Immagino di essere al centro di un gigantesco labirinto in compagnia di molte persone; alcuni si definiscono maestri, altri allievi, altri praticanti... Ci si pone il problema di uscire. Alcuni, soprattutto più giovani, si lanciano con spavalderia verso l'uscita; molti tornano in breve al punto di partenza, altri si perdono per i meandri, uno o due, dopo diversi tentativi, riescono anche ad uscire. Uno di loro, in particolare, dice di avere ottima memoria e ricordare la strada percorsa, e avere un buon senso dell'orientamento. Tra i molti ritornati, ci sono i delusi e gli arrabbiati, alcuni abbattuti e dunque remissivi e arresi. Tra coloro che si considerano insegnanti o maestri, si accendono le dispute: alcuni ritengono che non ci sia tanto da studiare, bisogna armarsi di pazienza e provare e riprovare, altri propongono di andare in una direzione, anche passando in mezzo agli ostacoli, o scavalcandoli, cioè metterci il fisico, che gli "smidollati" non hanno! Alcuni poi si sono armati di antichi libroni che spiegano come si costruivano i labirinti, e dunque anche il modo per uscirne. Attenzione però, dice qualcun altro, che essendo antichi sono scritti con un linguaggio non sempre facile da tradurre in termini moderni. Comunque sia alcuni di essi si mettono al lavoro di interpretazione e sostengono che naturalmente l'uomo è portato a uscire da queste situazioni, se solo si mette tranquillo e si lascia trasportare... Io a un certo punto dico: grazie agli insegnamenti ricevuti, agli studi, agli approfondimenti e all'esperienza fatta, ho conquistato il senso dell'orientamento, cioè la stessa cosa che afferma di aver detto uno dei primi ad uscire, con la differenza che lui "sente" di averla, ma non sa come e non sa padroneggiarla, mentre io sì. Subito alcuni scoppiano a ridere, altri fanno sorrisetti di compatimento: ma tu sei folle! ma come si fa a pensare una cosa del genere? Ma come pensi sia possibile e come pensi che ti si possa credere? E giù altre risate. Un po' intimidito, propongo che mi seguano, così potrò loro dimostrare di poter uscire senza difficoltà. Due o tre, esitanti, mi si mettono vicino (poi uno ci ripensa), ma tutti gli altri continuano a sbeffeggiarmi, affermando di non avere alcuna credibilità, e tornano alle loro tecniche per uscire. E' una metafora, che non serve cantare, ma solo a illustrare, con un briciolo di divertimento, l'allegoria dello studio del canto.
Cos'è la tecnica del canto? Ho già spiegato più volte che il termine "tecnica" è in realtà errato, perché fino a qualche decennio fa illustrava solo l'esercizio musicale che ogni cantante doveva fare per imparare a cantare un repertorio in buona parte "figurato", cioè composto di melismi, anche virtuosistici. Anticamente forse era quasi l'unico insegnamento praticato. In realtà oggi si parla di tecnica anche riferendosi all'impostazione della voce, cioè all'educazione di base che ne permette la giusta sonorità, la valorizzazione dell'estensione, dell'omogeneità, dell'uso dei colori e delle dinamiche, oltre che degli aspetti musicali. Prima di passare alla spiegazione, poniamo una domanda: cosa fa sì che molti, moltissimi cantanti, sia del passato che del presente, pur dotati di voci straordinarie, dopo alcuni anni di carriera siano costretti a ritirarsi o a proseguire in tono minore? Tanto per fare degli esempi: perché già prima dei 40 anni di età un cantante con una voce d'oro come Di Stefano si trovava in gravissime difficoltà, o una star come la Callas, già a poco più di 30 anni avesse una straordinaria oscillazione della voce? O come si spiegano, ancora, le pessime note acute di Gobbi, ad esempio, o il ritiro molto prematuro di una Souliotis? I nomi da portare di esempio si sprecano anche se qualcuno volesse portare giustificazioni a quelli proposti adesso. Non credo di sbagliare nel dire che la risposta che chiunque è portato a suggerire è: non avevano una giusta tecnica. E qui comincia l'avventura...! Che significa giusta tecnica? Riferita o rapportata a cosa? Sono molti coloro che dicono: c'è UNA sola tecnica! Che meraviglia, ma qual è? o meglio, in base a quale principio esiste una tecnica che permette di cantare? E perché dovrebbe esistere una tecnica per cantare? (questo lo diciamo soprattutto a chi sostiene con forza che il canto è naturale!). Se il canto fosse naturale tutti canteremmo e non esisterebbero i difetti. Ma, si obietta, è naturale ma "nascosto". Benissimo, allora facciamo in modo che questa natura possa rivelarsi, però non si risponde, in questo modo, alla domanda. Di Stefano non ha praticamente studiato, chi più naturale di lui? e perché in breve la sua voce è diventata così disomogenea e non sempre gradevole? Sappiamo che ci sono persone che con una certa facilità riescono a cantare in una tessitura senza particolari difficoltà. Un tenore, oggi buon amico, incise un'aria anni fa che si può sentire su Youtube e mi lasciò di stucco per quanto era ben cantata e per quanto bella e facile risultava la voce. Ma in arie incise tempo dopo, emergono difficoltà e scalini. Dunque il tempo ha messo in atto delle trappole. Sappiamo che in molti casi il tempo