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mercoledì, dicembre 30, 2009
Le labbra, briglie e timone
venerdì, dicembre 25, 2009
C'è galleggiamento e galleggiamento
giovedì, dicembre 24, 2009
Pronuncia e conformazione fisica
Mi pare di aver già scritto in precedenza che la buona emissione è anche legata alla conformazione fisica delle forme orali, e in particolare del palato. Il motivo per cui la U è una vocale utile per mettere il suono avanti, è determinata dal fatto che la pronuncia viene individuata nella estrema parte anteriore del palato, in corrispondenza esterna con l'attaccatura del naso, nel labbro superiore. Questo crea le condizioni ottimali per l'appoggio e per la amplificazione del suono. Il problema che intendo affrontare qui, riguarda il passaggio a tutte le altre vocali, in particolare nella zona acuta. Un momento difficile è sicuramente determinato dal cambiamento della U in A, in quanto la A viene generalmente pensata molto indietro, e la ragione è che nella zona faringea la A trova maggior spazio. Naturalmente è altresì vero che se si apre la bocca anche la parte anteriore della bocca ha spazio a volontà, e questo deve essere il corretto modo di procedere. Quindi nel passaggio dalla U alla A occorre non abbandonare le labbra che hanno pronunciato la U, ma guidarle lentamente all'apertura completa che determinerà la A. Ancora ovviamente, dietro a questo c'è il pensiero di una A che si formi a livello dei denti anteriori, e meglio ancora nella zona superiore della bocca. Stare attenti che la A non finisca nel naso e non tirare le labbra verso l'interno delle guance, perché così facendo il suono va indietro e assume un colore aspro e molto brutto, sguaiato.
La E è anch'essa molto diversa dalla U, se parliamo della é, chiara. La I e la E richiedono spazio orizzontale, almeno in tutta la zona di petto, e anche nel falsetto femminile. Ciononostante si può arrivare sia alla E che alla I senza problemi, semplicemente tirando le labbra dagli zigomi, a sorriso. Il problema si pone nella zona acuta, di falsetto maschile e di testa femminile, dove è necessario scurire un po' per facilitare il passaggio. In questo caso occorre esercitare la è (E' verbo) con colore oscuro, ampia apertura orale (simile a quella della O) e restringimento del labbro superiore, che aiuta a oscurare il timbro e a trovare la giusta dizione. Nel sito, per chi è registrato, c'è una lezione del m° Antonietti che esemplifica tutte le vocali nei due colori. Se si mantiene il colore oscuro, oltre al maggiore impegno del diaframma e al suo mantenimento in posizione bassa, facilitato dalla posizione bassa della laringe, la pronuncia andrà più facilmente a collocarsi nella parte avanzata del palato.
Non ho specificato, prima, cosa capita nella A quando si fa in zona acuta. Se la posizione è veramente giusta, la A non necessita di alcuna modifica. Siccome è facile che "scappi", in zona di passaggio può essere consigliabile oscurarla appena, e considerare che la pronuncia non deve essere troppo larga, proprio per evitare che vada a cercare maggior spazio nel palato posteriore.
Per quanto riguarda la O, essa dovrebbe non riservare grosse sorprese, anche se non sempre è così. Per facilitare il mantenimento della posizione avanzata, la O deve essere impostata su una pronuncia "stretta", cioè o con accento acuto, la bocca molto ampia e il labbro superiore leggermente stretto. Può anche essere consigliabile pronunciare U e poi passare inavvertitamente alla O solo allungando la bocca. La sensazione della O che si appoggia davanti e perde la fisicità è una delle più belle e liberatrici.
La I, essendo la più chiara, può incontrare problemi negli acuti se pronunciata sempre in orizzontale, perché porta la laringe ad elevarsi molto e questo un po' spoggia. E' consigliabile, pertanto, dopo il passaggio, emettere una I che noi definiamo "ingrintata", cioè sulla posizione della U, con le labbra strette e la lingua appoggiata sui denti inferiori (come deve SEMPRE essere). Per mantenere bene la pronuncia anche negli acuti, sarà il labbro superiore ad alzarsi.
