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mercoledì, dicembre 30, 2009

Le labbra, briglie e timone

L'importanza delle labbra non sarà mai abbastanza capita ed esercitata. Chi capisce che le labbra, specie nella O sono le briglie e il timone della voce, ovverosia lo strumento di controllo del diaframma (non so se si comprende la portata di ciò che ho appena scritto: STRUMENTO DI CONTROLLO DEL DIAFRAMMA!!!), accelererà moltissimo il tempo di educazione della voce. Tenere il controllo delle labbra significa portare avanti la tensione (togliendola soprattutto dalla gola e da tutte le parti interne - figuriamoci cosa potranno pensare quelli che invece fanno di continuo esercitare pressioni sulla laringe, sul velopendolo, ecc.!), significa tenere sotto controllo la pressione dell'aria, che poi è quella grazie alla quale il diaframma si alza e si abbassa, impostare correttamente la dizione e ancor più l'attacco dei suoni, che vengono pressoché sempre iniziati nel faringe o nelle adiacenze. Se anche nel passaggio da una vocale all'altra si mantenesse sempre forte il controllo, ovvero la tensione, sulle labbra, il fiato continuerebbe a scorrere e non vi sarebbe il continuo pericolo che subentri la fibra a sostenere il suono; il fiato sarebbe l'unico artefice dell'emissione.

venerdì, dicembre 25, 2009

C'è galleggiamento e galleggiamento

La sensazione che la voce galleggi sul fiato può essere abbastanza diffusa. In effetti una certa fortuna, nel senso di predisposizione, e un istinto positivo nel tenere leggero e nell'evitare affondamenti e irrigidimenti, può portare a sentire la voce che resta alta sul fiato. Questo è di per sè un fatto estremamente utile, importante nella conquista dell'Arte vocale. Devo però specificare che questo galleggiamento non è identificabile con la respirazione galleggiante, che è per noi un traguardo straordinario. Respirazione galleggiante non è semplicemente sentire il canto sopra il fiato, ma è il fiato stesso che non grava più sul diaframma, che non deve più essere costretto a rimanere in posizione bassa dal peso stesso della voce, ma ci rimane in quanto è stata commutata la sua funzione da fisiologica ad artistica.

giovedì, dicembre 24, 2009

Pronuncia e conformazione fisica

Mi pare di aver già scritto in precedenza che la buona emissione è anche legata alla conformazione fisica delle forme orali, e in particolare del palato. Il motivo per cui la U è una vocale utile per mettere il suono avanti, è determinata dal fatto che la pronuncia viene individuata nella estrema parte anteriore del palato, in corrispondenza esterna con l'attaccatura del naso, nel labbro superiore. Questo crea le condizioni ottimali per l'appoggio e per la amplificazione del suono. Il problema che intendo affrontare qui, riguarda il passaggio a tutte le altre vocali, in particolare nella zona acuta. Un momento difficile è sicuramente determinato dal cambiamento della U in A, in quanto la A viene generalmente pensata molto indietro, e la ragione è che nella zona faringea la A trova maggior spazio. Naturalmente è altresì vero che se si apre la bocca anche la parte anteriore della bocca ha spazio a volontà, e questo deve essere il corretto modo di procedere. Quindi nel passaggio dalla U alla A occorre non abbandonare le labbra che hanno pronunciato la U, ma guidarle lentamente all'apertura completa che determinerà la A. Ancora ovviamente, dietro a questo c'è il pensiero di una A che si formi a livello dei denti anteriori, e meglio ancora nella zona superiore della bocca. Stare attenti che la A non finisca nel naso e non tirare le labbra verso l'interno delle guance, perché così facendo il suono va indietro e assume un colore aspro e molto brutto, sguaiato. 

La E è anch'essa molto diversa dalla U, se parliamo della é, chiara. La I e la E richiedono spazio orizzontale, almeno in tutta la zona di petto, e anche nel falsetto femminile. Ciononostante si può arrivare sia alla E che alla I senza problemi, semplicemente tirando le labbra dagli zigomi, a sorriso. Il problema si pone nella zona acuta, di falsetto maschile e di testa femminile, dove è necessario scurire un po' per facilitare il passaggio.  In questo caso occorre esercitare la è (E' verbo) con colore oscuro, ampia apertura orale (simile a quella della O) e restringimento del labbro superiore, che aiuta a oscurare il timbro e a trovare la giusta dizione. Nel sito, per chi è registrato, c'è una lezione del m° Antonietti che esemplifica tutte le vocali nei due colori. Se si mantiene il colore oscuro, oltre al maggiore impegno del diaframma e al suo mantenimento in posizione bassa, facilitato dalla posizione bassa della laringe, la pronuncia andrà più facilmente a collocarsi nella parte avanzata del palato. 

Non ho specificato, prima, cosa capita nella A quando si fa in zona acuta. Se la posizione è veramente giusta, la A non necessita di alcuna modifica. Siccome è facile che "scappi", in zona di passaggio può essere consigliabile oscurarla appena, e considerare che la pronuncia non deve essere troppo larga, proprio per evitare che vada a cercare maggior spazio nel palato posteriore.

Per quanto riguarda la O, essa dovrebbe non riservare grosse sorprese, anche se non sempre è così. Per facilitare il mantenimento della posizione avanzata, la O deve essere impostata su una pronuncia "stretta", cioè o con accento acuto, la bocca molto ampia e il labbro superiore leggermente stretto. Può anche essere consigliabile pronunciare U e poi passare inavvertitamente alla O solo allungando la bocca. La sensazione della O che si appoggia davanti e perde la fisicità è una delle più belle e liberatrici.

La I, essendo la più chiara, può incontrare problemi negli acuti se pronunciata sempre in orizzontale, perché porta la laringe ad elevarsi molto e questo un po' spoggia. E' consigliabile, pertanto, dopo il passaggio, emettere una I che noi definiamo "ingrintata", cioè sulla posizione della U, con le labbra strette e la lingua appoggiata sui denti inferiori (come deve SEMPRE essere). Per mantenere bene la pronuncia anche negli acuti, sarà il labbro superiore ad alzarsi. 

Può essere interessante a questo punto fare un esercizio in cui si passi da una vocale all'altra nello stesso colore, quindi, in color chiaro (tendenzialmente sul sorriso): é i è a o u; e poi sul colore oscuro (quindi in verticale) si, è a o u. La é stretta in colore oscuro è più difficile perché porta al sollevamento della lingua nella cavità orale, e questo determina una tensione complessiva poco produttiva, quindi la si deve esercitare a lezione.

lunedì, dicembre 21, 2009

L'appoggio davanti

Una delle sensazioni più incredibili della disciplina artistica della voce, è quella che l'appoggio si avverte nel suono esterno, nella perfetta pronuncia. Credo che tutti pensino e avvertano l'appoggio come qualcosa rivolto verso il basso, come un peso che grava sul diaframma. Eppure non è così. L'energia insita nel fiato si proietta verso l'esterno dove potrà trovare libertà, sfogo, ma senza la spinta posteriore. Spingere e lasciar scorrere sono due questioni estremamente diverse e inconciliabili. Quando il fiato sonoro può esplicitarsi fuori di noi, trova sonorità, ricchezza, espansione, ampiezza. Quindi stiamo sempre attenti quando ci parlano di "appoggiare" il suono, ricordiamoci che esso si originerà all'esterno della bocca, e si amplierà verticalmente davanti ad essa.

sabato, dicembre 19, 2009

Mischiare o non mischiare?

Sento sovente parlare di "mischiare" i registri. Anche in questo caso il termine potrebbe rendere vagamente l'idea della "fusione", però mantengo qualche dubbio. Il termine "mischiare" fa pensare all'unione di due componenti. Cioè si mischia il vino, nel senso di due qualità o tipi di vino diverso; qui abbiamo due meccaniche, ma attengono ad uno stesso strumento, la laringe, che d'istinto compie repentinamente un movimento e un cambio di meccanica, laddove è possibile, in quanto potenzialmente presente, compiere una gradualità. Quindi, come si è già scritto, non andiamo a "mischiare", ma ad annullare il "passaggio", creando la gradualità. Ora, la mia perplessità nasce dalla constatazione che in molte scuole fin dal primo momento si punta alla fusione dei registri, parlando, per l'appunto, di "mischiamento" dei registri. Questo a mio avviso è molto sbagliato. A meno che uno non sia già in possesso naturalmente di un registro unico, cosa rara, e comunque sempre da esaminare, l'annullamento dei registri richiede ANNI di corretto e impegnativo esercizio. Il Garcia l'aveva scritto in modo molto semplice e chiaro il percorso da compiere. Prima di tutto occorre ben esercitare le gamme di rispettiva proprietà il petto e il falsetto. Quindi per mesi ed anni, è necessario esercitare il petto dalle note più basse fino dove risulta bello, rotondo, ricco, facile (anche se impegnativo). Questo potrebbe essere, inizialmente, anche inferiore alla gamma propria di quella voce (può succedere che un tenore "in erba" nei primi tempi faccia molta fatica a esercitarsi sul mi naturale, per es.). Il falsetto lo si potrà esercitare in colore chiaro o scuro nelle note proprie (negli uomini è quasi sempre preferibile lo scuro), partendo eventualmente anche qualche semitono prima del passaggio e fin dove è possibile correttamente. E' altresì normale che nelle note più acute possa venire meno sonoro, più povero, ma questo è dovuto al "cedimento" del diaframma, che avrà luogo in tempi solitamente non molto lunghi. Per arrivare all'annullamento dei registri, si dovranno portare a perfezione anche alcuni semitoni prima e dopo il passaggio entrambi i registri.

