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mercoledì, gennaio 19, 2011

Il rapporto col pianista

Prima di proseguire sulla disamina degli aspetti intrinseci all'esecuzione di un'aria, faccio un cenno a una questione che ritengo (e rilevo) importante e diffusamente problematica, cioè il rapporto col pianista (e spesso anche col direttore, laddove c'è un'orchestra). Se da un lato si sottolinea che non si deve ridurre il ruolo del pianista a quello di "accompagnatore" ("fanno musica insieme", talvolta annunciano i presentatori), è anche vero che sentiamo sovente i due protagonisti andare in direzioni opposte. Da un lato osserviamo che pianisti che sappiano davvero far musica insieme sono pochissimi; non conoscono le opere, non sanno come ridurre ciò che è scritto in modo efficace, non conoscono i tempi, non conoscono i respiri. Gli spartiti per piano trascritti dall'orchestra, di cui possono esistere più versioni, in molti casi risultano assai ostici da un punto di vista tecnico; è ovvio che il pianista deve avere una competenza tale da superare certe difficoltà, ma allo stesso tempo deve anche saper ridurre queste difficoltà in modo da evitare intralci alla scorrevolezza dell'esecuzione, specie nel momento in cui è insieme al cantante.
Il punto più critico riguarda il tempo di esecuzione. Se è vero che molte volte il cantante può avere la tendenza a rallentare o accelerare, è assurdo che il pianista parta con un tempo "garibaldino" per dare brio alla pagina, ma si ritrovi, all'attacco del canto, un tempo raddoppiato! (cioè molto più lento) [ricordo un "va pensiero", dove il pianista eseguiva l'introduzione a una velocità incredibile, praticamente arrestandosi all'entrata del coro! Non si sa che facesse in quel caso il direttore... mah!]. I pianisti in genere si lamentano (e ne hanno motivo) che i cantanti dividono male, non vanno a tempo, ecc., però non è irrigidendosi sulle proprie posizioni che possono migliorare la prestazione. Tutto potrebbe risolversi più professionalmente e artisticamente se si facessero le prove come si deve. Capisco che il tempo è denaro, specie quando c'è un'orchestra, ma ridurre la prova a un'oretta prima del concerto (col cantante magari che accenna), perché "tanto sono cose conosciute", è una tale mancanza di senso artistico che amareggia. Cantante e pianista devono concordare e trovare il tempo giusto, in primo luogo, concordare i fraseggi, i punti di respiro (in modo che il pianista non metta in croce il cantante continuando a martellare), e comprendendo gli aspetti espressivi che possano motivare ritenuti, accelerati, ecc. Da molti concerti, al di là delle qualità dei partecipanti, sono uscito molto avvilito, perché sembrava una catena di montaggio: un brano, sotto un altro, poi un altro... tutto con una totale mancanza di rapporti musicali da lasciare allibiti, e magari anche con voci ragguardevoli. Lasciamo stare, ovviamente, i casi di cantanti inascoltabili e pianisti zoppicanti. Non dimentichiamo che il pianista deve "sostenere" il canto, incitarlo nei momenti opportuni, assecondarlo in altri, richiamare temi, ambientazioni, ricordi, clima...; deve essere egli stesso a non "ridursi" a mero accompagnatore, ma suggestionare il cantante a una prestazione condivisa.

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