Diceva il M° Celibidache:
Dans la lenteur il y a la richesse:
nella lentezza c'è la ricchezza. Intendeva qualcosa di diverso da quanto sto per enunciare, ma il titolo si attaglia perché c'è un proposito analogo, cioè quello di far emergere quanto c'è di importante in atteggiamenti semplici ma capaci di stimolare pensieri.
Dunque, noi sappiamo essere il parlato un'attività automatica dell'uomo. Da bambini impariamo a parlare semplicemente ascoltando; non c'è bisogno di imparare a muovere la bocca e il suo interno in un determinato modo. Il cervello, ricevendo impulsi sonori e volendoli riprodurre come necessità comunicativa, inviando informazioni agli apparati vocali è in grado di riprodurli con quegli adattamenti personali che saranno le caratteristiche timbriche e caratteriali di quel soggetto. Naturalmente il discorso potrebbe farsi complesso se entrassimo nella dinamica dei motivi per cui c'è chi parla più o meno bene, ma lasciamo questo discorso ad altro post. Quando noi parliamo il nostro strumento vocale funziona perfettamente in relazione al suo scopo. Quante possono essere le informazioni che la mente deve mandare alla mandibola, alle labbra, alla lingua, al faringe, ai muscoli respiratori, per far sì che noi riusciamo a esprimerci adeguatamente? milioni, se pensiamo a persone che per indole propria o per professione fanno un uso continuativo della parola. Eppure... chi ci pensa? Qualcuno ha mai pensato a quanto debba muoversi la mandibola ogni volta che si passa da una I a una A?, o a quanti movimenti debbano fare la labbra quando diciamo termini ricchi di U o e O? Senza contare a tutte le "esplosioni" le microapnee, ecc. ecc. che la lingua e le labbra devono esplicare per tutte le consonanti presenti nelle nostre parole. Eppure tutto ciò avviene senza problemi, a parte chi i problemi può averli, ma questo è un discorso che ci riguarda solo di sfuggita. Ma si può fare un esperimento che può già far riflettere: provate a dire una frase qualunque, la prima che vi passa per la testa o l'ultima che avete pronunciato, poi ripetetela, ma molto molto lentamente. Ecco che qualcosa avviene: la spontaneità che contraddistingue il parlato fluido e "naturale", sparisce. Improvvisamente vi rendete conto che esiste la mandibola, esistono le labbra, esiste la lingua, e non è raro che nel fare questo, vi rendiate anche conto che certe parole o sillabe o singole vocali o consonanti avete difficoltà a emetterle correttamente, o che non sapete proprio come atteggiare l'apparato articolatorio per dire correttamente una certa vocale o un certo fonema. Cosa è capitato in quel rallentamento? Che la laringe ha dovuto mantenere più a lungo i suoni vocalici, dunque si è entrati in una dimensione "canora": il fiato deve impegnarsi di più per mantenere più a lungo le vocali, di conseguenza le forme o spazi orofaringei, e soprattutto la bocca, è portata ad aprirsi maggiormente per accogliere quel fiato; ci si rende conto, allora, che ogni vocale vuole un certo funzionamento a cui non siamo soliti prestare attenzione perché, tanto, va da sé. Questo procedimento, nella sua semplicità, implica già una presa di coscienza importante, che chiunque può mettere in pratica, e che, anzi, occorrerebbe diffondere e sviluppare a livello educativo generalizzato, cioè nelle scuole, nei cori, ecc. Meglio ancora se nel fare questo "giochetto" ci fosse una videocamera, o semplicemente uno specchio. Ricordate che lo specchio è il maestro n° 2!
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