Per quanto riguarda il registro di testa della donna (re4), esso è da esercitare col colore oscuro fino al fa#4, almeno, però al solo scopo di esercitare il diaframma a sostenere il peso. Qui non si può parlare di annullamento o fusione, perché non è un vero passaggio di registro, e col tempo il fiato possiederà l'energia sufficiente ad alimentare correttamente la porzione di corda vibrante 

martedì, dicembre 15, 2009

A ognuno il suo [acuto]

Giustamente mi è stato fatto notare che il tenore e il baritono, due voci in fondo non così distanti, affrontano e risolvono gli acuti in modo piuttosto diverso, salvo casi abbastanza rari. In effetti in passato le cose non erano così diverse, se si sentono i grandi baritoni degli anni '30 e '40, si avverte un uso del colore e un atteggiamento nei confronti degli acuti che è sostanzialmente lo stesso dei tenori. Ha prevalso, nel tempo, però la linea di alcuni altri baritoni (partendo da Titta Ruffo) che hanno preferito mantenere un colore oscuro per tutta la gamma. Questo atteggiamento stilistico crea qualche problema nell'educazione della voce, perché lo scuro ha un peso considerevolmente maggiore, che se può tornare utile nella zona centrale della gamma, crea però un impegno molto ingente da portare con omogeneità nella zona acuta; inoltre dopo i primi due o tre suoni oltre la nota di passaggio, lo scuro comporta il mantenimento di una posizione bassa da parte della laringe che diciamo "si incaverna", nel senso che occupa una posizione inidonea agli acuti, che richiedono un maggiore allungamento e assottigliamento delle corde e pertanto avrebbero bisogno di maggior spazio, che si trova nella parte alta del faringe. Ciò crea a molti baritoni una difficoltà a sostenere gli acuti superiori al fa#3, che spesso risulta già nota ostica. Diciamo che se può essere ragionevolmente accettabile che i baritoni possiedano un colore diverso dai tenori (ma che dovrebbe risultare dalla tessitura stessa dei brani, mentre già con Verdi si assiste a una progressiva acutizzazione delle parti, poco logica, in realtà), questo non dovrebbe essere esasperato. Se consideriamo che tenori come Giacomini (recente) sembrano baritoni, i baritoni dovrebbero assomigliare ai bassi... e poi?? Sarebbe molto meglio se ognuno cantasse ciò che meglio riesce a rendere con i propri mezzi, indipendentemente dalle tante inutili e persin dannose etichette.

Fusione o annullamento?

Molte scuole di canto e trattati parlano della possibilità di "fondere" i registri. Per molti, a cominciare dalla prestigiosa scuola romana di Cotogni, attraverso le parole dell'illustre allievo Giacomo Lauri Volpi, preferiscono continuare a parlare di passaggio, anche se meno evidente nella carriera professionale. Poi abbiamo i casi tipo Bergonzi che sostanzialmente hanno sempre mostrato con evidenza il momento del passaggio. Alla base della teoria della fusione dei registri sta anche la nomenclatura, da parte anche di illustri foniatri, di quel registro intermedio tra petto e testa nella donna che viene definito "misto". Ovviamente avrete già capito che qui intendiamo confutare tutta questa mole di teorie che riteniamo confusionarie.
La laringe, e quindi le corde vocali, devono essere considerate uno strumento, e come tali non hanno in sè alcun motivo di possedere meccaniche diverse in alcune zone della gamma vocale. Non solo possiamo, ma dobbiamo dire che la gamma vocale è unica e pertanto dalle note più gravi alle più acute lo strumento offre una gamma omogena di suoni. Ora tutti sanno che ciò, tranne rarissimi casi, non si avvera pressoché mai, quindi dobbiamo considerare questo assioma solo potenzialmente presente in ogni individuo. Il motivo della presenza di due meccaniche separate è stato già più volte descritto: l'istinto di conservazione e difesa della specie non ritiene utile per la vita e la sopravvivenza dell'uomo l'esistenza di uno strumento completo, e ne limita pertanto il funzionamento a due soli tratti, quello della voce parlata e quello della voce gridata per motivi di relazione e difesa. Questa "atrofizzazione" del funzionamento laringeo non è però irreversibile, perché i sensi, anche quelli più nascosti, possono sempre essere riabilitati quando necessità di cambiamento ambientale ne richiedessero l'uso per fini di sopravvivenza. Nel caso della voce l'istinto è particolarmente ostico a lasciar modificare il funzionamento del fiato, in quanto, oltre a non essere realmente necessario per la vita, va a scontrarsi con le funzioni di scambiatore gassoso. Precisiamo che ciò che determina i registri non è la laringe, ma il fiato, che ha perso ogni capacità di alimentare in modo progressivo i suoni.
Sappiamo che la laringe può atteggiarsi secondo due meccaniche diverse, che richiedono anche diverso tipo di alimentazione da parte del fiato: il cosiddetto petto e il cosiddetto falsetto. I due registri percorrono su per giù la stessa estensione. Il petto non è sovrapponibile all'atteggiamento di testa. I suoni superiori al re4 di petto, che si sentono da parte di cantanti di musica leggera o diciamo moderna, sono da considerare una forzatura, non relazionabile con gli altri registri e con il fiato stesso. Sappiamo inoltre che l'esperienza ha fatto individuare già ai grandi insegnanti del passato i punti di equilibrio tra petto e falsetto e il punto di passaggio dal falsetto alla testa. A questo punto si parla di "fusione" dei due registri? Il termine non è sbagliato; facendo esercizi che investano il petto oltre il cosiddetto punto di passaggio e del falsetto prima dello stesso punto, si porterà il fiato a gradualizzare sempre più la propria funzione. Per la precisione il fiato dovrà aumentare la propria energia nella zona precedente il passaggio, quando la corda non risulterà più totalmente convessa, di petto, ma comincerà già ad assumere un atteggiamento teso, e potrà leggermente diminuire nella zona del passaggio e qualche suono successivo, quando la corda non risulterà più esclusivamente tesa ma anche con una percentuale di convessità (per questo motivo può accadere che nella fase educativa si avverta un maggiore impegno su note leggermente superiori a quelle del passaggio, dove le corde entrano pienamente nel registro di falsetto o testa: ad es. la donna può sentire un maggiore impegno sul la-sib3 e poi sul fa-fa#4, i tenori sul sol#3, i baritoni sul mi-fa3, ecc.). Ai fini di un imposto esemplare, e tenuto conto della premessa, riteniamo però che col tempo il termine "fusione" sia da escludere a favore di "annullamento" dei registri, avendo ricreato uno strumento musicale, completo e omogeneo.

lunedì, dicembre 14, 2009

Postura e appoggio

E' molto comune in chi inizia lo studio del canto notare posture del corpo non del tutto corrette. Appoggiarsi ad una parete o al pianoforte o a un qualunque oggetto presente è il segno della fatica che l'istinto non vuol fare. In genere si fa notare l'errore e si evita di ripeterlo. Meno evidente, ma più subdolo e potenzialmente dannoso è l'appoggio sull'anca. In pratica evitando di appoggiarsi ad oggetti esterni, si cerca di scansare un po' di fatica scaricando il peso su una sola gamba. Così facendo però l'asse del bacino si inclina su un lato e il peso del busto graverà sull'anca nel lato più basso. Questo è deleterio perché anche il diaframma tenderà a inclinarsi sullo stesso lato e il peso del fiato non sarà più equilibrato e uniformemente ripartito; siccome il diaframma non è un muscolo unico, ma è diviso in zone, c'è il rischio (che all'istinto piace!) che una parte del diaframma si abbassi e un'altra si alzi, con conseguente parziale spoggio, il che, come noto, è cosa assolutamente da evitare.
Da assimilare allo stesso errore è anche il piegare una o entrambe le gambe.

venerdì, dicembre 11, 2009

Come si parla - istinto e orecchio

Un mio allievo mi pone la domanda: se uno parla ingolato, l'esercizio sul parlato non peggiora la situazione? La risposta diretta è: no. Spiegazione: il parlato in ciascun soggetto è, comunque, l'espressione vocale più "sana" che possiede. Non può, quindi, esistere un esercizio esclusivamente vocalizzato che possa superare la bontà del parlato. L'insegnante metterà in essere tutte quelle strategie per far migliorare il parlato, questione che è SEMPRE da porre, perché anche nel migliore dei casi il parlato non si può definire perfetto, è semplicemente una espressione vocale relativa alle nostre esigenze di vita, che non necessitano certo di perfezione. Il pensare di fare un "vocalizzo" per mettere "avanti" il suono PRIMA del parlato è assurdo e sbagliato.