Può essere interessante a questo punto fare un esercizio in cui si passi da una vocale all'altra nello stesso colore, quindi, in color chiaro (tendenzialmente sul sorriso): é i è a o u; e poi sul colore oscuro (quindi in verticale) si, è a o u. La é stretta in colore oscuro è più difficile perché porta al sollevamento della lingua nella cavità orale, e questo determina una tensione complessiva poco produttiva, quindi la si deve esercitare a lezione.
lunedì, dicembre 21, 2009
L'appoggio davanti
sabato, dicembre 19, 2009
Mischiare o non mischiare?
Sento sovente parlare di "mischiare" i registri. Anche in questo caso il termine potrebbe rendere vagamente l'idea della "fusione", però mantengo qualche dubbio. Il termine "mischiare" fa pensare all'unione di due componenti. Cioè si mischia il vino, nel senso di due qualità o tipi di vino diverso; qui abbiamo due meccaniche, ma attengono ad uno stesso strumento, la laringe, che d'istinto compie repentinamente un movimento e un cambio di meccanica, laddove è possibile, in quanto potenzialmente presente, compiere una gradualità. Quindi, come si è già scritto, non andiamo a "mischiare", ma ad annullare il "passaggio", creando la gradualità. Ora, la mia perplessità nasce dalla constatazione che in molte scuole fin dal primo momento si punta alla fusione dei registri, parlando, per l'appunto, di "mischiamento" dei registri. Questo a mio avviso è molto sbagliato. A meno che uno non sia già in possesso naturalmente di un registro unico, cosa rara, e comunque sempre da esaminare, l'annullamento dei registri richiede ANNI di corretto e impegnativo esercizio. Il Garcia l'aveva scritto in modo molto semplice e chiaro il percorso da compiere. Prima di tutto occorre ben esercitare le gamme di rispettiva proprietà il petto e il falsetto. Quindi per mesi ed anni, è necessario esercitare il petto dalle note più basse fino dove risulta bello, rotondo, ricco, facile (anche se impegnativo). Questo potrebbe essere, inizialmente, anche inferiore alla gamma propria di quella voce (può succedere che un tenore "in erba" nei primi tempi faccia molta fatica a esercitarsi sul mi naturale, per es.). Il falsetto lo si potrà esercitare in colore chiaro o scuro nelle note proprie (negli uomini è quasi sempre preferibile lo scuro), partendo eventualmente anche qualche semitono prima del passaggio e fin dove è possibile correttamente. E' altresì normale che nelle note più acute possa venire meno sonoro, più povero, ma questo è dovuto al "cedimento" del diaframma, che avrà luogo in tempi solitamente non molto lunghi. Per arrivare all'annullamento dei registri, si dovranno portare a perfezione anche alcuni semitoni prima e dopo il passaggio entrambi i registri.
Per quanto riguarda il registro di testa della donna (re4), esso è da esercitare col colore oscuro fino al fa#4, almeno, però al solo scopo di esercitare il diaframma a sostenere il peso. Qui non si può parlare di annullamento o fusione, perché non è un vero passaggio di registro, e col tempo il fiato possiederà l'energia sufficiente ad alimentare correttamente la porzione di corda vibrante
martedì, dicembre 15, 2009
A ognuno il suo [acuto]
Fusione o annullamento?
La laringe, e quindi le corde vocali, devono essere considerate uno strumento, e come tali non hanno in sè alcun motivo di possedere meccaniche diverse in alcune zone della gamma vocale. Non solo possiamo, ma dobbiamo dire che la gamma vocale è unica e pertanto dalle note più gravi alle più acute lo strumento offre una gamma omogena di suoni. Ora tutti sanno che ciò, tranne rarissimi casi, non si avvera pressoché mai, quindi dobbiamo considerare questo assioma solo potenzialmente presente in ogni individuo. Il motivo della presenza di due meccaniche separate è stato già più volte descritto: l'istinto di conservazione e difesa della specie non ritiene utile per la vita e la sopravvivenza dell'uomo l'esistenza di uno strumento completo, e ne limita pertanto il funzionamento a due soli tratti, quello della voce parlata e quello della voce gridata per motivi di relazione e difesa. Questa "atrofizzazione" del funzionamento laringeo non è però irreversibile, perché i sensi, anche quelli più nascosti, possono sempre essere riabilitati quando necessità di cambiamento ambientale ne richiedessero l'uso per fini di sopravvivenza. Nel caso della voce l'istinto è particolarmente ostico a lasciar modificare il funzionamento del fiato, in quanto, oltre a non essere realmente necessario per la vita, va a scontrarsi con le funzioni di scambiatore gassoso. Precisiamo che ciò che determina i registri non è la laringe, ma il fiato, che ha perso ogni capacità di alimentare in modo progressivo i suoni.
