeva per via intuitiva e quindi, diciamo, filosofica, anche la scienza è giunta alla conclusione che tutto è energia. Il problema grande è come controllare, produrre, incanalare, gestire questa energia, posto che riusciamo anche a definirla, a riconoscerla. In genere noi conosciamo piuttosto bene l'energia fisica, perché è quella che più facilmente riusciamo a riconoscere e gestire; in questo senso il fatto che anche la voce sia prodotta e governata attraverso energie fisiche, diciamo pure muscolari, è piuttosto normale e scontato. Vedo, recentemente, che anche altre scuole di canto stanno spostando la loro attenzione da tutta la ormai classica (e fallimentare) azione basata su movimenti anatomici, verso incalanamenti energetici, anche di natura psicologica, mentale o persino esoterica. Come sappiamo la linea di confine tra studi, assimilazione di discipline con risultati condivisibili e, almeno in parte, riconosiuti e riconoscibili e il mondo della fuffa è alquanto sottile. Non per niente, per molto tempo anche in questo blog ho preferito sottrarmi ad accuse di fumoserie filosofiche parlando di vocalità in termini pressoché scientifici e tecnici, passando solo in secondo tempo, e con cautela, a introdurre argomenti di natura gnoseologica. Naturalmente non sono mancati e non mancano coloro che si allontanano da questi argomenti, o addirittura fanno selezione tra ciò che gli sta bene e ciò che non accettano, non rendendosi però conto che tale operazione non porta a niente perché in una scuola di questo tipo si deve accettare la poetica nel suo insieme, e solo in questo caso tutto concorre a un certo tipo di risultati di cui possiamo assumerci pienamente la responsabilità.
Veniamo però al tema energia. Per quanto rozza e incosciente possa essere una tecnica di canto, non v'è dubbio che qualunque tipo di azione fisico-muscolare alla fine non può che concludersi con una pressione sul fiato polmonare, che a sua volta si ripercuoterà sulla laringe, c.v. e altre parti dell'apparato respiratorio, parzialmente coincidente con quello vocale. Questo, naturalmente, nel bene e nel male. Come ho avuto modo di esporre in decine di post, la pressione respiratoria MECCANICA in uscita, produce effetti negativi, in quanto non si limita a garantire una maggiore intensità vocale, ma produce effetti indesiderati negativi, anche molto, con difetti notevoli, talvolta patologici, lontani da criteri artistici di rilievo. Che questa attività produca ANCHE un certo spessore vocale, è vero, ma questo non può essere un dato di rilievo per chi vuole ambire a cantare, perlomeno, bene! Ricordo, quando ero bambino, che mio padre, appassionato di boxe, mi fece assistere in tv a un incontro dove un boxer di colore, mi pare si chiamasse Sugar, piuttosto smilzo e longilineo, incontrava un avversario di ben altra stazza e dimensione. Ebbene, il primo fin dall'inizio dimostrò una eleganza, una agilità e una precisione, del tutto assente nell'altro che, contrariamente a quanto avrei potuto immaginare, contribuì a mandare al tappeto il secondo. Similmente avvenne quando apparvero nei nostri cinema i primi film di Bruce Lee. Un giovanotto tutt'altro che muscoloso (perlomeno come si intende generalmente) e possente, in grado di dominare avversari apparentemente molto più forti e massicci. Ho fatto ricorso a esempi di tipo dichiaratamente fisico per dire che l'argomento non è ristretto a campi artistici, ma è possibile ricondurre la poetica anche ad attività esplicitamente fisiche. Del resto la questione a mio parere è chiara: si tratta di un rapporto relazionale tra l'ambito fisico-materiale e quello mentale e immateriale.