Lo stesso allievo mi pone un'altra domanda: può il nostro istinto, che agisce sia fisicamente che psicologicamente, agire anche sull'orecchio e farci sentire in modo difforme per portarci su una strada sbagliata? Il nostro orecchio sente ciò che è "necessario" sentire, quindi rispetto all'arte è difettoso, e può evolversi in misura della nostra necessità di sviluppo artistico; l'istinto in questo caso non ha praticamente necessità di intervento in quanto non andiamo a modificare il funzionamento, è solo un raffinamento del suo grado percettivo, per cui possiamo dire che la risposta sia "no".

giovedì, dicembre 10, 2009

"II timbro può attendere"

Praticamente tutti coloro che si avvicinano al mondo del canto lirico, sono affascinati dal timbro "lirico" e naturalmente sono ansiosi di conquistarlo. E' vero che ci sono non poche voci che si ritrovano già naturalmente un buon timbro; è questione di fiato già molto sviluppato e di una situazione anatomica particolare. Nella maggior parte dei casi le voci non si ritrovano questa caratteristica, o magari la possiedono su pochissime note. Dunque la fretta di trovare il timbro (magari supportata da un insegnante altrettanto ansioso, e perciò pericoloso!) porta fatalmente verso l'ingolamento. L'ingolamento è il sistema più semplice e veloce per trovare timbro, per quanto orribile. Nonostante le (inutili) perorazioni dell'insegnante: "Apri la gola!!", l'ingolamento consiste in un restringimento della glottide; la voce passando in questa strettoia subisce una frizione e si determinano alcuni "rumori" (pseudo armonici) che determinano un timbro vagamente "lirico". La presunta validità di questo sistema è anche data dal fatto che il bloccaggio della laringe frena la risalita del diaframma, e dunque si ha l'illusione di un appoggio abbastanza efficace. Qualcuno potrebbe legittimamente chiedersi: allora cosa c'è che non va, se l'ingolamento permette di raggiungere velocemente dei risultati? In primo luogo, come si può facilmente capire, c'è uno strozzamento, che riduce la portata dello strumento vocale. In secondo luogo la lunghezza della colonna d'aria è drasticamente ridotta, ma soprattutto la strozzatura crea la necessità, al fine di far uscire la voce, di spingere, il che da un lato produce una fatica notevole, dall'altro una sofferenza da parte della laringe stessa e dai muscoli relativi, che a lungo andare può determinare serie difficoltà e persino patologie. Ovviamente per chiunque sappia cos'è un canto piacevole e corretto, questo tipo di emissione è a dir poco orribile, inascoltabile. Oltre a essere bruttissima, questa emissione è solo apparentemente ricca; la voce ingolata non corre, non si espande e se non fa capo a un fisico molto robusto si sente anche poco. Le voci ingolate possono darla a bere (ma sempre a persone con poco orecchio) solo davanti a un microfono, che esalta gli pseudo armonici di cui si diceva. Tutto questo per dire che nel percorso educativo della voce bisogna avere molta pazienza perché il timbro è l'ultima cosa da attendere. Se l'appoggio di base è efficace, il suono - colonna d'aria - sarà libero, leggero, scevro da interferenze valvolari e resistenze glottiche e potrà giungere pulito ed ampio fino alla zona anteriore e superiore della bocca. Se e quando ciò avverrà correttamente, la zona alveolare del palato si comporterà ne più ne meno come il ponticello di un violino o una chitarra, e trasmetterà alle zone anteriori e superiori del volto e del cranio le vibrazioni, che riceveranno un ulteriore e notevole arricchimento, il timbro appunto. Qualunque interferenza che "inquini" il flusso sonoro o limiti l'appoggio, impedirà di fatto la conquista del timbro autentico e pieno dello strumento vocale umano, e instillerà nel soggetto la conseguente voglia di ricercare timbro ingolando. Il consiglio che si deve dare, quindi, è sempre quello di non cercare timbro, di lasciar fluire il più liberamente possibile la voce; questo darà modo di trovare presto e bene libertà e appoggio, e dunque anche quel risultato da tutti agognato.

mercoledì, dicembre 02, 2009

Molto rumor per nulla

Il timbro rappresenta uno dei problemi più inquietanti degli ultimi decenni della storia del canto. Alla base di questo problema, a mio parere, c'è l'invadenza del mezzo tecnico, l'incisione, che dal suo apparire ha creato grossi equivoci. La voce molto "rumorosa", infatti, nel disco appare più ricca e dunque sembra più grande, voluminosa, interessante. Il timbro si crea quando al suono base, formato dalle corde vocali e amplificato nelle cavità sopraglottiche, si aggiungono una serie di ulteriori riverberi e suoni secondari prodotti dall'elasticità delle pareti e dalle microporosità delle ossa del cranio. Queste aggiunte avvengono correttamente quando il suono, pulito e preciso, si riverbera sull'ultimo tratto del palato alveolare, dietro i denti superiori anteriori, che funge da "ponticello" tra quella zona e tutto il resto del cranio, sia inteso come ossa che come spazi. Da quando la scienza medica cominciò a interessarsi di vocalità, si cominciò a modificare la vocalità sana del passato nell'arrogante pretesa di migliorarla, o meglio ingrandirla. Il risultato è che si sono spostati i punti fondamentali di produzione e amplificazione, e oggi non c'è quasi più nessuno che non ricorra, in qualche percentuale, a suoni ingolati o indietro. I quali suoni ingolati producono "rumori", dovuti alle frizioni che il suono incontra attraversando la glottide o il faringe tesi e stretti, che vengono scambiati per timbro e definiti, incredibilmente, armonici. Chi inizia a cantare e ha in mente alcuni miti del canto, vorrebbe subito averne il timbro ricco e variegato. L'ingolamento risolve velocemente questa aspettativa, ma purtroppo in modo difettoso. La mancanza di disciplina e di pazienza è all'origine dei danni all'Arte.

venerdì, novembre 27, 2009

L'impeto della ... pressione

Il suono/fiato esce con una certa pressione. Questa pressione da cosa dipende? Massimamente dall'altezza del suono (più è acuto, più le corde sono tese e dunque il fiato deve possedere l'energia adeguata per vincere la loro resistenza); in misura un po' minore dipende dal colore (la massa cordale aumenta e quindi, nuovamente, la forza del fiato deve essere rapportata). In parte però dipende anche dalla postura orale, soprattutto in alcune vocali. Nella O, ad es. è possibile modificare la pressione del fiato mediante un controllo sull'anello labiale (cioè l'insieme delle labbra). Se la bocca si apre in verticale e la larghezza dello spazio tra le labbra è controllato, è possibile aumentare la pressione del fiato, che sarà esercitata soprattutto sul diaframma, migliorando l'appoggio e impedendo (cosa questa di grande importanza) che la pressione del fiato possa esercitarsi su parti della gola, con le note conseguenze. La U è ancora più incisiva sul controllo della pressione, ma può trovarsi di fronte a una forte resistenza istintiva, e per un certo tempo può suonare meno.
La questione della pressione ha importanti conseguenze. Quando si accede al settore acuto, soprattutto dopo il passaggio, dove il registro di falsetto dispone le corde ancor più tese e dunque necessitanti di maggior forza per vibrare correttamente, la maggior pressione viene esercitata e percepita, ovviamente, verso l'alto, cioè verso il palato. A questo punto il nostro istinto va alla ricerca di minor fatica. La colonna d'aria deve rimanere di uguale altezza per tutta la gamma, ma la fatica nei suoni acuti indurrà il cantante a cercare di sollevare la colonna (togliendo quindi appoggio), ed ecco l'erroneo (pessimo) consiglio di mettere gli acuti nella zona alta della testa (occhi, fronte, cupola...). in questo modo noi favoriremo lo spoggio della voce e col tempo la perdita degli acuti, il ballamento della stessa, ecc. Risulta quindi fondamentale far sì che si sostenga la fatica della maggior pressione senza modificare il punto di proiezione (cupola palatina dietro i denti superiori anteriori). Il primo segnale che la colonna si sta alzando è quando il suono diventa nasale. L'allievo di solito dice che fa meno fatica, e allora bisogna tornare indietro e rimettere le cose a posto. Attenzione: quando il suono batte nel palato anteriore, si può avere la percezione (per chi canta) che il suono esca dal naso. L'insegnante vigilerà se è vero o meno, ma l'allievo può sincerarsene provando a chiudere le narici; se il suono non si modifica vuol dire che è giusto. I suoni nasali sono molto pericolosi nella disciplina vocale e vanno accuratamente evitati, imparando a dire correttamente le N. Anche la L, visto che ci siamo, può talvolta creare problemi perché la si pronuncia dalla radice della lingua, (con rischio di ingolamento) mentre bisogna imparare ad utilizzare solo la punta.

martedì, novembre 24, 2009

"L'importanza di chiamarsi... A"

Se prendete una qualunque persona che non ha mai cantato in vita sua e che non ha alcun interesse al canto, e gli fate fare una A, non avrà il benché minimo problema, e se gliela fate intonare, in una zona a lui o lei comoda, ugualmente la farà, indipendentemente dal fatto di essere intonata o meno. Mi è capitato di recente di avere a breve distanza l'uno dall'altro, tre allievi con difficoltà notevoli a cantare correttamente sulla A, tutti già in possesso di un iter di studi canori. Evidente, quindi, che queste persone sono state indotte dalle scuole che hanno frequentato (tutte diversissime per docenti e provenienze), a perdere la giusta emissione di questa vocale (giacché con tutti gli allievi nuovi non incontro MAI questa carenza). La A non viene giusta per due motivi: 1) voce indietro; 2) fiato trattenuto, ovvero schiacciamento verso il basso e coinvolgimento della muscolatura faringea. Impiego diversi mesi a togliere questo difetto e "rimasugli" di difetto permangono poi ancora per un certo tempo. Ma perché tanti docenti cadono in questo errore? Considerando anche che tra le tante premesse di ogni buon insegnante che si rispetti c'è sempre che il suono deve essere "avanti" e mai andare "Indietro" (quelle premesse che tanti docenti non sanno nemmeno cosa vogliano significare, come canto sul fiato, scuola Garcia, e via discorrendo e dicono per sentito dire). Intanto c'è da notare che nel mondo del canto gira l'idea (non so da dove nata) che i cantanti lirici la A non la devono dire. Certo, posso provare a immaginare che il problema nasce, soprattutto nelle voci maschili, dal fatto che non sanno come risolvere il passaggio, che rischia di rimanere di petto. Poi c'è l'equivoco dei suoni "aperti", che non andrebbero bene e dunque bisogna fare suoni raccolti e coperti, e quindi la A non va bene... (?). Lasciatemi dire che sono tutte stupidaggini, ma grossolane e pericolose, che ci hanno portato dove ci hanno portato. Andatevi ad ascoltare i grandissimi cantanti del passato e sentite con quale piacere, quale grazia o temperanza emettevano senza alcun problema tutte le vocali che la Natura ci ha elargito. Noi siamo molto più furbi, forse, e riteniamo che dobbiamo modificare, o limitare, ciò che essa ci ha generosamente dato? Come il fatto che la laringe debba stare bassa... Lei (Natura) ci costruisce un organo perfetto, di incredibile complessità e dalle infinite e mutevoli possibilità, e noi vogliamo ridurre tutto o due o tre vocali e un colore solo. Mah... Comunque, vorrei esortare i cantanti e soprattutto i docenti di buona volontà a voler considerare la A come una vocale nobile (almeno come tutte le altre) ed importante nell'educazione, perché "alza" il fiato e permette l'esercizio dell'apertura orale come nessun altra, e dunque da impiegare spesso e bene. Certo, bisogna avere delle accortezze e delle competenze in merito, ma mi auguro che il buon senso, in mancanza d'altro, aiuti.