Sappiamo che la laringe può atteggiarsi secondo due meccaniche diverse, che richiedono anche diverso tipo di alimentazione da parte del fiato: il cosiddetto petto e il cosiddetto falsetto. I due registri percorrono su per giù la stessa estensione. Il petto non è sovrapponibile all'atteggiamento di testa. I suoni superiori al re4 di petto, che si sentono da parte di cantanti di musica leggera o diciamo moderna, sono da considerare una forzatura, non relazionabile con gli altri registri e con il fiato stesso. Sappiamo inoltre che l'esperienza ha fatto individuare già ai grandi insegnanti del passato i punti di equilibrio tra petto e falsetto e il punto di passaggio dal falsetto alla testa. A questo punto si parla di "fusione" dei due registri? Il termine non è sbagliato; facendo esercizi che investano il petto oltre il cosiddetto punto di passaggio e del falsetto prima dello stesso punto, si porterà il fiato a gradualizzare sempre più la propria funzione. Per la precisione il fiato dovrà aumentare la propria energia nella zona precedente il passaggio, quando la corda non risulterà più totalmente convessa, di petto, ma comincerà già ad assumere un atteggiamento teso, e potrà leggermente diminuire nella zona del passaggio e qualche suono successivo, quando la corda non risulterà più esclusivamente tesa ma anche con una percentuale di convessità (per questo motivo può accadere che nella fase educativa si avverta un maggiore impegno su note leggermente superiori a quelle del passaggio, dove le corde entrano pienamente nel registro di falsetto o testa: ad es. la donna può sentire un maggiore impegno sul la-sib3 e poi sul fa-fa#4, i tenori sul sol#3, i baritoni sul mi-fa3, ecc.). Ai fini di un imposto esemplare, e tenuto conto della premessa, riteniamo però che col tempo il termine "fusione" sia da escludere a favore di "annullamento" dei registri, avendo ricreato uno strumento musicale, completo e omogeneo.
lunedì, dicembre 14, 2009
Postura e appoggio
Da assimilare allo stesso errore è anche il piegare una o entrambe le gambe.
venerdì, dicembre 11, 2009
Come si parla - istinto e orecchio
Lo stesso allievo mi pone un'altra domanda: può il nostro istinto, che agisce sia fisicamente che psicologicamente, agire anche sull'orecchio e farci sentire in modo difforme per portarci su una strada sbagliata? Il nostro orecchio sente ciò che è "necessario" sentire, quindi rispetto all'arte è difettoso, e può evolversi in misura della nostra necessità di sviluppo artistico; l'istinto in questo caso non ha praticamente necessità di intervento in quanto non andiamo a modificare il funzionamento, è solo un raffinamento del suo grado percettivo, per cui possiamo dire che la risposta sia "no".