Il fiato sta sempre al centro di tutto, lui riceve dosi di energia e la dispensa in base a criteri di orientamento solo in parte governabili volontariamente. Gli sportivi si allenano; spesso credono solo di allenare i muscoli o la resistenza, ma in realtà non fanno che sviluppare un orientamento energetico del fiato, che si disporrà verso quelle parti anatomiche maggiormente utilizzate. Può sembrare strano pensare che il fiato alimenti il lavoro delle gambe o delle braccia, ma è proprio così. Ma questo diventa o può diventare un problema per il cantante, perché il nostro sistema di funzionamento fisico-muscolare, contempla azioni, per l'appunto, di tipo fisico, che nel caso della produzione vocale, servono in modo assai contenuto. Pensiamo a uno scultore o un pianista che sviluppa muscoli da lottatore! Cosa se ne farebbe? Anzi, sarebbero d'impaccio nel momento che il lavoro diventa di fino. Dunque, non questo! Dobbiamo quindi pensare a un tipo di energia diversa, non prettamente fisica, o meglio, non meccanica. La differenza la possiamo indicare come esterna/interna. Mi rendo conto che non è facile descrivere e quindi leggere quanto sto per scrivere, ma ci provo, e magari proverò anche in seguito in altro modo, sperando di trovare espressioni comunicabili a più lettori. Se pensiamo a un pallone pieno d'aria, io posso esercitare una pressione su di esso premendo in un punto. L'aria aumenta la propria pressione internamente al pallone ed esplicherà una forza in una zona del pallone opposta a quella su cui ho premuto. Questa è in genere anche l'azione vocale consueta; in qualche modo si produce una forza sull'aria polmonare nel basso (diaframma), e l'aria rivolgerà la maggiore pressione in alto, quindi sulla laringe. L'ipotesi di alcune scuole di pensare basso o di premere verso il basso, non cambia il risultato, perché anche in questo caso l'azione svilupperà una reazione del diaframma che si eserciterà comunque verso l'alto. Anche l'ipotesi di premere sull'aria in modo più ampio, quindi anche col torace, porterà al medesimo risultato, se non peggiore. L'idea di premere, quindi, è da considerarsi complessivamente non idonea a un risultato di qualità. Una energia esterna al pallone produrrà sempre effetti fisici almeno in parte negativi, cioè non potranno dar luogo a suoni in purezza, perché sarà sempre coinvolta la laringe nella sua globalità, con forza, e non specificamente le corde vocali con gradualità estreme (da pianissimo a fortissimo, tanto per rendere l'idea). Se ci si trovasse all'interno del pallone, al centro, e si potesse esercitare una piccola pressione in ogni direzione, come un secondo palloncino che si gonfia, l'aria ne subirebbe una leggera pressione diffusa che si eserciterebbe in ogni direzione, quindi non un aumento particolarmente significativo, ma sufficiente e anzi specificamente dosato a produrre suoni di migliore qualità rispetto quelli spontanei. Il nostro organismo può fare questo, il nostro corpo è dotato di un funzionamento meraviglioso che permette il raggiungimento di questo obiettivo ambiziosissimo. I nostri polmoni non sono sacchi vuoti, o palloni, ma organismi formati da una membrana esterna, elastica, e una struttura interna assai complessa variamente ramificata con al centro gli alveoli! In primo luogo noi abbiamo la membrana polmonare che può essere investita da una energia esterna piuttosto diffusa (e quindi è necessario, nel corso della disciplina, giungere alla quasi eliminazione della componente diaframmatica), di questo però parlerò in seguito per non appensantire ulteriormente il già lungo post, ma ciascun elemento interno, se caricato con una certa energia dall'aria contenuta (soprattutto attraverso l'elasticità della membrana esterna che dopo l'inspirazione tenderà a riprendere la dimensione iniziale), può a sua volta ripercuotersi sul contenuto complessivo di aria e donare quindi una microcarica pressoria che non eserciterà più quindi una forte, puntiforme, meccanica e deleteria azione fisica verso la laringe, ma una modesta e diffusa energia che EVITERA' L'INSORGERE DELLA FUNZIONE VALVOLARE LARINGEA e consentirà di far funzionare in modo realmente dinamico e musicale le c.v. come fossero corde di un violino o meglio... di un'arpa eolia!
Naturalmente questo obiettivo non si raggiunge semplicemente volendolo fare, ma attraverso quella disciplina che dovrà moderare, mitigare le forze meccaniche, volontarie e involontarie, permettendo così la possibilità di gestire al meglio quell'arte respiratoria finalizzata a una vocalità artistica che ha nei principi esposti il fulcro della sua virtù.