giovedì, novembre 19, 2009

Le formule del canto

Spazio = Peso

Nel canto ci sono alcune "formule" cui è bene ricorrere per capire cosa fare e cosa evitare. Una delle prime e più importanti riguarda il rapporto tra spazio e peso, dove con spazio intendiamo l'ampiezza delle forme oro-faringee e con peso intendiamo la forza che il fiato esercita sul diaframma. Risulta, credo, evidente, che più la bocca e la gola risultano ampi, più il fiato in essi contenuti eserciterà un peso sul diaframma. Come si è detto ripetutamente, il peso da un lato è favorevole alla posizione bassa del diaframma, per cui ne scaturirà maggiore energia, dall'altra stimolerà anche la reazione dell'istinto. Lo spazio, però, non dipende semplicemente da quanto si allarga o si stringe. Ad es. la vocale A induce la mandibola a scendere e la cavità ad aprirsi, per cui ne risulterà una maggiore quantità d'aria; il motivo per cui la A non pesa tantissimo, è dovuto al fatto che essendo una vocale che tende al chiaro, comporta un leggero sollevamento della laringe, e quindi una riduzione del tratto faringeo compreso tra laringe e palato molle. La O ha un peso maggiore in quanto l'ampiezza orale (se correttamente eseguita) è di poco inferiore, ma si amplia il cosiddetto vocal tract, cioè il cilindretto tra laringe e velo pendolo. Però, per proseguire correttamente, dobbiamo inserire un'altra formula:

COLORE = PESO

Tra colore del suono e peso c'è una relazione importante. Più il suono è scuro, maggiore sarà il peso sul diaframma; il motivo per cui la O pesa più di una A è dovuta al colore maggiormente scuro. Il colore è dato dal maggior spazio laringeo, ma anche dalla maggiore massa cordale; per poter mettere in vibrazione corde più pesanti, ci vuole più fiato / più energia, e questo causa maggior peso.

ALTEZZA = PESO

L'altezza dei suoni determina un certo peso; maggiore è l'altezza (acuti), maggiore sarà il peso. Questo è notoriamente dovuto al fatto che le corde vocali diventano sempre più tese, salendo, e questo necessita di maggior fiato / intensità. Ma la questione non finisce qui! Quando le corde si tendono o si ispessiscono, o entrambe le cose, la maggior quantità ed energia del fiato non può arrestarsi in gola, ma deve poter sfogare, quindi maggior altezza e/o colore più scuro necessitano sempre di maggiore ampiezza di gola/bocca, e questo comporterà quindi più peso. 

Lo studio del canto richiede un delicato equilibrio di questi fattori, perché l'eccesso di peso comperterà quasi sempre una reazione istintiva forte; la carenza di peso può essere utile per allenarsi in assenza di reazione; un peso modesto può invece non essere sufficiente a determinare un efficace appoggio. 

In genere l'ampiezza più efficace è in senso verticale, perché le forme favoriscono questa direzionalità, però esistono 2 vocali, la é e la ì che necessitano, almeno in zona centrale, di una apertura orizzontale. Anch'esse in zona acuta, a causa della maggior altezza, e quindi maggior fiato, necessiteranno di uno spazio verticale, a meno che non si sia già nella situazione di aver "domato" l'istinto.


lunedì, novembre 16, 2009

Azzerare la voce

Aggirare l'istinto è uno degli obiettivi costanti e prioritari di chi studia canto. Il sistema più usato - e abusato - è quello di indurlo a cedere mediante l'uso della forza, quindi con voce forte e accento. In realtà esistono altri modi che devono essere utilizzati, perché con la sola forza l'istinto si organizza e può contrastarci. Uno di questi sta proprio nel modo opposto, cioè togliere, azzerare pressoché completamente volume, intensità, timbro. Questo da un lato elimina la condizione di reazione, che non trova motivazioni, e permette quindi di esercitare con scioltezza l'articolazione, ma anche il fiato, che non essendo compresso viene consumato in gran quantità (occorre prestare attenzione all'iperventilazione in questo caso), e il maestro sarà in grado di correggere con facilità gli errori di "spinta" che comunque si manifesteranno. Questo tipo di azione permetterà in breve anche la giusta posizione e forma della lingua, non essendo coinvolta da reazioni diaframmatiche. Dopo alcune sessioni di esercizi con pressoché totale assenza di voce - solo fiato - si potrà passare alla cosiddetta voce sospirata, che dovrà dare risultati analoghi sul piano del rilassamento e della scioltezza. Al terzo "step" si passerà alla voce piccolissima, e così via, iniziando dalle note più comode e dando via via l'assalto a quelle più impegnative. E' un capitolo importante e non va sottovalutato, ma anche questo non è improvvisabile senza una guida sicurissima del proprio operato.

Nulla si crea...

Nel mondo dell'Arte in genere - nel nostro caso il canto -, l'impulsività, la fretta, la voglia di arrivare subito, magari senza troppa fatica, generano di contro il bisogno, da parte di insegnanti e tecnici più interessati a guadagni e visibilità che al raggiungimento di reali finalità artistiche, la ricerca di metodi e sistemi "infallibili" per l'impostazione della voce a fini canori. C'è un fatto su cui non si può derogare: in Arte non si può "inventare" nulla, mentre si può andare alla "scoperta" di ciò che sta alla base del "gesto" che genera il fatto artistico. Non staremo a ripetere per l'ennesima volta che alcuni "metodi" e/o scorciatoie escogitati da insegnanti più o meno celebri non hanno in realtà "scoperto" niente, ma "inventato" trucchi più o meno complessi per raggiungere un esito che raramente può definirsi artistico, anche se può piacere a un certo uditorio. In un certo senso questo discorso potrebbe considerarsi contraddittorio con la critica più volte sollevata circa l'impossibilità da parte della foniatria di trovare soluzioni valide per il canto artistico. Infatti la scienza medica indaga ed esamina approfonditamente tutto ciò che contribuisce all'emissione vocale. Perché dunque non "scopre" ciò che rende infallibile la produzione vocale cantata? Per un motivo: l'Arte non è scoperta di "ciò che c'è", ma di ciò che "ci può essere". l'Arte non è relativa al ruolo esistenziale comune, ma a una condizione che va oltre questo livello, e dunque non può essere vista tramite apparecchiature o esami visuali, ma può solo essere intuita, e guidata da chi l'ha conquistata con strumenti empirici. Un canto perfetto esige una modificazione anatomica e fisiologica degli apparati che non si trovano nella condizione di fare canto esemplare, trovandosi nella situazione contingente della vita vegetativa e di relazione. Non è immaginabile come debbano modificarsi gli apparati per poter raggiungere quel risultato, perché occorre proiettarsi con la mente oltre le esigenze di specie, il che è quasi impossibile se non per successive intuizioni e trovandosi in una situazione di esigenza soggettiva rarissima. In questo senso dovremmo dire che allora è giustificabile il livello mediocre o pessimo in cui si trova il canto oggigiorno? No; possiamo ammettere che la strada della perfezione possa essere un'avventura destinata a pochi, ciò non significa che si debba permettere un abbassamento generalizzato di questa disciplina. Abbiamo avuto periodi in cui il canto era a livelli medi molto elevati; occorre trovare i sistemi con ampia pubblicizzazione per allontanare e mettere in difficoltà i falsi maestri, i ciarlatani, gli "inventori" di metodi che non fanno che abbassare il livello di qualità, cercando di far spazio agli onesti, ai coscienziosi, agli operatori di buon senso, che si prestano anche alle osservazioni e sanno mettersi in discussione e aggiornarsi.