giovedì, dicembre 10, 2009
"II timbro può attendere"
mercoledì, dicembre 02, 2009
Molto rumor per nulla
venerdì, novembre 27, 2009
L'impeto della ... pressione
La questione della pressione ha importanti conseguenze. Quando si accede al settore acuto, soprattutto dopo il passaggio, dove il registro di falsetto dispone le corde ancor più tese e dunque necessitanti di maggior forza per vibrare correttamente, la maggior pressione viene esercitata e percepita, ovviamente, verso l'alto, cioè verso il palato. A questo punto il nostro istinto va alla ricerca di minor fatica. La colonna d'aria deve rimanere di uguale altezza per tutta la gamma, ma la fatica nei suoni acuti indurrà il cantante a cercare di sollevare la colonna (togliendo quindi appoggio), ed ecco l'erroneo (pessimo) consiglio di mettere gli acuti nella zona alta della testa (occhi, fronte, cupola...). in questo modo noi favoriremo lo spoggio della voce e col tempo la perdita degli acuti, il ballamento della stessa, ecc. Risulta quindi fondamentale far sì che si sostenga la fatica della maggior pressione senza modificare il punto di proiezione (cupola palatina dietro i denti superiori anteriori). Il primo segnale che la colonna si sta alzando è quando il suono diventa nasale. L'allievo di solito dice che fa meno fatica, e allora bisogna tornare indietro e rimettere le cose a posto. Attenzione: quando il suono batte nel palato anteriore, si può avere la percezione (per chi canta) che il suono esca dal naso. L'insegnante vigilerà se è vero o meno, ma l'allievo può sincerarsene provando a chiudere le narici; se il suono non si modifica vuol dire che è giusto. I suoni nasali sono molto pericolosi nella disciplina vocale e vanno accuratamente evitati, imparando a dire correttamente le N. Anche la L, visto che ci siamo, può talvolta creare problemi perché la si pronuncia dalla radice della lingua, (con rischio di ingolamento) mentre bisogna imparare ad utilizzare solo la punta.
martedì, novembre 24, 2009
"L'importanza di chiamarsi... A"
giovedì, novembre 19, 2009
Le formule del canto
Spazio = Peso
Nel canto ci sono alcune "formule" cui è bene ricorrere per capire cosa fare e cosa evitare. Una delle prime e più importanti riguarda il rapporto tra spazio e peso, dove con spazio intendiamo l'ampiezza delle forme oro-faringee e con peso intendiamo la forza che il fiato esercita sul diaframma. Risulta, credo, evidente, che più la bocca e la gola risultano ampi, più il fiato in essi contenuti eserciterà un peso sul diaframma. Come si è detto ripetutamente, il peso da un lato è favorevole alla posizione bassa del diaframma, per cui ne scaturirà maggiore energia, dall'altra stimolerà anche la reazione dell'istinto. Lo spazio, però, non dipende semplicemente da quanto si allarga o si stringe. Ad es. la vocale A induce la mandibola a scendere e la cavità ad aprirsi, per cui ne risulterà una maggiore quantità d'aria; il motivo per cui la A non pesa tantissimo, è dovuto al fatto che essendo una vocale che tende al chiaro, comporta un leggero sollevamento della laringe, e quindi una riduzione del tratto faringeo compreso tra laringe e palato molle. La O ha un peso maggiore in quanto l'ampiezza orale (se correttamente eseguita) è di poco inferiore, ma si amplia il cosiddetto vocal tract, cioè il cilindretto tra laringe e velo pendolo. Però, per proseguire correttamente, dobbiamo inserire un'altra formula:
COLORE = PESO
Tra colore del suono e peso c'è una relazione importante. Più il suono è scuro, maggiore sarà il peso sul diaframma; il motivo per cui la O pesa più di una A è dovuta al colore maggiormente scuro. Il colore è dato dal maggior spazio laringeo, ma anche dalla maggiore massa cordale; per poter mettere in vibrazione corde più pesanti, ci vuole più fiato / più energia, e questo causa maggior peso.
ALTEZZA = PESO
L'altezza dei suoni determina un certo peso; maggiore è l'altezza (acuti), maggiore sarà il peso. Questo è notoriamente dovuto al fatto che le corde vocali diventano sempre più tese, salendo, e questo necessita di maggior fiato / intensità. Ma la questione non finisce qui! Quando le corde si tendono o si ispessiscono, o entrambe le cose, la maggior quantità ed energia del fiato non può arrestarsi in gola, ma deve poter sfogare, quindi maggior altezza e/o colore più scuro necessitano sempre di maggiore ampiezza di gola/bocca, e questo comporterà quindi più peso.
Lo studio del canto richiede un delicato equilibrio di questi fattori, perché l'eccesso di peso comperterà quasi sempre una reazione istintiva forte; la carenza di peso può essere utile per allenarsi in assenza di reazione; un peso modesto può invece non essere sufficiente a determinare un efficace appoggio.