mercoledì, settembre 23, 2015

"Cercar che giova?..."

Una frase che pronunciava spesso il m° Antonietti e che ho poi ritrovato tal quale tra quelle del m° Celibidache è "chi cerca NON trova". Ammetto che detta così non suona tanto bene e suscita l'immediata controdomanda "inchezenzo? scusi" (alla Verdone). Lasciamo stare le battute e veniamo al motivo di questo post, che riguarda il campo femminile e l'annosa (e seria) questione della gamma centro grave; oggigiorno è rarissimo ascoltare soprani o mezzi cantare decentemente proprio in quel settore, che risulta il più martoriato. Per la verità è sempre stato un punto delicato nell'educazione della voce femminile, infatti anche nelle registrazioni di voci antiche purtroppo non di rado sentiamo un approccio non esemplare, quando non addirittura infelice. Potremmo partire da un concetto erroneo, mal capito, mal interpretato: il registro di petto (nelle donne). Leggendo e ascoltando interviste o trattatelli, si ha l'immediata visione di una doppia analisi di questo registro; da un lato ci sono coloro che hanno compreso che il cosiddetto registro di petto è una normale modalità di vibrazione delle corde vocali, differente, almeno inizialmente, da quella che si utilizza nel registro centro acuto (falsetto-testa), per altri invece riguarda la percezione interna riferentesi alle parti anatomiche, da cui i nomi (petto/testa). Per coloro che l'intendono nel secondo modo ci sarebbe un dato negativo, cioè la voce non si arricchisce delle risonanze "alte", degli armonici e risonanze/consonanze "di testa", ed è quindi da scongiurare. Per chi l'intende nel primo modo, il problema è quello di "fondere" o "passare" dall'uno all'altro; ma anche tra i primi le cose non è detto che vadano sempre bene, perché un conto è dire, un conto è fare. Secondo alcuni trattatisti come la Mayan (si veda il post di agosto), basterebbe pensare il suono "alto in maschera" per risolvere ogni problema di passaggio. Di questo parlerò tra poco, ed è appunto il tema del post. Alcune cantanti, come la Simionato o la Barbieri, che lo dichiararono in interviste, "non si canta di petto", e loro stesse non avrebbero mai cantato di petto, contraddicendo in modo plateale la realtà che ognuno può facilmente recepire dalle loro registrazioni. Dunque ci troviamo, per l'appunto, in quel secondo caso, dove non si ha l'esatta coscienza che le corde vibrano in modalità di petto, ma la cantante è comunque convinta di tenere il suono "alto in maschera" e quindi "di testa" anche nelle note basse. Se il risultato fosse quello della Simionato, tutto sommato potremmo anche starci, se è quello della Barbieri decisamente meno; anche quello della Gencer, che invece aveva un'idea molto più corretta della situazione, non ci farebbe tanto piacere, visto che il petto lo usava ma non poi troppo correttamente, visto cha alla fine aveva la voce a pezzi. Però oggi cosa sta succedendo? Che, nonostante tutti i libri, i convegni, i DVD, internet e quant'altro (o forse proprio a causa di questa Babele) le donne (ma direi meglio: gli e in particolare LE insegnanti di canto) stanno indirizzando le giovani cantanti in una direzione a dir poco disdicevole, cioè a mantenere il falsetto anche nel settore centro grave. Questo, a loro giudizio, eliminerebbe il problema del passaggio! Il che è ovviamente vero, trattandosi di un unico registro, ma totalmente fuori da qualunque logica sensata. Se un violinista volesse scendere sotto il re3 senza usare la corda di sol (la quarta), non potrebbe farlo, a meno di allentare la tensione della terza ruotando il pirolo. Una follia! Che cosa succede dunque nella voce? che scendendo sotto il do3 il falsetto va a morire, non ha più efficacia, essendo una gamma propria della corda di petto, allora ecco che le povere cantanti "cercano". I risultati sono di due tipi: o un grottesco ingolamento oppure l'invenzione di un nuovo "meraviglioso" registro (e qui il repertorio neologistico di Celletti sarebbe molto  appropriato). Siccome noi sappiamo che la "corda unica" esiste, cioè