mercoledì, ottobre 28, 2009

Alimentare le forme - la spinta

Come ho cercato di spiegare più volte, l'apparato fonico, composto da 3 elementi: l'alimentante (fiato), il produttivo (laringe) e l'amplificante (cavità sopraglottiche), sono in strettissima relazione tra loro. In genere si parla molto del rapporto che c'è tra fiato e strumento, cioè tra l'altezza e il colore del suono, che determinano una tensione e una struttura cordale ben definita che necessitano di un fiato adeguato, ma si parla poco del rapporto tra il fiato e la forma. A ogni vocale corrisponde una forma orale ben definita, che sarà più ampia nella A, un po' meno nella O e così via fino alla I, la più stretta. L'ampiezza della forma necessiterà di una alimentazione, cioè di un fiato, corrispondente, maggiore nella A e minore nella I. Come si capirà è un problema artistico di coordinamento tra l'alimentazione aerea, tensione e spessore delle corde e forma orofaringea. Ovviamente, come già detto in passato, è scientificamente irrisolvibile questo problema, che solo il nostro organismo, sapientemente disciplinato, può affrontare e risolvere. C'è da aggiungere che l'ampiezza orale necessitante di alimentazione maggiore provoca anche più peso sul diaframma; questo fa sì che l'isintinto possa reagire con sollevamento del diaframma.
Da questo argomento ne discende un altro: la "spinta".
Sappiamo come il suono "spinto" rappresenti un problema per molti cantanti, specie nel tempo dello studio. Ma di fatto cosa significa?
Partiamo dalla considerazione che il suono esce, almeno per qualche secondo, senza alcun impegno, perché il diaframma e la ricaduta delle costole provocano una emissione d'aria, e dunque un suono, senza alcun impegno. Quando le note sono centrali e non particolarmente forti, il pericolo di spingere è molto alto. Altrettanto frequente è lo stimolo alla spinta nelle vocali strette, la I e la é, che richiedono meno fiato in quanto con poco spazio nel cavo oro-faringeo.
Di spinte poi ne esistono almeno 2 tipi. Il più frequente e pericoloso è quello "dal basso", cioè una forza esercitata sotto la laringe verso l'alto. E', in pratica, un rafforzamento della pressione sottoglottica, che provoca un'emissione forzata, quasi certamente stonata, con effetti collaterali quali la risalita della radice della lingua, difficoltà di apertura orale o la produzione di suoni nasali. Superata questa, può presentarsi una spinta dall'interno della bocca verso l'esterno. E' decisamente meno pericolosa, ma provoca comunque suoni brutti e disomogenei, e si presenta anch'essa più frequentemente nella I e nella é, sempre per la carenza di spazio. Quando il suono è esterno alla bocca, allora la cosiddetta spinta si trasforma in potenziamento dell'appoggio, e quindi in un controllo dinamico, quindi in qualcosa di utile. Le spinte interne vanno eliminate diminuendo la forza e l'intensità, anche fin quasi a zero. La spinta, in genere, è legata all'attività muscolare faringea, e quindi è indispensabile eliminarla per far sì che il fiato possa fluire indisturbato nel cavo strumentale senza interferenze, come se fosse un tubo vuoto e inerte.

venerdì, ottobre 23, 2009

Aprire la bocca?

Credo che la maggior parte delle scuole di canto induca i propri allievi a tenere, per lo più, la bocca aperta, ma non sono pochi coloro che invece suggeriscono un canto a bocca semichiusa, suggerendo la famosa formula del "sorriso" di cui parla anche il Garcia. 

Diciamo che fondamentalmente la bocca deve assumere la forma relativa alla vocale che si sta facendo, e che più il suono va verso l'acuto più la bocca deve aprirsi. Per molto tempo diciamo pure che la bocca è bene che venga tenuta aperta e che ci si abitui ad aprirla molto, perché la reazione diaframmatica comporta una pressione su laringe e mandibola tendente a sollevarle, quindi tenendo aperto si contrasta questa tendenza. Inoltre un maggior spazio è comunque consigliabile, anche se un po' esagerato, rispetto ad uno spazio ristretto, e infine diciamo che le persone, per vari motivi, sono sempre un po' restie ad aprire molto la bocca, il che è indispensabile soprattutto quando si sale, ma anche per emettere correttamente la A.

Un problema che si presenta spesso è la "caduta" del suono nel passare da vocali strette, come la "I" e la "é", a vocali più ampie come la "A". Il problema si pone anche a causa di uno scorretto approccio alla "A", che viene solitamente pensata nello spazio faringeo, e il più delle volte attaccata con colpo di glottide. Aprire molto la bocca, cercando di rilassare la muscolatura del collo e del sottogola, favorirà una emissione sul fiato verso i denti superiori, leggera ma sonora, e impedirà l'attacco e l'espansione in gola. Il problema della "caduta" è dovuto al fatto che aprendo la bocca e spingendo il suono, esso seguirà la discesa della mandibola; viceversa il suono va un po' alleggerito, in modo da continuare a fluire verso i denti superiori. 

Alcuni insegnanti favoleggiano che aprendo la bocca il suono si spoggi. In questo caso ci troviamo di fronte a insegnanti che hanno un concetto di appoggio completamente errato, perché è evidente che se aprendo la bocca il suono si spoggia, vuol dire che il suono viene "tenuto" con la mandibola stessa, e quindi appoggiato sui muscoli faringei.

Per quanto riguarda il canto "sul sorriso", esso è possibile e può avere interessanti utilizzi, però ciò che riteniamo un errore è parlarne prematuramente. Esso si può considerare una conquista della maturità vocale, perché il canto sul sorriso può indurre spoggio del suono, e dunque è da rimandare a quando la reazione istintiva, grazie alla giusta disciplina, sarà ridotta quasi a zero. Questo tipo di canto, peraltro, non si presta ad ogni tipo di stile, perché sarà sempre piuttosto chiaro e flautato, e con intensità più ridotta. Un canto maggiormente declamato, intenso e accentato richiederà sempre ampia apertura orale.

Ci può essere, seppur raro e sapientemente guidato dall'insegnante, il caso in cui si può eseguire una vocale ampia come la A con la bocca semichiusa. Si usa soprattutto con allievi che hanno un imposto sbagliato, e faticano a portare avanti il suono, ingolandolo ogni volta che aprono la bocca. In questo caso si può, occasionalmente, far emettere una A con bocca semichiusa per avvertire la sensazione del suono che "batte" nel palato dietro ai denti anteriori superiori, che dà una piacevole sensazione di apertura. Si potrà passare lentamente all'apertura della bocca senza che il suono si modifichi, e si sarà così fatto capire che il fiato, se non lo si disturba, può continuare a fluire tranquillamente verso quella zona.

giovedì, ottobre 22, 2009

Esercizi a bocca chiusa

E' prassi comune nelle scuole di canto svolgere esercizi a bocca completamente chiusa (la M muta). Sono esercizi che vengono consigliati soprattutto in fase di "riscaldamento". La motivazione di tale esercizio è dettata soprattutto dal proposito di mettere il suono in "maschera", in quanto la M, e i suoni a bocca chiusa in genere, suonano, secondo loro, per l'appunto in maschera. Tutti sanno che quando si chiude la bocca i suoni devono, necessariamente, uscire dal naso, e quindi i suoni "muti" sono, in realtà, nasali, e quindi inutili in quanto tendenzialmente spoggianti in quanto inducono un sollevamento della base del fiato. Purtroppo, però, proprio per evitare lo spoggio del suono, il più delle volte i suoni muti si appoggiano anche in gola proprio per schiacciare il diaframma impedendone la risalita. In sostanza un esercizio che nella migliore delle ipotesi è inutile, altrimenti pure dannoso o perlomeno inopportuno, quindi da sconsigliare sempre.

venerdì, ottobre 09, 2009

Il fenomeno Schipa

Sono fortunatamente in molti a sentire nella voce di Tito Schipa l'ideale di canto esemplare. Fin qui tutto bene. Ad esempio ci sono schiere di appassionati delle voci "grandi" che invece non lo sopportano, e questo, dal punto di vista soggettivo, può anche essere comprensibile, e lo ritengono bravo solo perché voce piccola. Quando si fanno valutazioni sulle voci occorrerebbe cercare qualche elemento di obiettività. Quindi che agli appassionati di voci come Del Monaco o Corelli una voce come quella di Schipa possa piacere poco, amen, però, posto che quelli non potevano cantare tutto il repertorio, i tenori leggeri ci vogliono, e quindi... chi? Se entriamo nel campo delle voci leggere, anche andando parecchio indietro negli anni, bisogna ammettere che di vocalità così intatte e pure non ce ne sono state altre, e di voci leggere ne abbiamo avute anche di molto più tenui. La questione, come ho già scritto in altre occasioni, non riguarda il peso; ognuno ha il suo, e ciascuno con le proprie forze deve superare ostacoli proporzionali, quindi la fatica che può fare uno Schipa per arrivare alla perfezione è pressapoco la stessa che può fare un Corelli, pur con voci diverse. Analogamente corrono rischi sia gli "imitatori" di Corelli quanto quelli di Schipa, anzi osiamo dire ancor di più, perché per tenere la voce sempre avanti, presente, sulla parola, come fa Schipa è ancor più pericoloso e difficoltoso che fare suoni stentorei, ma magari tutti leggermente più indietro. Ecco dunque che i vari Valletti, Tagliavini, e alcuni altri meno celebri che han voluto seguire le orme del grande leccese, si sono spesso trovati di fronte a ostacoli insormontabili. Una domanda che veniva spesso posta al m° Antonietti e oggi a me, è: a cosa è dovuta la grande vocalità di Schipa? Scuola o disposizione? Una disposizione tale per cui si possa cantare per tutta la vita in quel modo, siamo pressoché certi che non possa esserci; sicuramente Schipa aveva in sé una pre-disposizione a un canto nobile, elegiaco, chiaro e dalla dizione scolpita. Posso essere altrettanto certo, di conseguenza, che il m° Gerunda, insegnante di Schipa, sia stato in grado di valorizzare e fissare quella vocalità in modo convincente. Schipa iniziò a cantare ancor molto giovane, quindi si può dire con una certa sicurezza che non può aver avuto il tempo di prendere piena coscienza di questa sua vocalità, e quindi anche i suoi insegnamenti, che sappiamo impartì, riteniamo non siano stati all'altezza della sua arte canora, anche se certamente ispirati a concetti "sani". Con altrettanta certezza possiamo affermare che anche cantanti e maestri che abbiano avuto la possibilità di parlare e dialogare con Schipa, difficilmente possono aver assimilato qualcosa di così raro e particolare. La nostra scuola, potremmo e vorremmo anche sbagliarci, ma non abbiamo avuto ancora prove del contrario, è l'unica che può vantare come obiettivo il raggiungimento di una perfezione "alla Schipa", avendo tutti i presupposti per raggiungerlo.