non ha investito, se non marginalmente, la qualità del canto. Dunque esiste "qualcosa" che ogni persona che si trova a cantare a un certo livello deve affontare, subito o dopo. Sappiamo, in particolare, che è l'impatto con la zona acuta che crea le maggiori difficoltà. Perché? Cosa crea queste difficoltà? E cosa fa la "tecnica", una, nessuna o centomila tecniche, per superare queste difficoltà? Quello affonda, quello allarga la gola, quell'altro pensa giù, un altro tira indietro, un altro spinge in alto, uno si siede, uno si alza sulle punte... meraviglioso, e alcuni di questi riescono anche nell'intento, e magari nemmeno troppo sgradevolmente. Però resta un grande interrogativo: perché? E' obbligatorio rispondere? no. Si può imparare a cantare dignitosamente senza conoscere la risposta? sì; si può evitare di parlare di questi argomenti e cantare? senz'altro! Si può accedere a un livello artistico? no, ma alla maggior parte delle persone non importa, non interessa. Però a chi studia, a chi cita i grandi cantanti, i grandi trattati, le scuole, le domanda è giusto porle, e se vuol definirsi maestro, dovrebbe rispondere. La tecnica è una disciplina che, in qualunque modo, più o meno fisico, cerca il modo di superare un ostacolo. Anche chi professa la "naturalezza", ma fa comunque fare esercizi, fa tecnica! La naturalezza senza condizioni è cantare e basta! con tutte le conseguenze cui andrà incontro. E perché esistono queste conseguenze è la seconda domanda, la cui risposta, a mio modo di vedere, ma aspetto con impazienza pareri diversi, è che il nostro istinto non ci permette facilmente di accedere a un livello superiore.
Mentre dal centro del labirinto mi avvio verso l'uscita, conscio del mio senso dell'orientamento, qualcuno mi grida dietro: "ma non sei triste di possedere questo "senso" che supera l'istinto?" Non ci dev'essere un senso di superiorità, di potenza, ma può esserci spazio anche per la tristezza, per l'impossibilità di poterla condividere con tutti, pur volendolo, perché è la verità stessa che non lo permette, e rende cieca e sorda la gente.
Fine del secondo step, nel terzo e ultimo riandiamo a spiegare cosa significa superare l'istinto.
Bisogna considerare anche il fattore culturale. Oggi il vero canto è qualcosa di totalmente sconosciuto presso la stragrande maggioranza della gente, sedicenti esperti compresi. E' impossibile fare discorsi di un certo tipo con chi concepisce il canto come una canzonetta sussurrata dentro ad un microfono. Costoro non hanno nessun bisogno di porsi certe domande, di aspirare alla perfezione o quanto meno ad un livello artistico pregevole, e pertanto non possono né comprendere né interessarsi a ciò che viene scritto in un blog come questo. Parlano continuamente di "belcanto" ma non sanno neanche cos'è... Sarebbe il caso di ribadire il principio dell’unicuique suum!
RispondiEliminaDunque, Di Stefano non ha studiato! Cioè non ha imparato con disciplina, costanza e consapevolezza a dominare il proprio istinto, e quindi a modellare e coltivare quel patrimonio che madre Natura gli aveva elargito. Io, per la mia piccola esperienza, ho compreso che non c'è canto artistico e quindi canto "evoluto", se non c'è disciplina. Ma disciplina in cosa? Ecco, questo è il punto dolente: io l'ho imparato a mie spese purtroppo un pò tardi ma mi è servito... il fiato, la laringe, la gola, il diaframma, la posizione, ecc. sono elementi di un unico progetto che deve mirare alla consapevolezza (ma questo vale solo se si vuole raggiungere la vetta...) dell'istinto che si trasforma in energia amica, del fiato che si libera senza pesi, del canto che non è piu canto ma è tuttuno con il proprio essere. La disciplina, il carattere, la generosità, l'umiltà, sono le chiavi che possono portare (se c'è un terreno fertile...) a questo risultato. Una strada in salita a cui pochi accedono perchè piena di insidie ma dalla cui vetta si possono ammirare paesaggi maestosi ed estasianti.
RispondiEliminaSenz'altro ribadiamo che il nostro discorso è indirizzato in primo luogo a chi è interessato a un canto artistico, il che può anche coinvolgere il canto "tecnicizzato", cioè chi ci segue non è obbligato a studiare fino alla perfezione, perché sarebbe una follia. Ognuno può prendere quanto vuole, il miglioramento ci sarà sempre e comunque, migliore di qualsiasi scuola "tecnica", e questo può valere anche per chi canta musica leggera o di altro tipo, posto che il microfono, durante lo studio, è bandito. Infine aggiungo che bisogna partire da una base di moderato e sensato ottimismo; è probabile che siano molto pochi coloro che seguano, che comprendano, intuiscano e pensino di aderire a queste scoperte, però non è da dare per scontato, e la discussione e il confronto sono sempre importanti, fonte di energia salutare, entro certi limiti. Se così non fosse già il mio maestro avrebbe buttato via una vita, ma siamo ancora qui a parlarne, e portiamo avanti questo discorso perché fra 20, 30 e più anni, altri ne parlino e lo diffondano. Non sarà mai per tutti, ma facciamo almeno in modo che non si estingua.
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