la possibilità che le due modalità di vibrazione coesistano, cosa impedisce che ciò avvenga naturalmente? Ben lo sappiamo: il fiato. Solo un'evoluzione respiratoria adeguata a una emissione artistica esemplare può generare l'annullamento delle differenze tra le due modalità di vibrazione, quindi i casi sono due: o si raggiunge questa condizione, il che richiede un tempo e un esercizio adeguati (cioè molto lunghi e impegnativi, soprattutto ben guidati da chi sa), oppure si può tentare (solo in alcuni casi riesce) una sorta di scorciatoia (ovviamente difettosa), e cioè il cosiddetto suono indietro. Cercando di mantenere il registro di falsetto anche nei suoni centro gravi, l'impoverimento respiratorio porta gradualmente il suono indietro, cioè a non suonare più nella parte anteriore, o meglio fuori, ma sempre più interiormente. Questo stato può consentire una sorta di fusione dei registri, a pena di una voce da ventriloquo, ma che purtroppo ascolto sempre più spesso, specie nelle giovani, perché oltre a evitare scalini, produce quella voce intesa come "impostata" che tanto obbrobrio produce in chi ha come obiettivo una voce VERA! Ecco perché il m° Antonietti, come ognuno che conosce meglio il mondo della vocalità artistica, si guarda bene dal seguire scorciatoie, ma occupa una prima parte del tempo educativo a far ben sviluppare e perfezionare la giusta emissione nel petto E nel falsetto, non cercando anzitempo fusioni improbabili, ma facendo in modo di stimolare l'esigenza respiratoria che nei tempi opportuni permetta l'avvicinamento e quindi l'annullamento delle differenze tra registri.

sabato, settembre 19, 2015

L'attacco (che non c'è)

Il termine "attacco" è universalmente utilizzato nel mondo del canto per indicare il momento in cui si emette un primo suono. Come spesso accade, nel nome si nascondono anche virtù e difetti. In questo caso direi fondamentalmente difetti! Se c'è una cosa negativa nell'emissione vocale è che la voce resti "attaccata" a qualcosa; quindi più che "attacco" sarebbe meglio definire "stacco" il momento in cui la voce si libera. Anche così, però, ne avremmo conseguenze negative, perché attacco e stacco fanno entrambe riferimento a un punto o una zona da cui si diparte la voce mediante una qualche azione fisica. E qui veniamo a parlare dunque di alcuni consigli per cui l'attacco del suono o della voce (che per i più è la stessa cosa) debba avvenire in un punto più o meno preciso. Quelli "precisi" indicano: le corde vocali o glottide, in mezzo agli occhi, sulla fronte, ecc.; quelli imprecisi: "in alto", in maschera, ecc. Tutto parte sempre dal modo di pensare del cervello fisico, il quale, non concependo l'immaterialità, non può che indurci a "attaccare" anche la vocale a qualcosa di fisico, laddove, invece, la vocale NON può e NON deve avere alcun punto di attacco fisico, non essendo come le consonanti, che, al contrario, hanno sempre e comunque un punto di attacco, tant'è vero che sono molto precisamente definite dalla fonologia. In questo stesso senso è errato anche definirle anteriori e posteriori. La sensazione del suono vocale anteriore o posteriore è dovuta alla diversa disposizione delle parti mobili e dei punti dove il flusso sonoro tende a solleticare i centri nervosi. La I, ad esempio, viene definita anteriore in quanto la lingua alzandosi notevolmente lascia scorrere un filo di suono tra essa e il palato e quindi il suono compie una frizione in quella zona che ci dà la sensazione di suonare davanti; la realtà però non può essere frazionata, dunque la I, come tutte le vocali, non suona I solo per la disposizione anteriore, ma grazie a tutta la situazione oro-faringea nel suo complesso, che non può essere parzializzata, pena la perdita di importanti caratteristiche. Dunque non di attacco si deve parlare, nel caso di inizio su una vocale, ma di "formazione" o nascita. Anche il suono non è bene considerarlo "attaccato". Esso nasce dall'eccitazione delle corde vocali ad opera del fiato. Indubbiamente ci può essere un attacco, duro, violento, forte, e