mercoledì, ottobre 07, 2009

"Del suono intonato"

E' decisamente normale che nel corso dell'apprendimento del canto alcuni suoni risultino poco intonati. E'altresì normale che in un coro ci siano persone senza o con una labile specifica preparazione vocale. Cosa dicono la maggior parte degli insegnanti e dei maestri di coro quando, con orecchio sopraffino, odono suoni non perfettamente intonati, e normalmente calanti (i suoni crescenti spesso vengono lasciati passare...)? "Tenetelo su... alzatelo"... o similari. Questo lessico, per quanto comprensibile, è negativo, perché "tenere su" comporta due azioni controproducenti: si tende ad alzare il suono, e quindi a spoggiarlo, tendere una serie di muscoli, come quelli della fronte (che non hanno risvolti negativi, se non quelli di un viso perennemente contratto) ma anche quelli del collo, oltreché alcuni del viso, che possono anche avere qualche effetto positivo. In particolare i muscoli del collo ai lati della laringe possono portare a un sollevamento indotto della stessa, con pericolo di spoggio, e quindi spesso contrastato con uno schiacciamento verso il basso. Quindi, come si comprenderà facilmente, si mettono in moto una serie di azioni negative. L'intonazione calante, laddove si è verificato non esserci problema di orecchio, è sempre dovuto a un difetto (nel senso proprio di mancanza) del fiato o una insufficiente azione diaframmatica, che viene risolta in tempi relativamente brevi da corretti esercizi. Bisogna ricordarsi che non si può fare nulla di corretto pensando di "tenere su" la voce o l'intonazione, perché tutto dipende dall'azione diaframmatica, quindi dal "giù", ma non si deve neanche pensare di esercitare una qualche azione nella zona diaframmatica, se non tenere correttamente diritto il busto. Gli unici muscoli idonei a influire sul suono, e anche sull'intonazione, sono quelli della bocca e della parte mediana del viso, quelli, cioè, preposti alla dizione, così come l'apertura orale, che è sempre fondamentale in tutta l'educazione del fiato.

venerdì, settembre 25, 2009

Maschera, Petto, Belcanto, Affondo....

La confusione regna sovrana! Leggiamo o sentiamo, e non solo da studenti o amatori, ma da cantanti celebri, insegnanti di canto (o sedicenti tali), mettere in contrapposizione il cosiddetto Belcanto con la tecnica dell'affondo, oppure il registro di petto con il canto in maschera... insomma parole in libertà, e purtroppo da una tribuna privilegiata, perché è chiaro che se parla la Simionato o la Tebaldi (faccio nomi a caso), ci saranno migliaia di persone che penderanno dalle loro labbra... cosa ci si può aspettare da autentici miti del firmamento lirico, se non verità? E invece sono assurdità belle e buone. Ascoltiamo la Simionato affermare che lei non ha mai cantato di petto nella sua carriera, ed esemplificare con alcuni suoni di petto che più di così non si può, e affermare che "sembrano" di petto, ma sono "in maschera"!!! Cosa c'entrano le due cose? Assolutamente niente. Evidentemente la Signora confonde la meccanica dei registri con qualche sensazione di antichissima memoria (va beh, è anziana, ma non così tanto!!) che contrapponeva petto e testa (è comunque una confusione, perché le vibrazioni di petto e testa non sono da confondere, comunque, con il cosiddetto suono in maschera, che può essere avvertito - comunque si intenda "maschera" - in entrambi i registi). Ma è altrettanto confusionaria la contrapposizione tra una tecnica definita dell'affondo e un periodo storico artistico come è pressoché unanimemente riconosciuto quello del cosiddetto "belcantismo", cioè il Sei e primo Settecento. Vero è che corrisponde anche al periodo dei castrati e del virtuosismo più sfrenato, ma questo non può essere considerata una "tecnica" vocale, semmai una filosofia di canto, in buona parte quella che abbiamo accolto noi, ma che questa disciplina si contrapponga a un "modo" di cantare, è errato. Cerchiamo di dare ordine. Un cantante che prediliga o abbia le caratteristiche per affrontare un repertorio cosiddetto belcantistico, cioè gli autori del Barocco, o del Neoclassicismo, Rossini e poi Bellini, Donizetti e il primo Verdi (con i coetanei minori), seguendo la giusta disciplina potrà affrontare quel repertorio. Se, invece, è più versato per il romanticismo, tardo romanticismo, verismo o la musica del 900, potrà egualmente farla, senza dover guardare a un'altra tecnica. Un equivoco analogo riguarda anche la musica leggera o "moderna". Se la base è giusta e buona vale per tutti. Ciò che cambia è lo stile, e possiamo essere d'accordo che il maestro debba saper disciplinare l'allievo in base anche al tipo di repertorio che dovrà affrontare, per cui se non sa niente di un certo stile, o di certi stili, forse farà bene ad evitare di insegnare ad allievi che intendono fare quel genere musicale.

mercoledì, settembre 16, 2009

La scienza e la voce

Sciveva Mauro Uberti già negli anni 60/70 che l'insegnamento del canto avrebbe avuto un grande giovamento nel passaggio al livello scientifico, visto che fino al dopoguerra le conoscenze specifiche sulla voce erano molto scarse. Nell'articolo stesso, che è visibile sul web, si dice che la classificazione vocale non avrebbe avuto più problemi. Passano i decenni, la scienza medica si affina ogni giorno di più così come gli strumenti di indagine e analisi. Il risultato è che non c'è mai stata tanta confusione e tanta mediocrità, almeno mi pare. Dove sta il problema? O meglio: I problemi. Non c'è, e non ci può essere, un trattato scientifico del canto artistico, in quanto la voce cantata è un processo che esula dalle funzioni vitali del corpo cui la medicina è volta, ed essa può intervenire efficacemente solo nella cura dei disturbi e delle patologie, a patto che queste non richiedano un intervento di modificazione della vocalità artistica. Il canto è l'interazione di tre apparati, e solo un artista che ne abbia assunto la piena coscienza può intervenire su questo sistema; la scienza non ha alcun potere di miglioramento o modificazione della vocalità (in quanto non è in condizioni di studiare e proporre soluzioni a questa interazione), e soprattutto non può ipotizzare un percorso didattico. Alcuni dicono: ma se un foniatra fosse anche cantante... Sì, meglio, ma di che livello? L'essere esperto del funzionamento degli apparati vocali non fa di un modesto cantante un grande maestro, tantomeno un artista. Un presuntuoso molto più probabilmente sì. Infine dobbiamo svelare un fatto: per poter compiere esami sulla vocalità, la scienza ha bisogno di modelli, perché essa si basa su confronti e statistiche, quindi non esiste un dato di fatto oggettivo per cui uno strumento dice: baritono, soprano, basso, ecc. Lo strumento dà delle misure che il foniatra, comparativamente, interpreta. Quindi nessun responso inoppugnabile e realmente scientifico, ma sempre soggettivo e basato, poi, su dati di cui non conosciamo la provenienza; chi ha fornito i modelli? Sarebbe la stessa cosa se i campioni fossero stati "estratti" da Tito Schipa, Mariano Stabile, Beniamino Gigli, Aureliano Pertile, Ezio Pinza, o invece da altri, di cui magari non facciamo i nomi, celebri ma dalla vocalità decisamente meno valida (e quanta autorevolezza hanno questi studiosi a determinare se una vocalità è più o meno valida? Siamo sicuri che, a parte i danni di una emissione scadente, si "veda" realmente la differenza tra un virtuoso eccezionale e un buon cantante?).

martedì, settembre 15, 2009

... dentro o fuori?

La stragrande maggioranza delle scuole di canto insegna l'imposto vocale ricorrendo di continuo a immagini e azioni che si svolgono all'interno del corpo, dal palato molle, alla gola, alla laringe, al diaframma. Sarebbe un po' come se un insegnante di pianoforte volesse dagli alunni continui interventi diretti sulle corde, sui martelletti, ... sulla meccanica, insomma. Alcuni insegnanti evitano qualunque azione legata alle labbra e ai muscoli del volto, molti, invece, fanno riferimento a muscoli che appaiono lontani dai punti di produzione del suono, come la nuca, la parte posteriore del collo, la schiena, l'addome, ecc. Oltre alle azioni, un cenno importante merita l'amplificazione. Moltissime scuole concentrano l'attenzione sull'ampiezza della gola pensando che ciò possa dare maggiore risonanza. Non si può dire in assoluto che ciò non sia vero; è possibile influire su alcuni muscoli del faringe e sulla stessa laringe per provocare un maggior spazio nell'epifaringe; questo provocherà uno scurimento del suono e anche un maggior volume. Ma... E sì, penso che tutti si aspettino il ma, a questo punto. Agire direttamente sui muscoli della gola comporta 1) che il suono si focalizzi in quel punto; 2) che le pareti, irrigidite dalla tensione, perdano l'elasticità indispensabile, invece, per una emissione esemplare; 3) che il maggior volume non si esplichi al di fuori dell'individuo, ma rimanga in gran parte dentro.