In genere l'ampiezza più efficace è in senso verticale, perché le forme favoriscono questa direzionalità, però esistono 2 vocali, la é e la ì che necessitano, almeno in zona centrale, di una apertura orizzontale. Anch'esse in zona acuta, a causa della maggior altezza, e quindi maggior fiato, necessiteranno di uno spazio verticale, a meno che non si sia già nella situazione di aver "domato" l'istinto.
lunedì, novembre 16, 2009
Azzerare la voce
Nulla si crea...
mercoledì, ottobre 28, 2009
Alimentare le forme - la spinta
Da questo argomento ne discende un altro: la "spinta".
Sappiamo come il suono "spinto" rappresenti un problema per molti cantanti, specie nel tempo dello studio. Ma di fatto cosa significa?
Partiamo dalla considerazione che il suono esce, almeno per qualche secondo, senza alcun impegno, perché il diaframma e la ricaduta delle costole provocano una emissione d'aria, e dunque un suono, senza alcun impegno. Quando le note sono centrali e non particolarmente forti, il pericolo di spingere è molto alto. Altrettanto frequente è lo stimolo alla spinta nelle vocali strette, la I e la é, che richiedono meno fiato in quanto con poco spazio nel cavo oro-faringeo.
Di spinte poi ne esistono almeno 2 tipi. Il più frequente e pericoloso è quello "dal basso", cioè una forza esercitata sotto la laringe verso l'alto. E', in pratica, un rafforzamento della pressione sottoglottica, che provoca un'emissione forzata, quasi certamente stonata, con effetti collaterali quali la risalita della radice della lingua, difficoltà di apertura orale o la produzione di suoni nasali. Superata questa, può presentarsi una spinta dall'interno della bocca verso l'esterno. E' decisamente meno pericolosa, ma provoca comunque suoni brutti e disomogenei, e si presenta anch'essa più frequentemente nella I e nella é, sempre per la carenza di spazio. Quando il suono è esterno alla bocca, allora la cosiddetta spinta si trasforma in potenziamento dell'appoggio, e quindi in un controllo dinamico, quindi in qualcosa di utile. Le spinte interne vanno eliminate diminuendo la forza e l'intensità, anche fin quasi a zero. La spinta, in genere, è legata all'attività muscolare faringea, e quindi è indispensabile eliminarla per far sì che il fiato possa fluire indisturbato nel cavo strumentale senza interferenze, come se fosse un tubo vuoto e inerte.
venerdì, ottobre 23, 2009
Aprire la bocca?
Credo che la maggior parte delle scuole di canto induca i propri allievi a tenere, per lo più, la bocca aperta, ma non sono pochi coloro che invece suggeriscono un canto a bocca semichiusa, suggerendo la famosa formula del "sorriso" di cui parla anche il Garcia.
Diciamo che fondamentalmente la bocca deve assumere la forma relativa alla vocale che si sta facendo, e che più il suono va verso l'acuto più la bocca deve aprirsi. Per molto tempo diciamo pure che la bocca è bene che venga tenuta aperta e che ci si abitui ad aprirla molto, perché la reazione diaframmatica comporta una pressione su laringe e mandibola tendente a sollevarle, quindi tenendo aperto si contrasta questa tendenza. Inoltre un maggior spazio è comunque consigliabile, anche se un po' esagerato, rispetto ad uno spazio ristretto, e infine diciamo che le persone, per vari motivi, sono sempre un po' restie ad aprire molto la bocca, il che è indispensabile soprattutto quando si sale, ma anche per emettere correttamente la A.
Un problema che si presenta spesso è la "caduta" del suono nel passare da vocali strette, come la "I" e la "é", a vocali più ampie come la "A". Il problema si pone anche a causa di uno scorretto approccio alla "A", che viene solitamente pensata nello spazio faringeo, e il più delle volte attaccata con colpo di glottide. Aprire molto la bocca, cercando di rilassare la muscolatura del collo e del sottogola, favorirà una emissione sul fiato verso i denti superiori, leggera ma sonora, e impedirà l'attacco e l'espansione in gola. Il problema della "caduta" è dovuto al fatto che aprendo la bocca e spingendo il suono, esso seguirà la discesa della mandibola; viceversa il suono va un po' alleggerito, in modo da continuare a fluire verso i denti superiori.