in alcuni casi può essere necessario per motivi musicali, testuali, caratteriali, ma in generale, anche per evitare danni, il suono deve nascere morbidamente, fluidamente. Il suono è il secondo anello della catena, dopo il lavoro compiuto dal fiato, il quale, in base alla conformazione oro-faringea disposta dalla mente, che governerà tutto il processo, produrrà SENZA ALCUNA AZIONE MECCANICA LIBERATORIA, la vocale voluta. Meccanica liberatoria significa il passaggio da una azione di chiusura, più o meno rapida, anche istantanea, a una di apertura, come succede con le consonanti. La vocale si trova (SI DEVE TROVARE) in una condizione di totale libertà fin dall'inizio... direi... ANCHE PRIMA dell'inizio. Cioè non ci deve essere un inizio, ma un momento in cui il suono vocale si forma quasi magicamente, senza "clic", senza contatti. E' una forma di espressione libera che è necessario provare e ripetere, perché è un simbolo chiave del canto artistico. Naturalmente quando escludo l'attacco e ogni forma di nascita meccanica, e invoco l'opposto, non posso che riferirmi a una nascita esterna alla bocca, escludendo nel modo più assoluto e totale ogni forma di spinta, di schiacciamento, di pressione. La purissima vocale nata come materializzazione del pensiero, o come flusso mentale operante.

domenica, settembre 13, 2015

Le relazioni virtuose

Per qualcuno è abbastanza chiaro che la laringe ha plurimi modi di funzionamento, però alcuni di essi sottostimano o minimizzano questa caratteristica, alcuni addirittura ironizzano come se fosse una sciocchezza. Molti non lo sanno affatto. Eppure è un dato più che fondamentale, ma saperlo non basta.
Riesco a elencare quattro diversi modi di funzionamento, di cui tre istintivi. Il primo, forse il prioritario, è il sistema di spartizione ma anche di difesa dell'apparato respiratorio rispetto a quello gastrico (deglutizione); tramite il sollevamento della laringe e la proiezione dell'epiglottide, si chiude il condotto respiratorio. La minima immissione di sostanze liquide o solide causerebbe danni gravissimi. Il secondo è respiratorio: la laringe in quanto "valvola" dei polmoni controlla la pressione e la velocità respiratoria. Il terzo è di tipo meccanico; la laringe si chiude, provocando un'apnea, quindi un blocco respiratorio, per questioni di postura del busto oppure per situazioni respiratorie particolari (sott'acqua, ad es.). Il quarto sistema riguarda il suo funzionamento artistico, quindi la laringe "strumento musicale". Naturalmente, ci vuol poco a capirlo, questa funzione è da considerarsi accessoria, cioè in subordine alle altre tre, in quanto le altre sono VITALI, mentre questa non lo è in nessun modo. Possiamo poi sintetizzare il funzionamento laringeo in due sistemi: a tubo aperto o a tubo chiuso. Durante gli atti respiratori regolari, il tubo è aperto, negli altri casi è chiuso. Durante la deglutizione la respirazione non è chiamata in causa, lo è, invece, negli altri. In queste tre situazioni (apnea, postura, voce) solo e unicamente la respirazione è causa dei suoi movimenti. In base a questa priorità, il nostro sistema di funzionamento come fa a discernere tra una chiusura meccanica e una relazione elastica, musicale, tra fiato e laringe? Non può perché non ne ha coscientemente la misura. Discrimina, però, nell'ambito del parlato, perché esso è indispensabile, seppur non prioritario, nella vita di relazione umana, vale a dire che è compreso nel DNA. Il parlato è una pratica spontanea, limitata nell'estensione e nell'intensità. Con quelle stesse caratteristiche è possibile intonare, quindi cantare, con qualità ovviamente modeste rispetto un risultato artistico. Tutta la questione sta qui! Se un soggetto mira a estendere e intensificare la voce, metterà il fiato in una condizione di stress che si ripercuoterà sulla prestazione vocale stessa, perché le reazioni messe in moto impediranno il mantenimento di quella situazione tranquilla e spontanea del parlato. Come si sa - scritto più volte - noi abbiamo anche la possibilità