Una esemplare educazione del fiato/voce potrebbe svolgersi, come pensiamo effettivamente avvenisse anticamente, grazie al solo controllo del suono emesso, e agendo esclusivamente sulla parte esterna della bocca e del volto (che potremmo considerarli alla stregua della tastiera del pianista), e giusto un accenno ai muscoli del busto. Questo impedirebbe l'aggiungersi delle interferenze volontarie a quelle già provocate dall'istinto e dalle funzioni vitali.

venerdì, settembre 11, 2009

La compressione sottoglottica

La compressione sottoglottica è la spinta che l'aria produce sotto le corde vocali, quando queste sono addotte, la cui forza è determinata in parte dalla normale spinta di risalita del diaframma, in parte, la più cospicua, è determinata dalla forza indotta dall'istinto quando l'atto respiratorio si prolunga, o a causa del peso del suono, che determina una fatica che l'istinto non accetta. Ci può anche essere una terza causa di spinta sottoglottica, anche più frequente e deleteria delle altre, ed è quella che è determinata volontariamente dal soggetto che ritiene in questo modo di aumentare l'intensità del suono. Ancor più frequentemente la spinta è determinata da un altro difetto: l'ingolamento; l'ingolamento provoca un restringimento del faringe, e quindi una maggiore difficoltà di fuoriuscita del fiato/suono. Per contrastare questa difficoltà il soggetto invece di rilassare la muscolatura faringea e permettere al fiato di scorrere, aumenta la spinta, e quindi il difetto. La spinta può aumentare man mano che il fiato si esaurisce e particolarmente nelle scale e arpeggi discendenti. Per contrastare la naturale spinta sottoglottica, è frequente, se non addirittura volontariamente causata, una spinta contraria, cioè sopra la laringe e diretta verso il basso. Questo azione talvolta viene confusa con l'appoggio. E' un difetto piuttosto grave, che fa il paio con quello della spinta dal basso verso l'alto; è come se un soggetto si trovasse contemporaneamente fuori e dentro un ambiente, e da entrambe le parti spingesse la porta per entrare!!

lunedì, settembre 07, 2009

Il falsetto nell'uomo e nella donna

Un punto risulta per molti incomprensibile. Se noi definiamo "falsetto" il tratto vocale che, sia nell'uomo che nella donna, percorre all'incirca il tratto dal fa3 al re4, come mai nelle donne risulta piuttosto sottile, chiaro, poco sonoro, mentre nell'uomo risulta pieno, sonoro e squillante? La risposta è semplicissima: la corda femminile è molto più piccola di quella maschile, quindi proprio il fatto di percorrere la stessa gamma di note rende quelle femminili più esigue rispetto al maschio, che avrà maggior massa cordale da mettere in vibrazione. Per lo stesso motivo la donna potrà poi salire opportunamente oltre un'ottava più su. Quindi, pur riconoscendo che è un termine forse inappropriato, ma la colpa è dell'antica scuola italiana (!!), non dobbiamo pensare a questo registro come identico nell'uomo e nella donna (pur potendo l'uomo imitarlo perfettamente), ma solo nella stessa posizione.

Il registro di petto nella donna

Il registro di petto suscita ancora perplessità in molte cantanti, studentesse di canto e soprattutto insegnanti; non è raro sentir dire da qualche docente che il petto "rovina la voce!". Un timore infondato e assurdo. Da dove proviene questa paura? in primo luogo da una assoluta incomprensione dei registri, che qualcuno mette ancora in relazione con le antiche percezioni, quando la meccanica dei registri era sconosciuta. Per questioni meramente fisiche, le note acute si percepiscono più fortemente nella testa e quelle gravi nel petto; questo, inoltre, è anche in relazione a un fatto anatomico: la laringe è legata allo sterno da un muscolo (sterno-cricoideo) che di fatto trasmette le vibrazioni alla cassa toracica, soprattutto nella note più gravi, quando la laringe è più bassa, ma è anche attaccata al cranio tramite l'osso ioide, quindi le vibrazioni che avvengono quando la laringe è più alta, e quindi nelle note più acute, passano con maggior facilità alle ossa della testa. Ma da qui la selva di equivoci. E' nata infatti l'assurda idea che facendo le note in registro di petto, queste non suonino "in maschera", cioè siano "basse". Quindi i soprani cantino tutto in falsetto, in modo da tenere il suono "alto". Questa cosa è talmente assurda che non so se fa ridere o piangere. Se così fosse vorrebbe dire che nessun maschio che canti, come normalmente è, per l'80-90% in registro di petto, dovrebbe poter mettere la voce "in maschera" (ma già sappiamo quanto è inappropriato e fuorviante questo termine). 

Diciamo allora bene come stanno le cose. Pensiamo alla voce acuta della donna, e prendiamo a paragone un violino o una chitarra, e la loro corda più acuta, il "cantino". Quando dalle note più acute si scende verso quelle più gravi, la corda "sottile" a un certo punto diventa inappropriata, in quanto troppo tesa e sottile. Per questo a un certo punto si passerà alla II corda, più spessa e un po' meno tesa. Nel violino e nella chitarra poi il concetto si ripeterà altre volte per poter arrivare a coprire l'intera tessitura dello strumento. Nella voce umana la corda vocale può avere un atteggiamento che possiamo definire in "corda sottile", che è quella relativa al falsetto-testa, oppure un atteggiamento che definiamo in "corda spessa", relativa al registro detto di petto. Ora, come risulta lampante anche dall'esempio, la corda sottile man mano che si scende diventa inappropriata a emettere suoni sonori in zona grave, quindi diventa del tutto logico e naturale che si "passi" alla seconda corda, quella più spessa e meno tesa. 

Fin qui i dati essenziali, ma si può andare oltre, dicendo che cercare di ottenere dalla corda tesa, sottile, suoni che non le sono appropriati (e cioè soprattutto dal do3 in giù), vuol dire andare a forzare e quindi a ingolare, per tentare di dare sonorità e corpo dove questi non esistono. E questa assurdità quando c'è un atteggiamento cordale lì pronto e fatto apposta. C'è ancora un dato non secondario. La voce in registro parlato, cioè in corda spessa o petto, è la voce "base" dell'uomo e della donna. Escluderla dalla gamma dei suoni cantati vuol dire affrontare la vocalità sempre con un atteggiamento teso e quindi più vulnerabile agli attacchi dell'istinto di conservazione e difesa della specie. I soprani i cui insegnanti dicono di non cantare mai in registro di petto, dovrebbero subito lasciarli. 

Per correttezza dobbiamo dire che ci sono stati nella storia del canto anche esempi negativi di abuso del registro di petto, soprattutto nei mezzosoprani e nei soprani drammatici, che non hanno saputo equalizzare il passaggio e quindi hanno forzato e sguaiato il petto anche su note improprie. Ovviamente il nostro orientamento non è questo! Anche il petto deve sempre rispondere a nobiltà di accento, a bellezza ed equilibrio di emissione.

mercoledì, agosto 26, 2009

lo strumento

L'uomo possiede uno strumento entro di sé? E' una domanda legittima, ma rispondere sì è incompleto. In effetti dovremmo dire che l'uomo ha entro di sé una vera "macchina" da musica, una sorta di juke-box. Infatti lo strumento è solo una parte di questo complesso, cioè la laringe; ma noi, per poter cantare, dobbiamo mettere in azione anche il meccanismo che permetterà allo strumento di suonare (il fiato è paragonabile all'archetto per un violinista); come sappiamo non finisce qui; l'uomo possiede anche un delicato impianto di amplificazione. Questa "macchina" è un organismo assai complicato, e ciò che bisogna capire è che perché possa dare il meglio di sé, non è sufficiente che ciascuno dei suoi tre componenti funzioni bene, ma è indispensabile che essi siano sempre perfettamente in relazione tra di loro, cooperino e coagiscano. Lo strabiliante strumento vocale, al contrario di tutti quelli costruiti dall'uomo nei secoli, non è rigido e di struttura fissa, ma possiede una elasticità e mobilità sorprendenti, che però l'uomo, il più delle volte, tarpa, limita, blocca. Più si creano le condizioni perché la voce dia il meglio di sé, e più questo rivelerà preziosismi e bellezza. Più lo si limiterà, e più esso si inaridirà. 

lunedì, agosto 24, 2009

come Michelangelo...

Sempre più mi convinco che la grande scuola di canto equivale al concetto che espresse Michelangelo nella scultura, che non scolpiva un soggetto ma toglieva il marmo di troppo attorno ad esso. E' peccare di presunzione ritenere che si possa "costruire" una voce, quando la natura, assai più brava, lo strumento lo ha già bello che fatto! L'arte consiste nel saperlo far emergere, nel permettergli di poter dare il meglio di sè, escludendo quelle resistenze e quegli attriti che il rozzo corpo umano manifesta nell'ambito della sua vita quotidiana. Lo spirito artistico può valorizzare nuovamente questa fortuna che si cela entro ognuno di noi, quasi sospendendo, per un tempo, la vita con le sue seccature e i suoi problemi materiali. Quindi insegnare il canto non può consistere nel forzare, nel far fare assumere al corpo o anche a piccole parti di esso pose o posizioni tese, rigide, dure, ma, al contrario, nello sviluppare armoniosamente ciò che la natura già ci ha elargito. L'unico ostacolo è... il nostro corpo, e quindi purtroppo sbagliano anche quegli onesti e illusi insegnanti che pensano che basti respirare tranquillamente e fare cose "naturali" per ben cantare; affinché lo spirito possa elevarsi è necessario raggiungere un compromesso, e il grande insegnante è colui che sa come realizzarlo.