Alcuni insegnanti favoleggiano che aprendo la bocca il suono si spoggi. In questo caso ci troviamo di fronte a insegnanti che hanno un concetto di appoggio completamente errato, perché è evidente che se aprendo la bocca il suono si spoggia, vuol dire che il suono viene "tenuto" con la mandibola stessa, e quindi appoggiato sui muscoli faringei.
Per quanto riguarda il canto "sul sorriso", esso è possibile e può avere interessanti utilizzi, però ciò che riteniamo un errore è parlarne prematuramente. Esso si può considerare una conquista della maturità vocale, perché il canto sul sorriso può indurre spoggio del suono, e dunque è da rimandare a quando la reazione istintiva, grazie alla giusta disciplina, sarà ridotta quasi a zero. Questo tipo di canto, peraltro, non si presta ad ogni tipo di stile, perché sarà sempre piuttosto chiaro e flautato, e con intensità più ridotta. Un canto maggiormente declamato, intenso e accentato richiederà sempre ampia apertura orale.
Ci può essere, seppur raro e sapientemente guidato dall'insegnante, il caso in cui si può eseguire una vocale ampia come la A con la bocca semichiusa. Si usa soprattutto con allievi che hanno un imposto sbagliato, e faticano a portare avanti il suono, ingolandolo ogni volta che aprono la bocca. In questo caso si può, occasionalmente, far emettere una A con bocca semichiusa per avvertire la sensazione del suono che "batte" nel palato dietro ai denti anteriori superiori, che dà una piacevole sensazione di apertura. Si potrà passare lentamente all'apertura della bocca senza che il suono si modifichi, e si sarà così fatto capire che il fiato, se non lo si disturba, può continuare a fluire tranquillamente verso quella zona.
giovedì, ottobre 22, 2009
Esercizi a bocca chiusa
venerdì, ottobre 09, 2009
Il fenomeno Schipa
mercoledì, ottobre 07, 2009
"Del suono intonato"
sabato, ottobre 03, 2009
venerdì, settembre 25, 2009
Maschera, Petto, Belcanto, Affondo....
mercoledì, settembre 16, 2009
La scienza e la voce
martedì, settembre 15, 2009
... dentro o fuori?
La stragrande maggioranza delle scuole di canto insegna l'imposto vocale ricorrendo di continuo a immagini e azioni che si svolgono all'interno del corpo, dal palato molle, alla gola, alla laringe, al diaframma. Sarebbe un po' come se un insegnante di pianoforte volesse dagli alunni continui interventi diretti sulle corde, sui martelletti, ... sulla meccanica, insomma. Alcuni insegnanti evitano qualunque azione legata alle labbra e ai muscoli del volto, molti, invece, fanno riferimento a muscoli che appaiono lontani dai punti di produzione del suono, come la nuca, la parte posteriore del collo, la schiena, l'addome, ecc. Oltre alle azioni, un cenno importante merita l'amplificazione. Moltissime scuole concentrano l'attenzione sull'ampiezza della gola pensando che ciò possa dare maggiore risonanza. Non si può dire in assoluto che ciò non sia vero; è possibile influire su alcuni muscoli del faringe e sulla stessa laringe per provocare un maggior spazio nell'epifaringe; questo provocherà uno scurimento del suono e anche un maggior volume. Ma... E sì, penso che tutti si aspettino il ma, a questo punto. Agire direttamente sui muscoli della gola comporta 1) che il suono si focalizzi in quel punto; 2) che le pareti, irrigidite dalla tensione, perdano l'elasticità indispensabile, invece, per una emissione esemplare; 3) che il maggior volume non si esplichi al di fuori dell'individuo, ma rimanga in gran parte dentro.
Una esemplare educazione del fiato/voce potrebbe svolgersi, come pensiamo effettivamente avvenisse anticamente, grazie al solo controllo del suono emesso, e agendo esclusivamente sulla parte esterna della bocca e del volto (che potremmo considerarli alla stregua della tastiera del pianista), e giusto un accenno ai muscoli del busto. Questo impedirebbe l'aggiungersi delle interferenze volontarie a quelle già provocate dall'istinto e dalle funzioni vitali.
