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lunedì, gennaio 17, 2011

Studio dell'aria - l'accento

Dopo oltre quattro anni di post di carattere eminentemente tecnico, che reputo il problema n° 1 del canto lirico nel mondo odierno, ritengo sia giunto il momento di introdurre anche gli aspetti, certo non secondari, relativi all'esecuzione. Inizio quindi da oggi una serie di interventi volti a suggerire il corretto approccio allo studio dell'aria e dell'opera.
Dunque, intanto vorrei iniziare da una categorizzazione. Un conto è studiare un'aria fine a sé stessa, come può essere un lied, una canzone, un'aria sacra, una romanza da camera, un conto è studiare un'aria facente parte di un'opera. Mentre, infatti, nel primo caso lo studio può limitarsi all'aria (anche se non è proprio così, ma ne parliamo dopo), nel caso dell'aria d'opera è chiaro che il primo dovere è quello di conoscere l'opera, perché l'aria dovrà comunque rispecchiare la situazione venutasi a creare nel momento in cui l'aria trova posto, da un punto di vista soprattutto psicologico. Se non si conosce l'opera, c'è addirittura il rischio che alcune frasi possano essere travisate o incomprese. Nel caso dell'aria operistica, poi, c'è da dire che l'aspetto scenico, anche nel momento in cui l'aria venisse eseguita in forma concertante, non è da escludere, ma dovrà solo essere contenuta. Un'agitazione, una paura, uno slancio amoroso, ecc., non possono passare inosservate all'uditorio, il cantante non può rimanere imbambolato e immobile, anche se, per contro, i movimenti dovranno essere molto contenuti; se non va bene il "palo piantato in mezzo al palco", non va altrettanto bene il gesticolatore perpetuo.
Se il post potrà risultare utile, e ovviamente tutti potranno, anzi dovranno, contribuire, direi che sarebbe bene fare esempi pratici su arie conosciute, sia di tipo concertistico che operistico.
Ma adesso passo a un primo fondamentale problema nello studio di un'aria.
Il testo. Come dicevo, gli aspetti problematici sono molto più elementari di quanto non si pensi. Anche cantanti cosiddetti professionisti manifestano spesso difetti anche gravi nel rapporto col testo.
Il problema n° 1 (dopo, ovviamente, la comprensibilità, che per qualcuno è addirittura un optional, se non un ostacolo!!!!!!) riguarda gli accenti.
Sugli accenti ci sarebbe già da scrivere un poderoso capitolo. Il primo obiettivo è individuare dove gli accenti NON vanno! Salvo le poche parole che hanno accento finale, la sillaba finale nella stragrande maggioranza delle parole italiane non è accentata, e dunque va smorzata. Qualcuno pensa che sia un'esagerazione la mia, forse, ma voi prendetevi il gusto di ascoltare una decina di Gloria di Vivaldi, e sentite quanti cori, anche diretti da insigni "maestri", dicono: "glorià, glorià". Ma anche nelle arie d'opera e da camera stiamo bene (ad es. nel "lamento di Federico" dell'Arlesiana, quanti dicono: anch'iò vorrei" e subito dopo: "nel sonnò almen"). Dunque, un primo lavoro manuale da fare (ce ne sono diversi), è quello di segnare gli accenti tonici. In italiano quasi nessuna parola viene accentata tonicamente (come accade nel francese, ma anche lì si sta perdendo), dunque, mano al dizionario (che si chiama così, a differenza del vocabolario, perché ha lo scopo di precisare "come si dice", dunque accenti e grafie particolari per indicare il giusto suono di vocali e consonanti). Ma non basta mettere un generico accento. Le E e la O possono avere due tipi di accento, molto importanti e talvolta persino indispensabili (è nota, credo, la differenza tra pèsca, il frutto, e pésca, l'attività sportiva [cosa ci sarà di sportivo...]. E' molto importante, specie per chi ha nel parlato cadenze e usi di derivazione dialettale, imparare, almeno nel canto, a pronunciare le parole col giusto accento. Mi pare che nel corso di arte scenica, in conservatorio, sia prevista un'attività di dizione. Io consiglio tutti coloro che cantano di prendere qualche lezione di dizione (al limite esistono anche corsi on line e in cd), anche se poi occorre fare parecchio esercizio sotto una guida. Quindi se non si ha già una buona pratica di questo tipo, è bene sullo spartito segnare gli accenti giusti di ogni parola.
Ma il testo, prima di essere cantato, va letto, con intenzione, come se si fosse attori, dicitori. Questo sia per impararlo bene (e in questo senso si consiglia anche di imparare a dirlo a memoria - la maggior parte dei cantanti è incapace di dire le parole di un'aria senza la musica), sia per imparare a dire bene gli accenti, sia per capire la struttura fraseologica.
E' evidente, infatti, che le parole non hanno tutte lo stesso peso all'interno di una frase, e occorre individuare dove "punta". Ad es. la frase: "che gelida manina"; ché, gèlida, manìna. Queste tre parole vanno legate, come se fossero una parola sola, senza togliere gli accenti, (gèlida avrà l'accento grave, dunque è una E aperta, o larga), ma l'accento principale andrà sulla I di manìna. Da un inizio leggero, piano, ci sarà un crescendo fino a quella I, dopodiché si dovrà nuovamente decrescere rapidamente, per evitare un accento insulso sul "na" finale, che andrà, però, correttamente sostenuto. A questo punto entra in scena l'altro punto focale, che è la gestione dei fiati. Questo è un problema meno oggettivo di quello degli accenti, perché dipende da molte cose. Certamente la prima cosa è verificare che nessuna parola venga spezzata. Analogamente occorrerebbe evitare di spezzare il senso delle frasi. Diciamo che l'unico dato oggettivo per la presa dei fiati è costituito dalla punteggiatura. Dove ci sono virgole, punti, ecc., si può prendere il fiato. Anzi, diciamo che esiste anche un problema opposto a quello dei fiati sparsi a destra e a manca, che è di coloro che tendono a rubare i fiati in continuazione e a non fare le pause con la giusta durata e a legare sempre e dovunque. Anche questo è un errore (spesso dovuto all'ansia); un eccesso di legato può comunque compromettere la giusta comprensione del brano, e poi è antimusicale e può indurre stanchezza in chi ascolta.
(ovviamente non mi posso soffermare su ciò che penso sia più che ovvio, cioè il rispetto della scrittura musicale: non imparate a cantare dai dischi, guardate attentamente la scrittura, la divisione; quante terzine diventano crome o semicrome! e sopratutto occorre fare attenzione alle differenziazioni tra la parte cantata e quella strumentale; capita che il canto si muova a terzine e l'orchestra o il piano a crome puntate (o viceversa); se è stato scritto è perché l'autore voleva che si generasse quell'effetto! spianare la scrittura è un delitto, molto comune in campo operistico, ohimè). Allora occorre chiarirsi bene le idee sull'arco della frase durante il quale è possibile prendere fiato oppure è inopportuno. Ad es.: che gelida manina se la lasci riscaldar è una frase, dunque è opportuno non prendere fiato, perché risulta più completa e risolta.

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