domenica, agosto 23, 2009

Imposto

Una parola ricorrente in chi studia canto lirico è "impostazione" o "imposto" (che noi preferiamo). Questo termine, che suona ormai piuttosto abusato, nel circo lirico spesso assume un significato che noi riteniamo fuorviante, perché fa riferimento a un certo "modo" di atteggiare il suono vocale, che ne vorrebbe indicare una differenza assai significativa rispetto alla voce parlata. Sono del parere che nelle scuole di canto non si sappia realmente rispondere alla domanda: "che differenza c'è tra la voce parlata e quella cantata", non se ne parli a sufficienza, e in sostanza non si conosca realmente in cosa consiste questa differenza. A questo fanno riferimento due altri termini, altrettanto fuorvianti: "suono lirico", ovvero "suono impostato". Il primo, in particolare, è da ritenere "pericoloso", perché nell'immaginario comune vuole ricondurci a un suono che, purtroppo, è la voce ingolata. Quando si parla di "imposto", al contrario, non si dovrebbe altro che intendere voce disciplinata, educata, secondo buone regole del canto artistico, il quale è "solo" più ricco, più intenso, più facilmente gestibile musicalmente, espressivamente, in tutta la gamma propria di ciascun soggetto.

martedì, agosto 18, 2009

Scuole di canto di ieri

In un sito segnatalatomi, ho riscontrato che anche il m° Marcello Del Monaco, fratello del celebre e grande tenore Mario, e comunque molto celebre anch'egli come insegnante di canto, e allievo dello stesso maestro Melocchi, in uno scritto presente on line, rimane assai perplesso rispetto alla questione del registro di falsetto di Garcia. Nella piuttosto ampia dissertazione propone una tesi, e cioè che il tempo trascorso faccia sì che oggi non valga più la scuola di canto del 700 e primo 800, ma si debba considerare una nuova scuola che tenga conto di un nuovo stile, inaugurato, in particolar modo, da Caruso e quindi da Gigli, ecc. Su questa tesi non concordo. E' vero che lo stile operistico che si andò a formare tra la fine dell'800 e l'inizio del 900 richiede una voce più forte e timbrata su tutta la gamma, ma dire che il modo per accedere a questo tipo di vocalità debba per forza essere un altro, a quale presupposto fa riferimento? Lo strumento è uno strumento, ha le sue caratteristiche e dimensioni, e può dare ciò che può dare. E' vero che si possono esaltare determinati caratteri, come il colore, ma il vero presupposto per fare Arte è sempre e solo quello di rispettare tale strumento, e permettergli di dare il meglio basandosi sul concetto fondamentale che sarà sempre e solo il fiato a relazionarsi con gli altri due apparati (fonatorio e articolatorio o amplificante), dunque la conquista di un canto esemplare dovrà sempre e solo fare i conti con una straordinaria disciplina educativa del fiato. Questo lo si capisce perfettamente in Gigli, che contrariamente alla tesi sostenuta, è tutt'altro che "affondista", ma esalta il canto a fior di labbro e la parola, che egli è in grado di sostenere perfettamente anche nei fortissimi e nei momenti di massima concitazione.

lunedì, agosto 17, 2009

Falsetto ieri e oggi

Quanti hanno nozioni di storia del canto sanno che intorno alla metà dell'800 si verificò una sorta di rivoluzione che partì dal registro tenorile (Boucardè quindi Tamberlich), quando note molto acute, do e do#4, vennero emesse, si dice, di petto e nacque dunque il mito del do di petto. Alcuni storici, sempre pronti a interpretare, dicono che non fossero di petto ma semplicemente a voce piena, laddove prima si cantava in falsetto. Un giornalista celebre del passato, Eugenio Gara, che è stato un po' il padre della critica vocale del dopoguerra (e segnatamente Rodolfo Celletti, Angelo Sguerzi e Giorgio Gualerzi), interpretò subito questa dicotomia facendo riferimento al falsetto inteso come vocetta femminea. Pensate che già in passato esistevano dei bari-tenori, come Domenico Donzelli, primo Pollione, e provate a pensare a una specie di Domingo che canta fino al Sol3 in piena voce scura, e poi improvvisamente passa a un falsettino senza timbro, senza peso... come si sarebbe potuta accettare una simile disuguaglianza nel canto!? (ovviamente la questione non era legata solo ai tenori, ma a tutte le voci, alcune delle quali, sempre secondo la critica imperante, sarebbero saliti di petto fino agli acuti - pensate un po' un basso che emette un fa o un fa# di petto, che urlo micidiale - oppure, per l'appunto, in falsetto). A rincarare la dose, Giorgio Gualerzi in una trasmissione radiofonica, avvalorò la tesi dicendo che "infatti" nelle prime recite del Guglielmo Tell, Nourrit, che cantava alla vecchia maniera - e si suicidò poi pare a causa della divergenza che si trovò a vivere tra la propria emissione e quella che prese piede successivamente - non eseguiva la cabaletta in quanto non poteva passare agevolmente dal petto al falsetto, essendo due registri staccati. Ovviamente un'occhiata al trattato del Garcia chiarisce subito, senza tanti equivoci, che le cose stavano diversamente. E del resto quando mai Rossini avrebbe potuto scrivere della musica ineseguibile dai cantanti dell'epoca (egli stesso competente cantante e tenore per giunta) e che avrebbe favorito un canto ancora da scoprire, e che lui detesterà al punto di smettere di comporre opere! La soluzione è presto detta: il cosiddetto falsetto ieri e oggi sono esattamente la stessa cosa, cioè il registro acuto di tutte le voci maschili (e il tratto centrale di quelle femminili); l'unica differenza, certo non di poco conto, è che il "PESO" vocale, cioè l'intensità da somministrare in quel tratto, è di molto aumentata. Reputo probabile che i primi cantanti a voce piena, che probabilmente erano contraltini, abbiano emesso effettivamente dei do di petto, che Rossini descrisse come "grido di cappone sgozzato", e in seguito si sia trovato quello che alcuni insegnanti di canto, più competenti di quei giornalisti superficiali, hanno battezzato "falsetto rinforzato", che rende certamente meglio l'idea del tipo di emissione. Oggi potremmo definire il registro acuto dei cantanti di un tempo "falsettone", che infatti tutti accettano come un tipo di canto più leggero ma del tutto omogeneo e fuso con la voce piena di petto. La cosa abbastanza strana è che lo stesso Gualerzi presentò in quella trasmissione alcune registrazioni di Alfredo Kraus come un esempio di come si cantava un tempo! Dunque con eccellente fusione dei registri! mah...!!

martedì, agosto 11, 2009

Nomenclatura registri

Alcune recenti discussioni mi inducono a fare un intervento chiarificatore sulla nomenclatura dei registri della voce. Inserirò in calce anche un piccolo grafico che possa ulteriormente illustrare la questione. I nomi dei registri risalgono ad un passato remoto, quando l'anatomia e la fisiologia dell'apparato fonatorio erano pressoché sconosciute, e quindi basandosi semplicemente su percezioni fisiche si arrivò a constatare l'esistenza di due fondamentali registri, il petto e il falsetto e di una prosecuzione di questo, soprattutto nelle donne, il registro di testa. Col tempo si è capito che queste sensazioni di vibrazione, nello sterno per il petto, e in zone varie del cranio per il falsetto-testa, sono dovute a una meccanica laringea ben precisa, che è il vero motivo di interesse nello studio del canto essendo quelle sensazioni solo il portato delle vibrazioni dei muscoli che collegano la laringe alle ossa più vicine. Fu il Garcia (figlio), nel suo trattato, a mettere un po' d'ordine nella materia (se così vogliamo dire), definendo con precisione i registri e suoi confini in ogni classe vocale. Per vari motivi in epoca più recente si sono fatte mescolanze nell'ordine dei registri creando una confusione spaventosa. In un certo senso sarebbe stato meglio rinominare del tutto i registri secondo una nomenclatura più scientifica, e invece si insiste con quella antica, senza peraltro capirne i fondamenti. Ordunque: credo che nessuno contesti l'esistenza di un registro centrale e grave, che in tutte le voci si definisce registro di petto. Nella mia scuola si definisce anche: registro di voce parlata (il celebre mezzosoprano Fedora Barbieri in diverse occasioni negò l'esistenza del registro di petto, ma non so cosa proponesse in alternativa...!). A questo punto, per motivi oscuri e che dimostrano come la materia, persino negli addetti ai lavori - mi riferisco ai foniatri - risulti ancora non del tutto assimilata, fanno una distinzione tra maschi e femmine, definendo quello successivo registro di testa negli uomini, e registro misto nelle donne, e chiamando registro di testa quello più acuto (dopo il re4). Si chiamò anticamente falsetto quello successivo al fa3 perché nelle donne suona molto leggero, con poco corpo vocale, e quindi un po' "falso". Ciò non toglie che sia errore grave non aver chiaro che il registro successivo a quello di petto è esattamente lo stesso negli uomini e nelle donne (anche se negli uomini suona più timbrato e intenso), quindi deve per forza chiamarsi nello stesso modo; Garcia lo chiamò falsetto, (nella mia scuola si chiama anche registro di voce gridata) se vogliamo chiamarlo testa chiamiamolo testa, ma che sia lo stesso per uomini e donne, però poi come si chiamerà quello più acuto, e che è anche quello che gli uomini adottano quando cantano come le donne? (e che per l'appunto si chiama registro di testa, e non falsetto). Ecco, dunque, con semplicità il motivo del contendere.


Commento all'immagine: ho inserito una sola riga per le donne, pur essendoci ovviamente delle differenze, per non complicare troppo lo schema, e considerando che il passaggio canonico è lo stesso per tutti i registri femminili, mentre nell'uomo ci sono differenze più sensibili. Ovviamente qui non si tiene conto della sovrapposizione dei registri, che è argomento a parte. Ho tratteggiato diversamente i registri di testa nelle varie classi maschili in quanto non tutti hanno facilità ad attaccarlo, e sempre meno man mano che il registro è più grave. Si ricordi inoltre che il vero contralto donna è simile al contraltino maschio, ma con assai maggiore difficoltà ad attaccare il registro di testa.