venerdì, settembre 11, 2009
La compressione sottoglottica
lunedì, settembre 07, 2009
Il falsetto nell'uomo e nella donna
Il registro di petto nella donna
Il registro di petto suscita ancora perplessità in molte cantanti, studentesse di canto e soprattutto insegnanti; non è raro sentir dire da qualche docente che il petto "rovina la voce!". Un timore infondato e assurdo. Da dove proviene questa paura? in primo luogo da una assoluta incomprensione dei registri, che qualcuno mette ancora in relazione con le antiche percezioni, quando la meccanica dei registri era sconosciuta. Per questioni meramente fisiche, le note acute si percepiscono più fortemente nella testa e quelle gravi nel petto; questo, inoltre, è anche in relazione a un fatto anatomico: la laringe è legata allo sterno da un muscolo (sterno-cricoideo) che di fatto trasmette le vibrazioni alla cassa toracica, soprattutto nella note più gravi, quando la laringe è più bassa, ma è anche attaccata al cranio tramite l'osso ioide, quindi le vibrazioni che avvengono quando la laringe è più alta, e quindi nelle note più acute, passano con maggior facilità alle ossa della testa. Ma da qui la selva di equivoci. E' nata infatti l'assurda idea che facendo le note in registro di petto, queste non suonino "in maschera", cioè siano "basse". Quindi i soprani cantino tutto in falsetto, in modo da tenere il suono "alto". Questa cosa è talmente assurda che non so se fa ridere o piangere. Se così fosse vorrebbe dire che nessun maschio che canti, come normalmente è, per l'80-90% in registro di petto, dovrebbe poter mettere la voce "in maschera" (ma già sappiamo quanto è inappropriato e fuorviante questo termine).
Diciamo allora bene come stanno le cose. Pensiamo alla voce acuta della donna, e prendiamo a paragone un violino o una chitarra, e la loro corda più acuta, il "cantino". Quando dalle note più acute si scende verso quelle più gravi, la corda "sottile" a un certo punto diventa inappropriata, in quanto troppo tesa e sottile. Per questo a un certo punto si passerà alla II corda, più spessa e un po' meno tesa. Nel violino e nella chitarra poi il concetto si ripeterà altre volte per poter arrivare a coprire l'intera tessitura dello strumento. Nella voce umana la corda vocale può avere un atteggiamento che possiamo definire in "corda sottile", che è quella relativa al falsetto-testa, oppure un atteggiamento che definiamo in "corda spessa", relativa al registro detto di petto. Ora, come risulta lampante anche dall'esempio, la corda sottile man mano che si scende diventa inappropriata a emettere suoni sonori in zona grave, quindi diventa del tutto logico e naturale che si "passi" alla seconda corda, quella più spessa e meno tesa.
Fin qui i dati essenziali, ma si può andare oltre, dicendo che cercare di ottenere dalla corda tesa, sottile, suoni che non le sono appropriati (e cioè soprattutto dal do3 in giù), vuol dire andare a forzare e quindi a ingolare, per tentare di dare sonorità e corpo dove questi non esistono. E questa assurdità quando c'è un atteggiamento cordale lì pronto e fatto apposta. C'è ancora un dato non secondario. La voce in registro parlato, cioè in corda spessa o petto, è la voce "base" dell'uomo e della donna. Escluderla dalla gamma dei suoni cantati vuol dire affrontare la vocalità sempre con un atteggiamento teso e quindi più vulnerabile agli attacchi dell'istinto di conservazione e difesa della specie. I soprani i cui insegnanti dicono di non cantare mai in registro di petto, dovrebbero subito lasciarli.
Per correttezza dobbiamo dire che ci sono stati nella storia del canto anche esempi negativi di abuso del registro di petto, soprattutto nei mezzosoprani e nei soprani drammatici, che non hanno saputo equalizzare il passaggio e quindi hanno forzato e sguaiato il petto anche su note improprie. Ovviamente il nostro orientamento non è questo! Anche il petto deve sempre rispondere a nobiltà di accento, a bellezza ed equilibrio di emissione.
venerdì, settembre 04, 2009
sabato, agosto 29, 2009
mercoledì, agosto 26, 2009
lo strumento
lunedì, agosto 24, 2009
come Michelangelo...