di gridare; anch'essa è una risorsa funzionale, legata a stati di necessità, pericolo, imposizione, ecc. Le caratteristiche del grido da un lato ci servono perché è grazie a questo che noi possediamo un registro acuto (le frequenze acute sono molto più penetranti e viaggiano più lontano), ma per contro hanno caratteristiche qualitative pessime; inoltre, al contrario del parlato, non è previsto un uso continuativo e prolungato, per cui gridare a lungo porta all'insorgenza di patologie. Quando intensifichiamo la voce senza una coscienza di ciò che questo comporta, la respirazione va in confusione perché non capisce più in quale situazione si trovi, tra sostegno del busto, apnea o vocalità. Il classico risultato è che il "tappo" si chiude, cioè diventa molto difficile emettere suoni di buona qualità, in quanto la pressione respiratoria è inadeguata. Ecco, quindi, che la strada maestra è e deve sempre essere il parlato semplice che si estende oltre la ristretta fascia della spontaneità; operando in questa direzione, si stimola uno sviluppo respiratorio dedicato a questa attività, che il funzionamento corporeo non ostacola, perché è comunque compreso nel DNA. Però anche questo non basta, in quanto l'ampliamento della gamma induce anche un aumento pressorio, che è nuovamente causa di reazione. Per questo è necessario sviluppare e migliorare la qualità del fiato già partendo dal nostro parlato spontaneo. Questa azione fondamentale produrrà uno sviluppo respiratorio del tutto particolare e fondamentale, che non è di tipo pressorio ma di tipo qualitativo (anche se in qualche modo coinvolge anche la componente pressoria), cioè il fiato modifica le proprie caratteristiche rispetto al semplice funzionamento vitale (respirazione spontanea), apprendendo ad ALIMENTARE con caratteristiche evolute un tipo di parlato, e conseguentemente cantato, di qualità superiore. Pertanto l'azione didattica può svolgersi gradualmente sulle due (o più) componenti: qualificazione della parola e ampliamento estensivo. Questo è il fondamento dello studio, che consentirà l'instaurarsi di un rapporto chiaro e univoco tra fiato e laringe di tipo musicale, del tutto diverso e coscientemente specifico per un canto artistico. Di più! La respirazione, che a questo punto potremo definire artistica, avrà la possibilità di modellare e quindi modificare, nel corso della fonazione, alcune componenti laringee, specificatamente le corde vocali, al punto di bypassare ogni legame di tipo valvolare (salvo, ovviamente che nel corso di questa attività non subentri qualche causa che ne richiami l'intervento) e ne liberi in modo meraviglioso tutte le potenziali caratteristiche musicali ìnsite. Quando questa arte sarà appresa, non ci saranno "impostazioni" da mettere in atto, non ci sarà da fare nulla, se non VOLERE. La voce acquisirà senza alcuno sforzo intensità, estensione, morbidezza, dinamica, rapidità, colori, al punto che la stessa voce parlata risulterà più costantemente sonora, anche se occorre tener conto che una voce più sonora richiede comunque più energia, quindi non è bene chiedere alla propria voce un uso costantemente di maggior impegno, perché questo può effettivamente stancare e produrre effetti poco simpatici, anche se si può escludere qualunque danno. In conclusione possiamo dire che chi parla in continuazione di respirazione per il canto, che suggerisca tecniche, più o meno forzose e/o impegnative o che suggerisca di non fare niente, se non cose "naturali", si discosta dai fondamenti indispensabili da considerare quando si vuol raggiungere un reale risultato artistico. Intervenire sulla respirazione senza aver coscienza di ciò che questo comporta significa metterla in uno stato reattivo che impedirà ogni e qualsiasi libertà, per cui il canto sarà SEMPRE E COMUNQUE difettoso. Non fare nulla (a parte un respiro profondo), non metterà il fiato in stato di allerta, ma non consentirà comunque l'instaurarsi di una nuova e indispensabile qualificazione respiratoria, se non per caso e comunque sempre in misura limitata.