domenica, agosto 23, 2009
Imposto
martedì, agosto 18, 2009
Scuole di canto di ieri
lunedì, agosto 17, 2009
Falsetto ieri e oggi
Quanti hanno nozioni di storia del canto sanno che intorno alla metà dell'800 si verificò una sorta di rivoluzione che partì dal registro tenorile (Boucardè quindi Tamberlich), quando note molto acute, do e do#4, vennero emesse, si dice, di petto e nacque dunque il mito del do di petto. Alcuni storici, sempre pronti a interpretare, dicono che non fossero di petto ma semplicemente a voce piena, laddove prima si cantava in falsetto. Un giornalista celebre del passato, Eugenio Gara, che è stato un po' il padre della critica vocale del dopoguerra (e segnatamente Rodolfo Celletti, Angelo Sguerzi e Giorgio Gualerzi), interpretò subito questa dicotomia facendo riferimento al falsetto inteso come vocetta femminea. Pensate che già in passato esistevano dei bari-tenori, come Domenico Donzelli, primo Pollione, e provate a pensare a una specie di Domingo che canta fino al Sol3 in piena voce scura, e poi improvvisamente passa a un falsettino senza timbro, senza peso... come si sarebbe potuta accettare una simile disuguaglianza nel canto!? (ovviamente la questione non era legata solo ai tenori, ma a tutte le voci, alcune delle quali, sempre secondo la critica imperante, sarebbero saliti di petto fino agli acuti - pensate un po' un basso che emette un fa o un fa# di petto, che urlo micidiale - oppure, per l'appunto, in falsetto). A rincarare la dose, Giorgio Gualerzi in una trasmissione radiofonica, avvalorò la tesi dicendo che "infatti" nelle prime recite del Guglielmo Tell, Nourrit, che cantava alla vecchia maniera - e si suicidò poi pare a causa della divergenza che si trovò a vivere tra la propria emissione e quella che prese piede successivamente - non eseguiva la cabaletta in quanto non poteva passare agevolmente dal petto al falsetto, essendo due registri staccati. Ovviamente un'occhiata al trattato del Garcia chiarisce subito, senza tanti equivoci, che le cose stavano diversamente. E del resto quando mai Rossini avrebbe potuto scrivere della musica ineseguibile dai cantanti dell'epoca (egli stesso competente cantante e tenore per giunta) e che avrebbe favorito un canto ancora da scoprire, e che lui detesterà al punto di smettere di comporre opere! La soluzione è presto detta: il cosiddetto falsetto ieri e oggi sono esattamente la stessa cosa, cioè il registro acuto di tutte le voci maschili (e il tratto centrale di quelle femminili); l'unica differenza, certo non di poco conto, è che il "PESO" vocale, cioè l'intensità da somministrare in quel tratto, è di molto aumentata. Reputo probabile che i primi cantanti a voce piena, che probabilmente erano contraltini, abbiano emesso effettivamente dei do di petto, che Rossini descrisse come "grido di cappone sgozzato", e in seguito si sia trovato quello che alcuni insegnanti di canto, più competenti di quei giornalisti superficiali, hanno battezzato "falsetto rinforzato", che rende certamente meglio l'idea del tipo di emissione. Oggi potremmo definire il registro acuto dei cantanti di un tempo "falsettone", che infatti tutti accettano come un tipo di canto più leggero ma del tutto omogeneo e fuso con la voce piena di petto. La cosa abbastanza strana è che lo stesso Gualerzi presentò in quella trasmissione alcune registrazioni di Alfredo Kraus come un esempio di come si cantava un tempo! Dunque con eccellente fusione dei registri! mah...!!
martedì, agosto 11, 2009
Nomenclatura registri

Commento all'immagine: ho inserito una sola riga per le donne, pur essendoci ovviamente delle differenze, per non complicare troppo lo schema, e considerando che il passaggio canonico è lo stesso per tutti i registri femminili, mentre nell'uomo ci sono differenze più sensibili. Ovviamente qui non si tiene conto della sovrapposizione dei registri, che è argomento a parte. Ho tratteggiato diversamente i registri di testa nelle varie classi maschili in quanto non tutti hanno facilità ad attaccarlo, e sempre meno man mano che il registro è più grave. Si ricordi inoltre che il vero contralto donna è simile al contraltino maschio, ma con assai maggiore difficoltà ad attaccare il registro di testa.